Dopo essersi visto mettere da parte, per fare spazio a materiali bidimensionali che potevano sfoggiare uno spessore di un unico atomo, il grafene si sta prendendo la rivincita. Sembra infatti che, con un opportuno e non banale trattamento, questo materiale sia però in grado di promettere chip più piccoli e più performanti.
Torna così “in gara”, in questa corsa tra semiconduttori che detta i tempi dell’innovazione tecnologica e, allo stesso tempo, dirige l’orchestra delle tensioni tra grandi potenze. E lo fa, curiosamente, grazie a un team di ricercatori misto, USA-Cina. Alcuni, infatti, provengono dal Georgia Institute of Technology di Atlanta e altri dall’Università di Tianjin.
Struttura a sandwich per i chip del domani
La rinascita del grafene è oggetto di un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature dal titolo “Ultrahigh-mobility semiconducting epitaxial graphene on silicon carbide”. I ricercatori sono partiti dal “difetto” che penalizzava questo materiale rispetto ad altri: la mancanza di bandgap. Nel mondo dei semiconduttori è un difetto grave, perché significa che non esiste uno spazio tra bande a bassa e ad alta energia attraversabile dagli elettroni e utile per abilitare il funzionamento dei chip.
La svolta consiste nella scoperta di un metodo per fare in modo che questo “gap” si formi. Gli esperti raccontano infatti di essere riusciti a creare uno strato di grafene su un wafer di carburo di silicio (SiC) ottenendo un band gap di 0,6 eV. Questo spazio regalerebbe agli elettroni all’interno del semiconduttore una mobilità a temperatura ambiente addirittura superiore a quella dei competitor 2D.
Il processo per ottenere questa struttura si basa sull’epigrafene semiconduttore (SEG) di alta qualità prodotto attraverso la ricottura di quasi-equilibrio su un substrato di carburo di silicio (SiC). In generale questa tipologia di grafene si forma in modo spontaneo ad alte temperature, quando il silicio viene sublimato. In quel caso si crea una superficie ricca di carbonio che poi ricristallizza in grafene.
Meno spontaneamente, però, i ricercatori sono riusciti a formare l’epigrafene in un ambiente più controllato, grazie a una configurazione “a sandwich”. Riscaldando due chip di SiC posti in modo che il silicio dell’uno e il carbonio dell’altro fossero vicini, gli atomi di quest’ultimo sono stati trasportati verso la superficie di silicio. Questa migrazione ha dato luogo a una sorta di strato tampone chimicamente legato al SiC che ha mostrato come sia potenzialmente possibile ottenere SEG a cristallo singolo su scala wafer.
Verso la commercializzazione, per una svolta
Un escamotage complesso e ingegnoso, che fa intravedere la possibilità di ottenere un semiconduttore 2D ad alta mobilità in cui agli elettroni non si oppone troppa resistenza. Questo si tradurrebbe in nuovi modelli di chip più performanti che rivoluzionerebbero l’attuale contesto di innovazione tecnologica.
Potremmo vedere fortemente ridotte le resistenze dei dispositivi e anche le loro dimensioni. Potremmo operare anche nella parte terahertz dello spettro elettromagnetico, per spingere l’evoluzione nel campo delle comunicazioni, magari anche nel 6G. Potremmo capire come sfruttare le proprietà ondulatorie degli elettroni, provando a cambiare gli attuali paradigmi nell’elettronica.
Le prospettive appaiono intriganti, ma la strada da percorrere, step by step, è ancora molto lunga. Il team è già al lavoro per arrivare a commercializzare la propria scoperta, capendo come produrre in modo affidabile e scalabile questo materiale. Sogna prodotti su scala di wafer da 1 pollice, gli orizzonti temporali sono lontani ma, trattandosi di semiconduttori e chip, mattoni essenziali per l’innovazione, vale la pena di esplorarli e investirci.