Una serie di risposte, che compongono una bella fotografia delle dinamiche evolutive e di focalizzazione in atto tra i livelli Cxo delle aziende (quindi compresi i Cio), ci arrivano da un recente studio Ibm, che già dal nome caratterizza il tipo di risposte avute: “The Customer-activated Enterprise”, cioè l’azienda che si attiva sulla base delle direzioni definite (in una modalità collaborativa e partecipativa) dai clienti, dal mercato. Uno studio imponente e qualitativamente rilevante: 4.183 top executive tra Ceo (884), Cfo (576), Chro (342), Cio (1656), Cmo (524), Csco (Supply Chain – 201) sentiti attraverso interviste one-to-one su una base di 70 paesi e 20 differenti settori di industria. Un lavoro importante, che dà un’idea precisa su molte delle questioni di trasformazione tecnologica e organizzativa oggi in atto nel difficile processo di costruzione di una nuova dimensione di impresa.
Una delle rilevanze più interessanti, che a nostro avviso appare centrale e riassuntiva di questa “confusione” (Blur) in atto tra i diversi mondi che compongono l’azienda, ci arriva da una chart (vedi figura 1) che sintetizza, dalle differenti prospettive di Cxo, quali saranno gli elementi di pressione più significativi nel futuro dell’azienda: guardando bene, c’è un “incrocio magico” rappresentato dal fatto che mentre per i Ceo la “Tecnologia” è il fattore numero 1 che più impatterà sulle strategie aziendali future (era al 6° posto nel 2004 e già al 1° nella rilevazione dello scorso anno. Al 2° posto, i Ceo indicano come elemento di forte pressione futura i “Fattori di mercato”), per i Cio al 1° posto ci sono i “Fattori di mercato” e al 2° posto la “Tecnologia”. Quale migliore condivisione di prospettiva sarebbe possibile tra due aree che hanno sempre avuto difficoltà a comprendersi, a definire azioni comuni, a condividere scenari?
Se le premesse sono quindi ottime, ancora oggi in ogni azienda c’è però una misurabile distanza tra Ceo/Cxo e Cio. Ma è indubbia, confermata da questi dati, la presa di coscienza nel top management dell’ineluttabilità di un cambiamento e di un’accelerazione verso il digitale, verso quella che Forrester definisce, da un paio d’anni, la Business Technology. Tra i fenomeni rilevanti, l’evidente digitalizzazione della società e delle persone; la centralità che le tecnologie Ict ormai hanno (e sempre più avranno) nella definizione di strategie di business in grado di reggere la complessità, la variabilità dei mercati, l’inclusione, soprattutto, dei consumatori (che, vedremo tra poco dai dati, sono un elemento centrale nelle decisioni di sviluppo di progetti Ict).
Ma su quali direttrici sta avvenendo oggi il cambiamento? Quali le criticità maggiori nella messa a punto di una trasformazione che, proprio per la digitalizzazione spinta di impresa e delle relazioni che questa ha con i propri clienti, sfuma sempre di più le separazioni, i confini tra mondo It e mondo business? Su quali aree si sta giocando la partita del confronto (che significa poi scelte tecnologiche, ripensamento dei processi, nuove figure professionali e competenze, nuovi modelli organizzativi)? Il primo punto di sfida e cambiamento riguarda l’apertura (organizzativa, culturale, di processo e quindi supportata anche da corrette tecnologie Ict) dell’azienda verso una “customer influence”. Non si tratta più, dicono i Ceo, di relegare la relazione con i clienti ad aree di partecipazioni definite abbastanza ”tradizionali” come la collaborazione allo sviluppo di nuovi prodotti e nuovi servizi (che per molte aziende sarebbe già oggi una forte innovazione). Qui i Ceo sono pronti a delegare elementi di presidio di aree che sono tradizionalmente di loro competenza: la definizione e lo sviluppo di strategie di business, disegnando percorsi, momenti decisionali, in sostanza scelte di sviluppo strategiche proprio in funzione del livello di inclusione e partecipazione realizzato con i clienti (vedi figura 2). Alcune aziende, le più avanzate sul piano dei modelli manageriali, stanno già realizzando veri e propri Customer Advisory Board per avere corretti input di taglio strategico.
Non stiamo parlando solo di social network e di social business, di blog, chat e quant’altro. Certamente, come vedremo, questi ambiti risultano fondamentali per contaminare correttamente l’azienda con i propri clienti. Stiamo parlando anche di riuscire a stabilire una reale relazione partecipativa attraverso una reciproca conoscenza (azienda-cliente) che in un mondo del consumo ad alta infedeltà come l’attuale diventa sempre più importante. L’erosione di fiducia del consumatore è oggi un elemento, dicono i Ceo, che pone l’azienda, e talvolta interi settori, di fronte a grandi difficoltà non sempre recuperabili.
E comunque, i dati (vedi figure 3 e 4) ci dicono che gli outperformer (le aziende che stanno aumentando le vendite e la profittabilità) sono quelli che collaborano in maniera più estesa con i propri clienti. E in una prospettiva a 3-5 anni lo spostamento verso l’inclusione sarà ancora maggiore.
Altro banco di prova: riuscire a garantire una continua intersezione tra mondo digitale e fisico diventa una priorità. Ci viene in mente la “user experience” dei clienti del mondo del Fashion quando, a partire dal sito, colloquiando sui social magari in mobility, entrano in un negozio dove continuano la loro esperienza virtuale con una serie di sollecitazioni e informazioni digitali, per arrivare ad acquistare un capo, a quel punto magari molto personalizzato, raccontando poi l’esperienza di acquisto, positiva o negativa, ancora sui social. Generando indirettamente business, positive sentiment, ecc.
Non è facile attivare a livello di processo e organizzazione una strategia di questo tipo. Ma questa interazione, che si può estendere a moltissimi altri settori, diventa business soltanto nel momento in cui le communities di clienti attraverso i social ispirano davvero nuove forme di lavoro, di apprendimento e di orchestrazione di processi nell’impresa. Così avviene la vera inclusione. Differentemente stiamo attribuendo ai social una pericolosa sottovalutazione come gadget.
Certo non va dimenticato, ed emerge in tutta la sua forza, l’elemento legato alla conoscenza come strada principale per l’inclusione dei clienti, la loro partecipazione alla business strategy. In questo caso il Cmo attribuisce agli analytics un ruolo fondamentale per il proprio lavoro. Se oggi il campione ha “in place” tecnologie analytics per il 13%, nel giro di 3-5 anni la funzione Cmo lavorerà con queste tecnologie per ben l’83% dei casi (vedi figura 5).
E ben lo sanno anche i Cio (vedi figura 6), che per i prossimi 2-3 anni privilegeranno progetti di business analytics e mobility proprio per questa fortissima tendenza alla conoscenza, preludio di una maggiore inclusione.
Chiudiamo con una cosa che già sapevamo ma che è importante ribadire: la focalizzazione del proprio tempo, della propria attività (e quindi la direzione di futuri budget e competenze) rispetto a questo scenario. Data la prevista “permeabilità” futura azienda-cliente, va da sé che sempre meno tempo sarà dedicato ad attività It, operations e di “lontananza” con il mercato e sempre maggiore focalizzazione ci sarà per supportare la customer experience (figura 7)
Di questo trend ne sono ben consci i Cio. E pur tra le loro mille difficoltà, i segnali di cambiamento ci sono. Si sta lavorando su più fronti:
1 – razionalizzazione, consolidamento, migliore governance e prestazioni sul livello tecnologico-architetturale;
2 – razionalizzazione e fruizione applicativa sempre più flessibile (in cloud);
3 – revisione organizzativa del dipartimento It verso una maggiore vicinanza sia alle esigenze delle lob sia di maggiore conoscenza del business e quindi dell’utente finale (come abbiamo visto in prospettiva sempre più “integrato” nelle strategie di azienda);
4 – cambiamento culturale: spazio a nuovi pensieri, certamente da armonizzare all’interno dei processi e dell’organizzazione ma senza violentare quelle idee innovative, di nuova prospettiva che, proprio perché provengono dal mercato e dai clienti, devono avere una corsia preferenziale di attuazione. Non bloccandole dietro a barriere legacy come security, Erp, e territori vari da proteggere.
È l’evoluzione della specie. Quelli che si sapranno adattare meglio sopravvivranno. E se Darwin fosse stato un Cio?