Boom del lavoro a distanza, spinta verso la digitalizzazione e disuguaglianze più profonde, deglobalizzazione correlata alla vulnerabilità della specializzazione geografica dell’approvvigionamento, ruolo più importante dei governi nello sviluppo economico, più potere di mercato dei giganti della tecnologia. Sono queste le principali dinamiche che la pandemia da Covid-19 e la crisi economico-sociale che ne è derivata hanno innescato o accelerato e che avranno un impatto duraturo nel tempo, anche quando l’emergenza sarà passata. Quali sono dunque le prospettive 2021 che ci dobbiamo attendere? E, soprattutto, quali le strategie da mettere in atto per orientare queste dinamiche verso uno sviluppo più equo e sostenibile (da molteplici punti di vista: economico, sociale ed ecologico)?
In questo periodo ho letto diversi autorevoli studi, cercato di seguire le dichiarazioni di esperti nazionali e internazionali e non è facile farsi un’idea di quello che potrebbe essere il nostro futuro. Per capire, io ho sempre bisogno di sistematizzare, di togliere i “rumori di fondo” (anche se, vissuti “di pancia”, spesso sono quelli che provocano le reazioni più forti), di de-ideologizzare i fatti e per farlo devo prendere appunti, devo farmi degli schemi, delle mappe logiche. Questo articolo nasce proprio dal mio bisogno di capire ed è il risultato di questo lavoro di analisi; diciamo quindi che l’ho scritto principalmente per dare una risposta a questo mio bisogno, ma spero possa essere di qualche utilità anche per i lettori di ZeroUno.
Le dinamiche accelerate o innescate dall’emergenza Covid
Ripartiamo dal nostro elenco iniziale perché, per delineare le prospettive 2021, è fondamentale capire quali sono le dinamiche scatenate dall’emergenza 2020.
Boom del lavoro a distanza: i pro, i contro e cosa bisogna migliorare
Lo si legge dappertutto e quindi è inutile che io sostanzi questa affermazione con dati: con l’emergenza sanitaria e i conseguenti lockdown tutto il mondo ha scoperto il lavoro a distanza; non tutti lo hanno declinato in vero e proprio smartworking, ma in molte realtà è stato compiuto il primo passo.
Se da parte delle aziende è stato riscontrato un generalizzato apprezzamento per questa modalità di lavoro, abbattendo anche molti pregiudizi (la produttività non è diminuita, la responsabilizzazione dei dipendenti è aumentata ecc.), da parte dei lavoratori c’è stata una sorta di polarizzazione delle reazioni, fin dalle prime settimane:
- grande entusiasmo da parte di chi si è trovato in condizioni domestiche ideali: postazione di lavoro più o meno attrezzata (con una connettività adeguata); assenza di figli in età scolare o molto piccoli; abitazione con spazi sufficienti per garantire a tutti i presenti di svolgere il proprio lavoro (quindi anche di fare le numerose call) in modo agevole;
- stress molto elevato nei, numerosi, casi in cui le suddette condizioni non erano presenti: ha pesato in modo particolare la convivenza con i figli; quelli molto piccoli non capivano perché la mamma o il papà, pur essendo presenti, non potevano dedicare loro attenzioni; per quelli in età scolare la DAD ha spesso significato supplire, da parte dei genitori, a un sistema scolastico non attrezzato/abituato alla digitalizzazione spinta, nonostante l’impegno della maggior parte degli insegnati e dei dirigenti scolastici.
Passati alcuni mesi, più o meno stabilizzatasi la situazione, seppur nella sua criticità per il secondo gruppo di lavoratori, sono però rimaste aperte alcune questioni, molto importanti, alle quali bisognerà darà una risposta in tempi più o meno stretti:
- equilibrio nel tempo dedicato al lavoro: molti lavoratori, soprattutto appartenenti al primo gruppo, complice il fatto che in lockdown non c’era neanche molto altro da fare e che forse “tenersi occupati” alleggeriva l’ansia provocata dalla pandemia, hanno lavorato “come se non ci fosse un domani” e senza una chiara separazione tra attività lavorativa e vita privata. È una dinamica tipica non solo del lavoro a distanza, ma derivante da quell’always on che ormai caratterizza la nostra società: non si stacca mai. E questo ha indotto a riflettere su quel diritto alla disconnessione che, in Europa, ha portato alla Risoluzione del 21 gennaio 2021 del Parlamento europeo per sostenere una legge europea che garantisca ai lavoratori questo diritto senza incorrere in ripercussioni negative da parte dei datori di lavoro. Ma non basta: lo smartworking impone una disciplina personale che non tutti sono in grado di attuare, per questo è importante essere adeguatamente formati e non sarebbe superfluo il contributo di professionisti che supportino i lavoratori dal punto di vista psicologico.
- Adeguate tutele per il lavoro da casa: lo smartworking (cosa diversa dal telelavoro che è tutta un’altra disciplina) è presente nel nostro ordinamento dal 2017 con la Legge 81 che disciplina, appunto, il lavoro agile. Da alcuni anni, quindi, alcune aziende hanno introdotto questa modalità di lavoro, ma il 2020 ha rappresentano una sperimentazione su scala nazionale dalle dimensioni inaspettate e ci consente di trarre alcune indicazioni che, in un percorso normale, avrebbero richiesto anni per essere evidenziate. Tra i temi più sentiti dai lavoratori, oltre al già citato diritto alla disconnessione ci sono quelli che riguardano i buoni pasto e la postazione di lavoro domestica.
Per quanto riguarda i buoni pasto, la Corte di Cassazione ha ribadito che, considerato il carattere non retributivo dei buoni pasto, questi possono essere unilateralmente revocati dall’azienda quindi non sono garantiti nel caso di smartworking; questo ha scatenato differenze di trattamento non solo nelle aziende private, cosa normale, ma anche nella Pubblica Amministrazione con Amministrazioni che li hanno revocati (nonostante nel periodo di emergenza il lavoro a distanza non fosse frutto di un accordo – come prevede la legge – ma imposto dalla situazione) e altre che li hanno lasciati.
Altro tema cruciale, quello della postazione di lavoro domestica: se abbondano gli studi su come strutturare uno smart office, cioè il ripensamento degli spazi di lavoro nelle sedi delle aziende, poca attenzione è stata finora rivolta a quella che, di fatto, diventa la principale postazione del lavoratore ossia quella domestica: dopo un anno di lavoro seduti al tavolo della cucina, in condizione di luce non adeguata ecc. la dolorosa ripercussione sulle schiene e gli occhi di molti lavoratori richiede una maggiore attenzione a questo aspetto. - Impatto sulla produttività: già prima della pandemia non mancavano le evidenze che lavorare da remoto aumenta la produttività dei lavoratori (tra i tanti studi, cito una ricerca del 2015 della Stanford University su un esperimento effettuato presso un’azienda con 16.000 dipendenti: l’aumento di produttività è risultato del 13%, di cui il 4% proprio per la modalità di lavoro e il 9% per le ore di lavoro aggiuntive che sostituiscono il pendolarismo). Ma ci sono altri elementi da considerare: nel Chief Economists Outlook 2021 recentemente pubblicato dal World Economic Forum si evidenzia, per esempio, il fatto che l’isolamento e il ridotto scambio, soprattutto informale, di idee possano avere un impatto negativo sulla produttività, neutralizzando o riducendo quello positivo.
Il lato oscuro della digitalizzazione spinta: disuguaglianza più profonde
Indipendentemente dal livello di digitalizzazione, l’economia mondiale pre-pandemia era ormai caratterizzata, soprattutto dopo la crisi del 2008, da una frattura sempre più profonda tra economie avanzate (e all’interno di queste la popolazione con redditi elevati) ed economie dei paesi del Terzo e Quarto mondo (e la popolazione a più basso reddito dei cosiddetti Primo e Secondo mondo). L’emergenza sanitaria non ha fatto che aggravare questo divario e la Banca Mondiale, nell’ottobre 2020, stimava che tra 88 e 115 milioni di persone in tutto il mondo sarebbero state spinte in povertà estrema, stima che è salita a 119-124 milioni a gennaio 2021 con la pubblicazione del nuovo Global Economic Prospects.
Il WEF, nel già citato Chief Economists Outlook 2021, evidenzia che la crisi ha un impatto profondamente asimmetrico anche sul mondo del lavoro, significativo l’esempio del mercato del lavoro statunitense: mentre le perdite di posti di lavoro per le recessioni del 1990, 2001 e 2008 sono rimaste al di sotto del 10% in tutto lo spettro di reddito, durante la pandemia si è aperto un divario significativo, dove i lavoratori con reddito più alto hanno registrato una media di circa il 5% di perdita di posti di lavoro contro oltre il 30% di quelli con redditi più bassi.
In una situazione così fortemente compromessa si innesta il tema della digitalizzazione spinta. La tecnologia ha rappresentato un’ancora di salvezza per molte realtà, ma ha anche accelerato il divario digitale: un esempio per tutti, forse il più banale ma sicuramente il più evidente, la differente disponibilità di connettività che consente abilita, quando è sufficientemente veloce, l’accesso a servizi audio-video altrimenti inutilizzabili (e la scuola a distanza ne è la dimostrazione più eclatante).
Deglobalizzazione e ripensamento delle supply chain
Anche in questo caso stiamo parlando di una dinamica già presente prima del 2020. Le tensioni commerciali e tecnologiche tra USA e Cina, le conseguenze della Brexit, l’instabilità politica e sociale in alcune aree del pianeta, la ridotta influenza di organizzazioni mondiali come quella del commercio avevano già provocato un ripensamento del modello che vedeva una forte delocalizzazione della produzione con conseguente “specializzazione” di alcune aree del pianeta. Ma la prima serie di lockdown ha provocato un vero e proprio collasso delle supply chain di tutto il mondo con fermi della produzione anche in quelle aree non toccate dal lockdown.
Ho già dedicato un editoriale a questo specifico tema, Come disegnare le supply chain del futuro: resilienti e smart, e quindi non mi dilungo ma, di quell’articolo, riporto le domande chiave che le aziende dovrebbero porsi per avere una visione chiara dei rischi nelle tre aree chiave della catena del valore:
- Fonti di approvvigionamento – Bisogna adottare metriche che consentano di rispondere a domande come: qual è la percentuale di importazione delle merci che servono al mio business? I fornitori sono concentrati in alcuni paesi? Quali e in quale percentuale? Qual è la quota di merci o semilavorati o materie prime che provengono a livello regionale e vicine ai clienti finali? Qual è la disponibilità di fornitori di backup?
- Produzione – Anche qui si tratta di rispondere ad alcune semplici domande che riguardano la percentuale di capacità produttiva concentrata in determinati paesi, la quantità di produzione che viene esternalizzata e se esistono capacità produttive di backup in sedi esistenti in caso di contingenze o strutture di backup qualificate in luoghi diversi.
- Distribuzione . In questo caso le metriche includono la quota dei ricavi provenienti dai mercati che potrebbero essere influenzati da forti aumenti tariffari, la percentuale di rete di distribuzione coperta da un singolo partner, il lead time medio per lo spostamento di un prodotto da una fabbrica al cliente ecc.
Più stato nell’economia?
La crisi del 2008 ha mostrato in tutta la sua drammatica evidenza il fallimento della scuola di Chicago e del cosiddetto neoliberismo e oggi i governi hanno un ruolo sempre più importante nell’indirizzare la politica economica dei paesi, intervenendo direttamente con sostegni e stimoli.
I chief economists del WEF, ma non solo, evidenziano che le risposte dei governi e delle istituzioni come la UE sono state impressionanti per rapidità e portata al manifestarsi della crisi: i governi del G20 hanno assunto impegni per un totale di 10.000 miliardi di dollari di spesa, il triplo di quanto stanziato nella crisi del 2008. E proprio la portata di questi stanziamenti impone un’attenzione particolare alle sfide che i governi dovranno vincere nel 2021:
- passare da misure di emergenza caratterizzate da sovvenzioni, prestiti o sostegni a fondo perduto per far fronte alla contingenza a investimenti a lungo termine che possano stimolare la trasformazione, in una direzione più sostenibile, della società;
- indirizzare sia la spesa per i soccorsi di emergenza che quella per stimoli nel modo più preciso e trasparente possibile perché le cifre di cui si sta parlando sono enormi e il pericolo di dirottamento dei fondi, sostiene il WEF, è presente e reale.
Lo strapotere delle big tech
Le quotazioni delle più importanti società tecnologiche sono aumentate vertiginosamente nel 2020 e il potere di queste realtà deve essere posto sotto la lente di ingrandimento perché la loro egemonia di mercato, ulteriormente aumentata con il trasferimento online di molte attività, risulta ormai problematica non solo dal punto di vista economico. Stiamo parlando della più grande concentrazione di dati nelle mani (nei server) di una manciata di aziende e questo costituisce una minaccia per la democrazia perché significa dominare la diffusione delle informazioni e, quindi, influenzare la vita politica, economica e sociale.
Un tema delicato, sul quale sia gli USA sia l’UE stanno aprendo gli occhi e Ursula von der Leyen ha dichiarato, proprio all’ultima edizione del World Economic Forum: “Il business delle piattaforme online ha un impatto, non solo sulla concorrenza libera e leale, ma anche sulle nostre democrazie così come sulla nostra sicurezza e sulla qualità delle nostre informazioni. Ecco perché dobbiamo contenere questo immenso potere delle grandi aziende digitali. Perché vogliamo che i valori che amiamo nel mondo offline siano rispettati anche online. Nella sua forma più elementare, ciò significa che ciò che è illegale offline dovrebbe essere illegale anche online. E vogliamo che le piattaforme siano trasparenti su come funzionano i loro algoritmi. Perché non possiamo accettare che le decisioni, che hanno un impatto di vasta portata sulla nostra democrazia, siano prese solo dai programmi per computer“.
Prospettive 2021. Politiche fiscali, monetarie, economiche: le questioni aperte
Anche se ciascuno dei punti che tratterò richiederebbe un articolo specifico per essere adeguatamente sviscerato, ho preferito sintetizzare al massimo per non perdere la visione di insieme e in questa sintesi mi sono soprattutto basata sulle opinioni dei responsabili economici della community del WEF.
Politica fiscale
Un’importante questione aperta è la misura in cui i governi delle economie avanzate sono giustificati a ridurre al minimo la preoccupazione per i vincoli di prestito. Sebbene si concordi sul fatto che gli errori dell’austerità post-crisi 2008 debbano essere evitati, le opinioni sui limiti di spesa sono divergenti. Quali devono essere quindi i margini di manovra dei governi? In ogni caso, il tipo di spesa è importante (crescita sostenibile e misure che catalizzano gli investimenti privati, quelli più gettonati).
I decisori politici saranno alla fine sfidati a trovare modi, come ho già scritto, per passare da misure generali di sostegno a misure più mirate che favoriscano settori sostenibili. È necessaria una forte attenzione nella transizione poiché esiste un rischio significativo di un’ondata ritardata di fallimenti, in particolare in Europa, dove il sostegno iniziale di emergenza è stato generoso.
Politica monetaria
Si prefigura una riduzione dell’indipendenza delle banche centrali? L’uso sempre crescente del quantitative easing (l’alleggerimento quantitativo è una delle modalità non convenzionali con cui una banca centrale interviene sul sistema finanziario ed economico di uno Stato, per aumentare la moneta a debito in circolazione) e le recenti iniziative per ampliare i mandati delle banche centrali indicano un imminente cambiamento di paradigma nella politica monetaria e nella sua interconnessione con la spesa pubblica. Ne è un esempio la Federal Reserve USA che ha aggiunto la massima occupazione sostenibile come obiettivo al proprio quadro politico, dandosi il duplice mandato di garantire stabilità dei prezzi e occupazione.
Dal documento del WEF emerge inoltre che, secondo i chief economists, i mandati delle banche centrali dovrebbero estendersi al contributo diretto a una trasformazione verde.
Politiche competitive
Per quanto riguarda le Politiche competitive torna il tema legato all’egemonia delle big tech e ci si chiede se gli strumenti delle autorità garanti della concorrenza siano sufficientemente aggiornati per creare condizioni più eque per l’economia digitale.
Il 2021 vedrà probabilmente un maggiore controllo delle acquisizioni da parte dei giganti della tecnologia e una regolamentazione più severa per prevenire l’abuso di dominio del mercato, ma questi sforzi saranno sufficienti per uniformare efficacemente le condizioni di gioco dell’economia digitale?
Le basi per la società del futuro
In conclusione, credo di non esagerare scrivendo che il 2021 è l’anno in cui si getteranno le basi per i prossimi decenni.
Nonostante permanga una forte incertezza dovuta all’andamento del virus e alla diffusione dei vaccini, segnali di ripresa ci sono ma è una ripresa che deve tener conto sia della pre-esistente fragilità sia di quello che abbiamo imparato da questi mesi di emergenza. E forse potremo sperare di impostare quel Great Reset del quale scrivevo in un precedente editoriale e che dovrebbe aiutarci a sostenere una ripresa più stabile e meno diseguale, sviluppare una società più inclusiva, supportare la transizione ecologica e costruire istituzioni meno ingessate e più resilienti ai cambiamenti.