Viviamo in un mondo migliore rispetto ai decenni passati? Sì, ma non per tutti. La concentrazione del benessere aumenta e la forbice tra redditi alti e redditi bassi o nulli si sta allargando sempre più; alla crescita economica non corrisponde un aumento dell’occupazione (anzi, succede esattamente il contrario). Il ben noto Rapports Oxfam 2019 sottolineava che, nel 2018, l’1% più ricco della popolazione deteneva il 47,2% della ricchezza aggregata netta mondiale con un aumento del 12% rispetto all’anno precedente, a fronte di una riduzione dell’11% della ricchezza della metà più povera dell’umanità (3,8 miliardi di persone).
A questi trend economici si affiancano problematiche ambientali sempre più stringenti che mettono sul banco d’accusa una società che ha basato il proprio sviluppo sui combustibili fossili e sul consumismo. Un’accusa che ha trovato il proprio megafono negli ormai famosi Friday for Future, che dalla Svezia si sono propagati in tutto il mondo, e un manifesto di riferimento in quel Green New Deal lanciato dai democratici Usa dopo il successo delle elezioni di medio termine, con un’agenda che vuole unire il focus sull’ambiente con quello sulla disuguaglianza sociale ed economica.
La novità è che questi temi non sono più prerogativa solo di gruppi politici o fasce della popolazione tradizionalmente legati alla “sinistra” (termine che utilizzo per semplicità, ma il cui significato nel tempo ha avuto una profonda trasformazione). Tanto per fare un esempio, tra qualche settimana si terrà il meeting annuale del World Economic Forum di Davos e anche il consesso che riunisce da quasi 50 anni il “gotha” del capitalismo mondiale (ma non solo) ha sentito il bisogno di redigere un nuovo manifesto etico, Davos Manifesto 2020: The Universal Purpose of a Company in the Fourth Industrial Revolution, nel quale (dove il soggetto è l’azienda) si leggono frasi come: “tolleranza zero verso la corruzione”, “uso sicuro, etico ed efficiente dei dati”, “protegge consapevolmente la nostra biosfera e sostiene un’economia circolare, condivisa e rigenerativa”, “rendimenti sostenibili per gli azionisti che non sacrificano il futuro per il presente”, “si comporta come una parte interessata – insieme ai governi e alla società civile – del nostro futuro globale”.
Ma a fronte di chi pensa a uno sviluppo più inclusivo, meno rischioso per l’ambiente, più equo, vaste fasce della popolazione dei paesi più economicamente avanzati cedono alla paura di perdere uno status di benessere e si affidano a politiche sovraniste che sconfinano in nazionalismi, nei quali si annidano pesanti e sempre più manifeste tracce di razzismo.
In una estrema semplificazione, potremmo dire che nel mondo si contrappongono due visioni: l’una di apertura e all’insegna di uno sviluppo sostenibile (economicamente, socialmente e dal punto di vista ambientale), l’altra di chiusura in poche e saldamente protette roccaforti che perpetrano un divario, interno ed esterno, che annichilisce gli strati più poveri ed emarginati della popolazione.
La prima prefigura un percorso complesso, articolato, che richiede anche delle rinunce, con scenari evolutivi diversi da quelli cui siamo abituati (solo per citarne alcuni: economia circolare vs economia del consumo; condivisione degli oggetti vs proprietà; posto fisso di lavoro vs flessibilità). La seconda è più semplice perché non richiede grandi cambiamenti, si basa su modelli che conosciamo da sempre, non comporta rinunce ai pochi (e sempre meno nel tempo) privilegiati che stanno dentro le roccaforti. Non so quale potrà essere l’esito della prima, non so se sarà davvero possibile costruire un mondo più equo e sostenibile, ma sono certa dell’esito della seconda perché è un dejà vu: è la storia del “secolo breve”, l’”era dei grandi cataclismi” per continuare con la citazione di Eric Hobsbawm.
Per riflettere sulle possibilità, le conseguenze e gli esiti delle due visioni, ho trovato molto interessanti gli studi State of Future e Work/Technology 2050. Scenarios and actions del Millenium Project, un think tank di ricerca no profit che dal 1996 riunisce economisti, politici, sociologi ma anche studenti, insegnati, liberi pensatori ecc.
Il primo dei due studi (disponibile anche in italiano) è molto ampio (si va dal cambiamento climatico, alla questione dell’acqua potabile, alla transizione dai regimi autoritari a sistemi democratici, alla lotta al terrorismo ecc.), ma in questo editoriale mi limito al capitolo Scenari e strategie globali per il futuro di lavoro e tecnologia al 2050, tema poi esploso nel secondo studio.
Negli studi, a seguito di un dettagliato lavoro di ricerca e di workshop e questionari condotti in tutto il mondo, vengono elaborati 3 possibili scenari al 2050 ciascuno dei quali si sviluppa a partire dai differenti approcci che, proprio in questi primi anni del secondo decennio del nuovo millennio, si avranno nell’adozione delle nuove tecnologie. Ma perché è così importante riflettere oggi su questi temi? In fondo ogni rivoluzione tecnologica ha portato grandi cambiamenti, molti timori si sono rivelati infondati e ogni trasformazione ha finito con il creare più lavori di quanti non ne abbia distrutti.
Cosa c’è di diverso questa volta? È la domanda che si pone il Millenium Project per rispondere che la grande differenza sta in 7 “semplici” evidenze:
- l’accelerazione del cambiamento tecnologico;
- la globalizzazione, le interazioni e le sinergie tra le nuove tecnologie;
- l’esistenza di una piattaforma globale, Internet, per il trasferimento tecnologico simultaneo;
- la standardizzazione di database e protocolli che agevolano quindi il trasferimento di conoscenza;
- pochi stalli o pause nel cambiamento che diano tempo alle persone e alle culture di adattarsi;
- miliardi di persone in mercati relativamente liberi più capaci di intraprendere attività;
- macchine che possono imparare come fai ciò che fai e poi farlo meglio di te.
Il mio viaggio nel tempo
A questo punto sono curiosa di vedere come sarà il 2050 e salgo su un’immaginaria navicella per il teletrasporto temporale. Un battito di ciglia ed eccomi nel 2050, vi descrivo cosa vedo.
Scenario 1. Un complesso miscuglio
Agli inizi del XXI secolo, la maggior parte del mondo immaginava un futuro di disoccupazione dovuta ai progressi dell’intelligenza artificiale, della robotica e di altre tecnologie che avrebbero sostituito il lavoro umano. Quelle paure erano infondate, ma si sono rivelate fondamentali per stimolare nuove forme di pensiero: è esplosa la crescita dell’occupazione in nuovi campi come la biologia sintetica e altri; il lavoro autonomo è diventato la nuova norma anche se una importante fetta della popolazione che non è stata capace di adeguarsi al cambiamento vive ancora in situazioni di insicurezza economica; l’instabilità sociale dovuta a questa insicurezza è stata ridotta da alcuni programmi per garantire un reddito universale di base; ogni forma di trasporto è ormai a guida autonoma e i mezzi si muovono grazie a elettricità e idrogeno; l’intelligenza artificiale si occupa di quasi tutte le fasi preliminari delle diagnosi mediche; la maggior parte dell’agricoltura è assistita da processi robotizzati o assistiti da AI; i sensori nelle città avvisano sistemi robotici ed esseri umani quando c’è bisogno di riparazioni in città sempre più smart. La maggior parte del mondo ha ora accesso personale a una vasta gamma di nuove tecnologie che contribuiscono a migliorare la qualità di vita.
Ma non sono tutte rose e fiori: “Il cybercrimine continua a diffondersi e a diventare sempre più complesso, il crimine organizzato manipola le decisioni di governo, molti sono insicuri rispetto a chi o cosa sia degno di fiducia man mano che i progressi tecnologici nel mondo continuano a fondere menti e macchine. Le interfacce cervello-cervello possono essere violate in qualsiasi momento. Migrazioni sporadiche e di massa dovute a fattori politici, economici e ambientali (tra cui il riscaldamento globale) continuano a minacciare la sicurezza mondiale. E il riscaldamento globale continua a generare un disastro naturale dopo l’altro. I poteri di gigantesche società sono spesso cresciuti oltre il controllo governativo”.
La vera angoscia che inizia a farsi strada nell’animo umano non è però dovuta ai fattori negativi appena descritti. In fin dei conti si tratta di una situazione “conosciuta”, alla quale possiamo pensare di far fronte. L’angoscia nasce da altro: “Le AI deboli, con obiettivi singoli come Watson di IBM o il motore di ricerca Google, assieme ai progetti di ricerca sul cervello umano sviluppati da Stati Uniti, Europa e Cina, hanno portato alla realizzazione dell’AI forte: una capacità generale di imparare, ragionare e adattarsi a innumerevoli condizioni per diversi scopi, qualcosa di molto simile all’intelligenza generale degli esseri umani. La AI forte è in grado di modificare il proprio codice in base ai feedback che riceve da IoT, cloud analytics e interazioni umane, diventando ogni giorno sempre più intelligente”. Il vero timore è dunque di una superintelligenza artificiale che possa diventare una “specie” superiore a quella umana.
Scenario 2. Disordini politico-economici, angoscia per il futuro
Impantanati nei conflitti delle politiche a breve termine e in un pensiero economico egoistico, i leader politici del 2020 hanno chiuso gli occhi di fronte al rapido sviluppo di intelligenza artificiale, robotica, stampa 3D/4D, biologia sintetica e altre tecnologie al punto da non rendersi conto che interi settori economici stavano diventando obsoleti, come è puntualmente avvenuto intorno agli anni Trenta di questo nuovo millennio. Lobby e gruppi politici sovranisti si sono focalizzati sulla difesa di profitti e condizioni economiche e sociali a breve termine senza definire una pianificazione a lungo termine. La concentrazione della ricchezza, il divario di reddito e la crescita economica senza occupazione hanno continuato a crescere mentre la popolazione, distratta da social media e fagocitata dalle fake news, non si è preoccupata dei cambiamenti tecnologici e nel corso degli ultimi decenni le nuove tecnologie hanno sostituito più lavori di quanti ne abbiano creati; di conseguenza, i due terzi della forza lavoro globale operano nell’economia sommersa o sono disoccupati.
Il quadro è dei più nefasti: “Dal momento che non sono stati attuati programmi di reddito di base, i conflitti sociali, i crimini informatici, il terrorismo, gli eserciti privati e il crimine organizzato dominano gran parte degli affari del mondo”. Il tutto in un crescente quadro di instabilità economica e conseguente crisi sociale: “La localizzazione della produzione tramite stampa 3D/4D, robotica e biologia sintetica (ciascuna potenziata dall’intelligenza artificiale) ha ridotto notevolmente il bisogno del commercio internazionale. I vantaggi comparativi del lavoro a basso reddito in Asia e Africa sono rapidamente evaporati tra il 2020 e il 2030. Di conseguenza, i profitti delle esportazioni di tali paesi sono iniziati a crollare, la disoccupazione è aumentata con proliferazione dell’instabilità, soprattutto nelle aree con ampia disoccupazione giovanile”. Le città si svuotano, molti disoccupati si dedicano a un’agricoltura di sussistenza ad alta tecnologia basata su stampa 3D-4D e mezzi tecnologici sviluppati per produrre cibo, casa, vestiti e altri beni fondamentali: è un movimento di sopravvivenza che si muove fuori dal sistema, una sorta di autarchia tecnologica che porta a un ulteriore rallentamento economico. “La sharing economy ha impedito che molti cadessero nella disperazione”, ma senza pianificazione strategica, senza una politica economica a lungo termine non riesce a diventare un modello alternativo dominante e diventa anch’essa preda di criminali informatici. Le vecchie fabbriche vuote, arrugginite e coperte di vegetazione sono diventate il simbolo della mancanza di pianificazione e della poca anticipazione del futuro”.
Caos, violenza, instabilità, sabotaggi, incertezza regnano in tutto il mondo e per ristabilire l’ordine civile molti paesi scelgono la strada che ben conosciamo noi del XX secolo: la legge marziale viene accolta con favore, così come la sospensione dei diritti civili e l’incremento della sorveglianza tecnologica. E mentre il “Titanic” affonda, social media immersivi con realtà virtuale avanzata, disponibili gratuitamente, distolgono l’attenzione sia dai movimenti rivoluzionari sia dalle derive autoritarie.
Lo scenario è apocalittico e culmina con l’angoscia di una superintelligenza artificiale che va al di là della nostra umana comprensione: “Il divario tra intelligenza delle macchine e capacità di comprensione degli esseri umani si è talmente ampliato che molti si sentono alienati e guardano al futuro con angoscia. Questo choc del futuro sembra aumentare senza vederne la fine. Girano voci su alcuni politici, imprenditori e guru dell’intelligenza artificiale che starebbero lavorando in silenzio per creare un ibrido AI-TransIstituzionale, un nuovo sistema di governance in grado di invertire la situazione globale. Se è vero, nessuno è in grado di prevedere come le super-AI si confronteranno con questo nuovo soggetto”.
Scenario 3. Se gli uomini fossero liberi: l’economia dell’autorealizzazione
“L’umanità ha iniziato a liberarsi dall’ansia e dalla pressione di doversi guadagnare da vivere quando l’AI debole è diventata universale, quando è stata creata l’AI forte verso la metà del decennio 2030 e quando gli esperimenti di reddito di base all’inizio del XXI secolo hanno mostrato di avere effetti positivi in alcuni paesi”. Gli investimenti in nuove tecnologie e soprattutto lo sviluppo di un’intelligenza artificiale forte in grado di autoalimentarsi ha portato a una graduale riduzione del costo della vita. Ma la vera chiave di volta è che i governi degli anni Venti e Trenta, temendo l’effetto negativo dell’evoluzione tecnologica sull’occupazione, hanno iniziato a esplorare seriamente strategie finanziarie a lungo termine per affrontare la disoccupazione futura su larga scala e ad avere un approccio etico, strategico e condiviso alle nuove tecnologie.
Di situazioni critiche ce ne sono sempre, perché i cybercriminali possono utilizzare gli stessi strumenti avanzati, ma “nonostante ciò, la simbiosi uomo-macchina è oggi un elemento chiave dell’apprendimento, dalla prima infanzia all’università, fino all’apprendimento permanente in età adulta. Le applicazioni epigenetiche per favorire comportamenti più compassionevoli attraverso l’ingegneria genetica vengono ora affiancate da potenziamenti genetici per prevenire lo sviluppo di geni del crimine o senza etica”. Non siamo però scevri dal timore di una superintelligenza artificiale e per questo negli anni sono emersi due schieramenti: uno che voleva fermare ogni sviluppo di AI forte e un altro che voleva creare un’AI forte con una base etica. È stato difficile, ma gli sviluppatori hanno collaborato tra loro “per rendere l’AI forte capace di generare una super-AI che operi oggi in modo sinergico con il genere umano. Certo, ora siamo dipendenti da super-AI in un modo che nemmeno comprendiamo appieno, ma allo stesso modo dipendiamo anche dalla natura per la genetica, la gravità, l’ossigeno, la temperatura e molti altri fattori che ugualmente non comprendiamo appieno”.
Ritorno a casa
Un po’ frastornata torno alla mia navicella e in un battibaleno sono di nuovo a questo inizio 2020.
Quelli che ho riportato sono proprio solo brevi spunti ripresi dagli studi del Millenium Project i cui scenari sono molto articolati e ricchi di particolari. Perché non provate a leggerli? Possono anche essere approcciati come libri di fantascienza o fantapolitica, ma sono sicura che molti di voi si riconosceranno in questa o quella situazione descritta e chissà, forse quello che a una prima lettura può apparire molto fantasioso ci può aiutare a riflettere sul nostro ruolo.
Del resto, non credo oggi si possa rimanere “neutrali” perché ci troviamo in uno di quei momenti cruciali che determineranno il futuro del prossimo secolo e quindi più elementi, anche poco convenzionali, abbiamo a disposizione per “scegliere” da che parte stare e meglio è.