“La normalità è una strada lastricata:
è comoda per camminare, ma non vi cresce alcun fiore”Vincent Van Gogh
Provate a pensare a quali e quante tecnologie di Information Technology sono arrivate a noi soltanto negli ultimi 3-4 anni. E pensate adesso a come hanno reagito i sistemi organizzativi aziendali. La prima cosa che viene in mente è un’affannosa corsa all’adeguamento, allo sforzo di rendere più efficaci e flessibili i processi e le culture consolidate, radicate e cristallizzate. Nei fatti si è determinato un gap crescente tra le tecnologie potenzialmente fruibili e la capacità assimilativa delle aziende nel saperne cogliere il valore. La velocità con cui le tecnologie, soprattutto digitali, vengono sviluppate e rese disponibili e i percorsi e le capacità di adeguamento e di utilizzo delle aziende sono radicalmente diverse.
Questa forbice si è inoltre via via allargata negli anni fino ad arrivare oggi ad un pericoloso punto di non ritorno, quello cioè in cui chi è in grado di mantenere il migliore tasso di “parallelismo evolutivo” tra nuove disponibilità tecnologiche e capacità organizzativa di assimilarle e sfruttarle per innovare il proprio business, resta vivo e innovatore sul mercato, chi non ci riesce rischia di essere travolto dalla “disruption”.
Oggi siamo ad un nuovo punto di accelerazione tecnologica, un’accelerazione che si concretizza con la disponibilità di software e hardware incredibilmente “disruptive” per intelligenza e potenza, che manda alle aziende un indiretto messaggio tipo: “Siamo qui, siamo tecnologie in grado di darti un vantaggio competitivo, di consentirti di innovare e sviluppare nuove forme di business in un contesto sempre più digitale. Abbi il coraggio e la capacità di cambiare cultura, competenze e organizzazioni, e comincerai a volare”.
Di quali tecnologie stiamo parlando? Per chi come noi fa questo lavoro, è impressionante vedere la ricorsività di alcune dinamiche di evoluzione tecnologica, con indicatori precisi di una direzione di disponibilità di prodotti che se opportunamente metabolizzati potrebbero connotare la nuova dimensione competitiva aziendale. Stiamo parlando, tra gli altri, di almeno tre forti trend in atto. I primi due ormai già in fase di consolidamento, il terzo in arrivo come uno tsunami nel 2017. Tutti e tre sono ambiti tecnologici che richiedono alle aziende di essere capiti, usati, metabolizzati e su questi sviluppare una nuova capacità di proposta di prodotti e servizi. Stiamo parlano per i primi due delle tecnologie di analytics e del cloud e dei sistemi cognitivi, di Intelligenza Artificiale per il terzo. Partiamo proprio da quest’ultimo, il più “cool”. Quanto abbiamo sentito parlare di Intelligenza Artificiale, di robotica, di applicazioni in grado di affiancarsi, quando non di sostituirsi, alla competenza umana? Tanto e da tanto tempo. E allora, cosa sta cambiando oggi? Perché nel 2017 dovrebbe esserci un’accelerazione? Perché questi software sono usciti finalmente dai laboratori di ricerca e le varie Ibm, Microsoft, Amazon, Google, Oracle, HPE, Apple, insomma i principali player che sono ancora in grado di poter indirizzare il mercato Ict, stanno oggi trasferendo queste caratteristiche funzionali di A.I. dai grandi progetti sperimentali e dimostrativi della loro attenzione al tema, a implementazioni per l’utilizzo nel day by day in azienda e nelle varie organizzazioni. Un esempio per rendere concreto questo discorso? Ecco arrivare, solo poche settimane fa ultimo in ordine di tempo, il lancio di Amazon relativo a nuovi tool dedicati agli sviluppatori e fruibili sotto forma di servizi di public cloud che estendono la frontiera del riconoscimento vocale, visivo e una capacità di conversione di testi in audio, per agevolare e velocizzare i processi di sviluppo. E poi ancora feature di AI che cominciano ad integrarsi nelle applicazioni classiche Erp, per poter interpretare la complessità dei dati, prevedere le variabili, accelerare e semplificare la gestione dei dati, migliorando l’interfaccia per stabilire nuove modalità relazionali tra i sistemi e gli esseri umani nello svolgimento del lavoro, un nuovo filone che stravolgerà nei prossimi anni i tradizionali criteri di formazione e di competenze. E non parliamo qui dell’evoluzione del settore della robotica e dell’IoT….
Ecco allora strettamente agganciarsi a questa tecnologia “disruptive” le precedenti due, cloud e analytics, che risuonano come quasi ormai “vecchie” ma che in realtà stanno entrando solo oggi nella loro prima fase di utilizzo diffuso ed evoluto. Quale potrà essere, secondo voi, la potenza di un’integrazione stretta tra sistemi di AI applicati all’analisi dei big data provenienti dal mercato e fruiti in una modalità “economicamente sostenibile” come quella garantita dai servizi cloud? Ci si sta davvero rendendo conto dello scenario potenziale che nei prossimi 2-3 anni potrebbe connotare la capacità competitiva dei nostri concorrenti se anche noi non sapremo utilizzare in modo diffuso in azienda queste tecnologie? E ci stiamo preoccupando delle nuove competenze necessarie?
Ecco allora l’obbligo di migliorare rapidamente l’altra componente della forbice che, prima dicevamo, va allargandosi, quella organizzativa e culturale aziendale. Concentriamoci, in questo caso, solo su due aspetti: metodologico e culturale.
La questione è: come realizzare nell’impresa quell’alveo naturale perché queste tecnologie disruptive possano al meglio sviluppare il loro potenziale che si “scarica a terra” in aumentata flessibilità, creatività, capacità innovativa dell’azienda che dovrà competere nei prossimi anni digitali? Una prima risposta metodologica ci viene ancora una volta dall’informatica e nello specifico dall’ambito dello sviluppo software. Non a caso abbiamo identificato nella Storia di Copertina del numero di ZeroUno di dicembre uno snodo importante, quello legato al concetto di Agilità del dipartimento IT nel saper soddisfare le richieste provenienti dagli utenti esterni (finali sul mercato) e interni (le persone dei vari dipartimenti che utilizzano servizi e applicazioni IT). La strada da percorrere è legata ad un cambiamento radicale nei modelli di sviluppo software ancora oggi molto strutturati e rigidi, per lasciare spazio ad un modello Agile che, in estrema sintesi, vede il coinvolgimento e la partecipazione degli utenti, in modo ricorsivo, nelle diverse fasi di sviluppo applicativo. Una modalità di ingaggio degli utenti partita come esigenza dal dipartimento It, che necessariamente deve seguire un obiettivo di coinvolgimento, partecipazione, test condivisi, indicazioni migliorative in tutte le fasi di sviluppo, per arrivare al rilascio di un’applicazione che effettivamente risponda ai requisiti e alle esigenze di chi deve utilizzarla. Questo modello “Agile”, cioè quello di un coinvolgimento diretto di chi deve fruire di informatica, va oggi estendendosi, tra mille difficoltà organizzative e culturali, ad un più ampio ambito di riorganizzazione aziendale che vuole favorire un’“innervazione digitale” diffusa, puntando proprio ad una collaborazione continua e ad un’integrazione effettiva fin dalle prime fasi di sviluppo di progetti di innovazione digitale; in pratica, seguendo i criteri di fondo della metodologia Agile, si sta cercando di costruire un modello organizzativo che, vedendo al centro differenti tecnologie digitali come base per lo sviluppo di progetti innovativi, possa coagulare le varie aree e professionalità aziendali coinvolte, in un processo ricorsivo e soprattutto di continua verifica congiunta dell’avanzamento dei vari step evolutivi che consenta di arrivare ad un risultato finale rispondente al meglio alle aspettative. E’ una strada per rendere l’azienda aperta all’innovazione e al cambiamento, cercando di avere una struttura metodologica di riferimento a cui appoggiarsi.
Ma sappiamo anche che la metodologia resta uno strumento, una tecnica, certamente sofisticata, che si concretizza in processi e practice ma che deve anch’essa calarsi in un contesto di trasformazione organizzativa e culturale imprescindibile, altrimenti anche la metodologia diventa sterile e teorica. Ed è qui, come al solito sulle persone e sulla loro voglia di cambiamento, di sapersi mettere in gioco, sperimentare il nuovo e, con determinazione, attuare nuovi percorsi di open innovation, che si gioca la vera partita.
Su questi temi tanto si è scritto e fatto in questi anni. Ma è oggi, soprattutto oggi che dovremmo metterci in gioco; oggi, che la disponibilità tecnologica ci fa drammaticamente vedere quanto potenziale potremmo sfruttare e con quanta urgenza dovremmo saper mettere in campo quelle leve di cambiamento che necessariamente devono essere usate da ognuno di noi. Forzarci a cambiare approccio mentale e operativo, essere parte di un nuovo disegno digitale, aperti alla collaborazione e alla sperimentazione. Non ci sono scorciatoie. Se questo sarà l’approccio, ecco allora che le metodologie e le nuove tecnologie già oggi disponibili e che arriveranno nei prossimi anni, troveranno il terreno fertile per svilupparsi e consentirci di realizzare i nostri sogni.