Maggiore fidelizzazione e coinvolgimento dei dipendenti, attrazione di talenti, aumento di ricavi e redditività, aumentate creatività e innovazione, valorizzazione del marchio: qual è il denominatore comune di questi indicatori del successo di un’organizzazione? La risposta è racchiusa in 3 parole: diversità, equità e inclusione.
È la premessa, basata su una serie di altri studi e ricerche, da cui parte The key to designing inclusive tech: creating diverse and inclusive tech teams, il report pubblicato alla fine di luglio da Capgemini Research Institute, per esplorare 4 tematiche e capire, da un lato, quanto diversità, equità e inclusione nei team tecnologici impattino la vita aziendale e, dall’altro, come agire affinché questi concetti pervadano la cultura aziendale. Questi i temi analizzati:
- Team tecnologici diversificati e inclusivi portano a un design tecnologico più inclusivo.
- Le attuali pratiche di inclusione e diversità non sono sufficienti e la leadership aziendale non ne è consapevole.
- I consumatori non solo sono consapevoli della discriminazione basata sulla tecnologia, ma l’hanno sperimentata personalmente.
- Le organizzazioni possono creare team tecnologici più inclusivi e progettare prodotti tecnologici inclusivi imparando da performer forti.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla premessa per approfondire perché conviene considerare diversità, equità e inclusione (che gli americani sintetizzano nella sigla DEI) nella definizione della strategia aziendale.
Perché conviene considerare diversità, equità e inclusione
Partiamo da un sondaggio condotto nell’agosto 2020 dalla società di recruitment Glassdoor su 2.745 cittadini statunitensi, nella quale il 76% degli intervistati riferisce che una forza lavoro diversificata è un fattore importante nella valutazione delle aziende e delle offerte di lavoro; inoltre, il 32% afferma che non farebbe domanda per un lavoro in un’azienda in cui vi è una mancanza di diversità tra la sua forza lavoro.
Se può essere scontato che nella ricerca di talenti i temi della diversità e dell’inclusione abbiamo una certa rilevanza, non lo è altrettanto per le performance finanziarie come invece dimostra una ricerca compiuta da The Boston Consulting Group, in collaborazione con il Politecnico di Monaco di Baviera, su 1.700 aziende di 8 diversi paesi (USA, Francia, Germania, Cina, Brasile, India, Svizzera e Austria): i ricercatori hanno esaminato la correlazione di molteplici aspetti della diversità (genere, età, origine nazionale, percorso di carriera, background industriale e istruzione) sia individualmente sia collettivamente e hanno scoperto che le aziende con una diversità totale superiore alla media avevano sia il 19% in più di ricavi da innovazione sia il 9% in più di margini EBIT.
Lo studio McKinsey Diversity wins. How inclusion matters, pubblicato nel maggio 2020 e terzo di una serie dedicata all’impatto delle tematiche della diversità e dell’inclusione nelle aziende, si basa su dati relativi a 1.000 grandi imprese in 15 Paesi e rileva che le realtà che presentano un’elevata diversità di genere nei team esecutivi hanno il 25% in più di probabilità di avere una redditività superiore alla media rispetto alle aziende che hanno una leadership meno diversificata.
Infine, lo stesso Capgemini Research Institute afferma, dopo avere condotto una serie di indagini qualitative attraverso focus group in Germania, Regno Unito e USA nonché interviste con ricercatori di istituti di design e con dirigenti dell’industria IT, che diversità, equità e inclusione svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione e nel mantenimento di un’ottima reputazione aziendale, evitando la stampa negativa e le azioni legali.
Diversity e inclusione: percezione sfasata tra top management e dipendenti
Riprendendo l’analisi dello studio Capgemini vediamo che la pandemia ha avuto un impatto negativo nel trend di attenzione verso le tematiche della diversità e dell’inclusione: se da un lato le aziende hanno incontrato maggiori difficoltà a reperire talenti qualificati, dato che il bacino cui attingere risultava ristretto rispetto alla disponibilità pre-pandemia, dall’altro l’attenzione verso le buone pratiche di inclusione e diversity si è ridotta.
Il problema è che i vertici aziendali non se ne rendono conto: secondo lo studio, che si è focalizzato in particolare sui team IT, l’85% dei dirigenti ritiene che le loro organizzazioni forniscano pari opportunità di carriera e promozione a tutti i dipendenti, ma solo il 19% delle donne e dei dipendenti appartenenti a minoranze etniche è d’accordo.
Questa percezione sfasata si ripercuote anche sul senso di appartenenza all’azienda (aspetto importantissimo in un contesto di carenza di talenti qualificati): il 75% dei dirigenti ritiene che donne e minoranze etniche provino un senso di appartenenza alla propria azienda, ma solo il 24% dei dipendenti dell’area tech condivide questa affermazione; inoltre, solo il 16% delle donne e delle persone appartenenti a minoranze etniche ritiene di non essere adeguatamente rappresentato all’interno dei team IT e tech, dove solo un dipendente su cinque è donna e uno su sei appartiene a una minoranza etnica.
Soluzioni e prodotti tecnologici sono “discriminanti”?
Ebbene, pare proprio di sì. I consumatori appartenenti a minoranze etniche rilevano pratiche discriminatorie nell’accesso a prodotti e servizi digitali: in ambito finanziario, il 50% dei clienti appartenenti a queste minoranze ritiene che sia stato offerto loro un credito inferiore per alcuni prodotti di banking online e per i servizi sanitari, il 43% delle donne e dei consumatori appartenenti a minoranze etniche ritiene che non siano state presentate loro strutture sanitarie di alto livello o che offrono servizi molto specializzati.
Per non parlare dei bias contenuti negli algoritmi di intelligenza artificiale dove, se i data base sui quali questi algoritmi si istruiscono non sono sufficientemente improntati su criteri di inclusione e diversità, si rischia di realizzare soluzioni altamente discriminatorie, come dimostrano i numerosi casi di “bad facial recognition” attribuiti alla polizia statunitense.
Team IT basati sulla diversità = prodotti più inclusivi
Dallo studio Capgemini emerge una relazione molto stretta tra progettazione di tecnologia inclusiva e team inclusivi e diversificati: è più probabile che le organizzazioni con una cultura inclusiva utilizzino pratiche di progettazione inclusive, come avere una definizione ben definita di design inclusivo che regoli lo sviluppo di prodotti e soluzioni. In queste organizzazioni più della metà (53%) ha nell’interazione umana una parte importante dei processi di progettazione e sviluppo dei prodotti che risulta essere solo del 14% nelle altre aziende; inoltre il 40% coinvolge i consumatori in questo processo (contro solo il 6% che lo fa nelle altre aziende).
Dallo studio emerge poi che un’organizzazione inclusiva su tre concorda sul fatto che il coinvolgimento delle donne e delle minoranze etniche nei team introduce prospettive diverse sul design.
È indispensabile costruire una strategia di inclusione efficace
La conclusione alla quale giunge il report è che inclusione e diversità non possono essere concetti lasciati al caso o a qualche sporadica iniziativa, devono invece essere parte di una strategia precisa ed efficace. Ed è altrettanto indispensabile aumentare l’educazione e la consapevolezza sul tema da parte della leadership.
Implementare processi, politiche e sistemi di valori che promuovano l’inclusione, unitamente a politiche a tutela delle diversità e a policy che garantiscano le stesse opportunità di carriera professionale è mandatorio non solo perché “fa bene” all’azienda stessa, ma perché, soprattutto quando questa strategia coinvolge i team tecnologici, produce una reazione a catena stimolando lo sviluppo di prodotti e soluzioni non discriminanti.