Approfondimenti

«Abbattere il costo della burocrazia entro il 2012»

Renato Brunetta illustra l’obiettivo strategico fissato dal suo dicastero per il 2012: ridurre i costi e rendere la PA veloce e al passo con le esigenze di imprese e cittadini, per realizzare uno “Stato Amico” che possa dare spazio alle forze innovative del Paese

Pubblicato il 01 Set 2009

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L’Italia è il Paese dei tesori nascosti. Spesso ignorati
dai media, troppe volte dimenticati colpevolmente dalla
politica, in Italia c’è un grande numero di
“tesori”, di eccellenze ad alto contenuto di
innovazione che però, in molti casi, non trovano il terreno
fertile per crescere e svilupparsi. Riconosciamolo: non sempre
siamo stati in grado di sostenere i nostri innovatori. Eppure
siamo un Paese che ha avuto (e continua ad avere) un
grandissimo numero di talenti: basti pensare a Antonio Meucci,
l’inventore del telefono, a Guglielmo Marconi, che
inventò la radio, a Enrico Forlanini, l’inventore (nel
1877!) dell’elicottero, a Galileo Ferraris,
l’inventore del motore elettrico, a Pier Giorgio Perotto,
il padre del primo personal computer del mondo, realizzato
nella meravigliosa Olivetti degli anni Sessanta o, più
recentemente, a Leonardo Chiariglione, l’inventore
dell’mp3.

E tutto questo senza parlare dei grandissimi nostri scienziati,
come Alessandro Volta, Enrico Fermi, Giulio Natta, cui dobbiamo
l’elettricità, l’energia atomica e la plastica. Un
grande economista, Joseph Schumpeter ha espresso meglio di ogni
altro la visione del capitalismo come sistema che si basa
sull’innovazione. Per lui quest’ultima non è altro
che ciascun cambiamento nella tecnologia,
nell’organizzazione del lavoro, nei processi di
produzione e di vendita. Se ci basiamo su questa definizione,
scopriamo che l’innovazione in Italia non è ferma, come
piace scrivere a coloro che non hanno a cuore il nostro Paese
ma solo la sua denigrazione. È solo invisibile, non percepita.
A nasconderla è in alcuni casi il nostro stesso sistema
produttivo, concentrato sulla concretezza della produzione e
della competitività e poco interessato a divulgare le sue
competenze. Ma, spesso e colpevolmente, a renderla invisibile
è la nostra politica, che non sempre ha sviluppato strategie
coerenti e integrate tra i diversi attori per permettere la
crescita di una vera cultura dell’innovazione, di un
ambiente favorevole alla sua affermazione.

Da qualche tempo, però, la situazione è cambiata. È nata nel
Paese una maggiore consapevolezza dell’importanza
dell’innovazione, che non può più basarsi unicamente
sulla forza dei singoli imprenditori che innovano costantemente
o su attività di ricerca e innovazione troppo spesso
scollegate dalla realtà produttiva. È evidente quindi come
sia necessario un progetto organico, che riporti il nostro
Paese a eccellere, come ha sempre fatto fino ad ora
(l’Italia è famosa nel mondo per la qualità dei suoi
prodotti). In questa ottica stiamo lavorando al Piano i2012, il
programma del Ministero per la Pubblica Amministrazione e
l’Innovazione per lo sviluppo dell’innovazione nel
Paese. Esso si articola in tre distinti ambiti di azione: e-
Gov2012 si pone l’obiettivo di mettere il più possibile
online la Pubblica Amministrazione, completando il processo del
suo ammodernamento; iEconomy punta a eliminare gli ostacoli
alla competitività delle imprese soprattutto medie e piccole;
iSociety si propone la diffusione tra i cittadini della
conoscenza delle tecnologie digitali, sia per il lavoro sia per
l’accesso alla cultura e ai servizi, al fine di prevenire
il rischio di esclusione sociale.

L’obiettivo strategico da raggiungere entro il 2012 è
quello di abbattere il costo della burocrazia e rendere
l’amministrazione veloce, al passo con le esigenze di
imprese e cittadini, per realizzare uno “Stato
Amico” che possa dare spazio alle forze innovative del
Paese. I computer, i telefonini e la rete sono alcuni degli
strumenti utilizzabili ma il vero processo politico consiste
nella revisione e nella semplificazione di tutti i rapporti tra
Stato e imprese e tra Stato e cittadini. È una sfida anche
finanziaria, non solo temporale. Infatti è possibile fare
tutto questo senza costi aggiuntivi. Anzi, la liberazione di
risorse che viene dall’abbattimento del costo della
burocrazia può – attraverso i maggiori risparmi che genera –
addirittura renderne disponibili di nuove. Esiste un ampio
insieme di azioni di semplificazione legislativa, normativa e
amministrativa che, senza costi aggiuntivi, sono in grado di
liberare un’enorme quantità di energia innovativa nel
Paese. In questa ottica un’azione di coordinamento
centrale forte tra le politiche in capo ai diversi Ministeri
competenti può contribuire in modo rilevante a rendere più
efficace l’impatto delle politiche per
l’innovazione che già oggi costituiscono il portafoglio
dell’azione di Governo. Azione che deve svilupparsi
attraverso due assi: da una parte la nuova Pubblica
Amministrazione online che riduce le spese dello Stato, delle
imprese e dei cittadini; dall’altra il sostegno
all’innovazione industriale, da potenziare grazie alle
nuove risorse liberate dalla riduzione degli sprechi sia con
iniziative di scouting sia attraverso vantaggi fiscali.

Il Piano i2012 richiede un cambio di posizionamento
concettuale, che si declina in diversi elementi fondamentali.
Benché vi sia da tempo la consapevolezza che, in particolare
nel nostro Paese, molte imprese basino il processo innovativo
su modelli diversi e alternativi a quelli
“research-based”, l’impostazione politica
prevalente è ancora basata al sostegno all’innovazione
esclusivamente attraverso la ricerca. Il sostegno alla ricerca
è invece solo una delle tante modalità possibili per
sostenere l’innovazione. Esistono altre modalità
aggiuntive che non sono ancora state fatte oggetto di
sufficiente attenzione politica. In questo contesto, il Piano
i2012 si innesta organicamente nel profondo processo di
rinnovamento degli strumenti di sostegno all’innovazione
che sta interessando i più avanzati paesi industrializzati.
L’obiettivo è quindi quello di offrire al Paese una
gamma di strumenti di intervento che completano e ammodernano
il tradizionale portafoglio di politiche per
l’innovazione, riconoscendo il ruolo fondamentale della
competizione, del mercato, della domanda e dell’utente
finale. In questo contesto si afferma il ruolo centrale della
Pubblica Amministrazione, non solo e non tanto come
finanziatore di programmi di ricerca ma sempre di più come
creatore di nuovi mercati attraverso l’intervento
normativo e come facilitatore dei processi innovativi
(attraverso la semplificazione legislativa e
l’accessibilità ai servizi essenziali per cittadini e
imprese).

La Pubblica Amministrazione deve ritrovare il suo ruolo di
volano per l’innovazione dando il buon esempio e
sostenendo le buone pratiche, ad esempio come acquirente di
prodotti e servizi nuovi capaci di fornire soluzioni innovative
nei settori della produzione di energia, dei sistemi di
monitoraggio ambientali, dei nuovi sistemi di trasporto. Deve
infine essere lo strumento con cui diffondere la cultura
dell’innovazione, aumentando nel Paese la consapevolezza
di come questa sia più vicina di quanto si pensi alla vita di
tutti i giorni e di come sia una delle leve su cui costruire il
successo delle nostre imprese, sia in patria sia
all’estero. In quest’ottica, per incentivare la
conoscenza delle eccellenze tecnologiche italiane, il
Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica
amministrazione e l’innovazione tecnologica ha lanciato
il progetto “L’Italia degli Innovatori” che
porterà all’Expo Universale di Shanghai 2010 le aziende
italiane più innovative del Paese, raccolte attraverso un
bando di partecipazione lanciato lo scorso 4 giugno.
L’obiettivo di questa iniziativa è triplice: dare
visibilità internazionale all’eccellenza tecnologica
italiana, spesso nascosta e poco visibile a livello
istituzionale; creare un evento, che si aggiunge agli altri che
il Ministero ha programmato in questi mesi (come il Premio
Nazionale per l’Innovazione); assicurare continuità
all’attività di scouting di imprese innovative al fine
di mettere in luce il ruolo della creatività innovativa
nazionale, oggi come nel passato. Perché questo portafoglio di
politiche?

Per tanti motivi, a cominciare dalla volontà di dare forma e
legittimità istituzionale al modello innovativo più diffuso
nel Paese, dove un approccio esclusivamente basato sul
finanziamento della ricerca di tipo tradizionale richiederebbe
una massa critica di risorse di grandezza superiore a quelle
realisticamente disponibili nei prossimi anni. Ma anche perché
è più compatibile con l’orizzonte di breve e medio
periodo che ci impongono la situazione della finanza pubblica e
la crisi economica internazionale, in quanto questo programma
chiarisce e semplifica l’assetto verticale delle
competenze Stato-regioni- amministrazioni locali in materia di
politiche per l’innovazione. Il nostro compito è insomma
far sì che in questo Paese chi ha un’idea possa trovare
il modo di trasformarla in qualcosa che funzioni, che si venda
e che lo faccia arricchire. In questo senso la Pubblica
Amministrazione ricopre un ruolo fondamentale: se è oppressiva
allontana chi vuole innovare, perché il malcapitato innovatore
dopo avere perso tempo tra mille uffici poi si scoccia e va in
un altro Paese; se invece è snella e veloce contribuisce
invece a far sì che il ben capitato innovatore trasformi la
sua idea immaginaria in una azienda che dia lavoro e non faccia
ricco solo lui ma tutto il Paese. L’Italia è il Paese
dei tesori nascosti: è il momento di trovare le
“X” sulle mappe e di cominciare a lavorare per
portarli alla luce.

Renato Brunetta

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