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Additive Manufacturing: il futuro della manifattura resiliente?

Nel momento in cui l’additive manufacturing esce dalla sola prototipazione si aprono scenari nuovi, dei quali si è avuto sentore durante l’emergenza pandemica. A Industry 4.0 – 360 Summit si è parlato della stampa 3D in produzione, dei suoi limiti e dei suoi benefici

Pubblicato il 24 Mar 2022

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Anche l’additive manufacturing ha trovato un proprio spazio nell’ambito di Industry 4.0 – 360 Summit, l’evento organizzato pochi giorni fa dalle testate Industry4business, InnovationPost e ESG360 e dedicato all’innovazione nel mondo manifatturiero.
Un focus, quello dedicato alla manifattura additiva, che parte da un assunto chiaro: tra le tecnologie che sono entrate di diritto nella grande wave dell’Industria 4.0, fin dal primigenio Piano Calenda, la stampa 3D è quella che ha conosciuto negli ultimi anni un tale avanzamento e una tale evoluzione da essersi ormai ritagliata nuovi spazi proprio nel mondo manifatturiero, soprattutto là dove fino a qualche anno fa il suo utilizzo veniva considerato come non praticabile.

Additive Manufacturing: non solo prototipazione

Ed è Massimo Zanardini, Senior Consultant di IQ Consulting, a offrire un primo quadro di riferimento, sottolineando come la tecnologia additiva abbia di fatto allargato i propri orizzonti, uscendo dal solo ambito della prototipazione rapida al quale sembrava fino a poco tempo fa destinata.
Un allargamento di prospettiva importante, reso possibile grazie a due caratteristiche intrinseche della stampa 3D: da un lato la libertà di disegnare qualsiasi forma e realizzarla, in quello che viene definito il Free Form Design, dall’altro dal fatto che per quanto complesso sia il prodotto stesso, questa complessità non va a incidere sul costo di produzione. Concetto quest’ultimo che Zanardini riassume in “Complexity for free”.

L’evoluzione di questi ultimi anni ha trovato una accelerazione nel contesto pandemico, quando l’additive manufacturing ha espresso a pieno le proprie potenzialità aiutando le imprese a superare alcune difficoltà nell’approvvigionamento di determinati componenti e dunque dimostrandosi come una delle leve in grado di migliorare la resilienza e la agilità delle supply chain.
“Oggi l’additive manufacturing trova applicazione in contesti di produzione anche medio-grandi, nella realizzazione di pezzi funzionali, di parti di ricambio e introduce nuove logiche e nuovi equilibri anche di tipo economico”.

Tra reshoring e nuovi modelli di business

Non si tratta solo di abilitare una produzione on-demand, che riduce immobilizzi di capitale e costi di stoccaggio, ma di un reshoring, che riporta la produzione vicina al punto di consumo, aumentandone la resilienza.
Un approccio che richiede tuttavia competenze nuove e anche l’abilitazione di nuovi ecosistemi e nuove supply chain completamente digitali, ancora difficili da realizzarsi.
C’è molto realismo nelle parole di Massimo Zanardini, che se da un lato delinea uno scenario sicuramente interessante, soprattutto in momenti di incertezza quali quelli che stiamo vivendo, dall’altra sottolinea come tutto questo al momento trovi ancora applicazione limitata e come l’equilibrio tra i costi associati all’utilizzo di questa tecnologia e i suoi benefici debba essere attentamente valutato.

HP: La stampa 3D per la produzione

È in questo contesto che si inserisce la testimonianza di Stefania Minnella, 3D Printing Application Engineer di HP Italy.
HP, ricorda Minnella, ha deciso di entrare nel mondo della stampa 3D solo nel 2o17, con una vocazione ben precisa: lavorare in un contesto B2B e utilizzare la tecnologia non per prototipazione, bensì per la produzione, con tempi e costi competitivi paragonabili a quelli delle tradizionali tecnologie di produzione.
Ed è con questo approccio che HP si è mossa anche in Italia, dove oggi le sue macchine sono installate sia in realtà che hanno scelto l’additive manufacturing per piccoli lotti di produzione, sia in realtà più grandi, con lotti che arrivano ai 20 milioni di pezzi l’anno.
Nell’ambito industriale, sottolinea Minnella, l’automotive è uno dei comparti più attivi e interessati all’additive manufacturing, e soprattutto è settore nel quale si è valutato con maggiore attenzione il passaggio dalla prototipazione alla produzione vera e propria.
Attivi e interessati risultano anche il settore medicale e quello dei beni di consumo.

I nuovi ecosistemi dell’additive manufacturing

Minnella concorda con Zanardini sulla necessità di creare nuovi ecosistemi.
Non è un caso che oltre alle aziende che decidono di adottare soluzioni di additive manufacturing per la propria produzione interna, ci sono realtà che operano sul mercato come terzisti, a supporto di aziende piccole che non hanno la capacità economica di sostenere un investimento in questa tecnologia o che non hanno volumi di lavorato tali da giustificare l’investimento stesso, ma vogliono ugualmente beneficiare dei vantaggi della stampa 3D.
HP li chiama service bureau e sono di fatto gli avamposti di nuovi modelli di business, a metà strada tra la servitization e il cloud manufacturing vero e proprio, come sottolinea ancora Massimo Zanardini.
Un cloud manufacturing costituito da risorse produttive “in rete”, utilizzabili al momento del bisogno, in una logica win-win che da un lato democratizza l’accesso all’additive manufacturing, dall’altro consente a chi ha investito in questa tecnologia di “saturare” la propria capacità produttiva.

Due casi concreti: Everex e Campetella

A conferma di quanto lo scenario sin qui delineato sia non solo realistico, ma reale e concreto, Minnella porta due casi d’uso, nei quali l’additive manufacturing viene utilizzato direttamente in produzione.
In Everex, ad esempio, realtà che sviluppa e produce macchine per le analisi di laboratorio, l’additive manufacturing viene utilizzato per la realizzazione di un componente destinato alla movimentazione delle provette dei campioni e dei reagenti.
È un componente con geometrie innovative, che variano da cliente a cliente, sulla base delle specifiche necessità legate alle dimensioni delle provette utilizzate. In questo caso, la stampa 3D ha dato risposte adeguate in termini di flessibilità, agilità e velocità di realizzazione e implementazione, superando le tecnologie tradizionali.
Un secondo esempio citato da Minnella è Campetella, azienda attiva nel settore della robotica e dell’automazione, che ha scelto la tecnologia additiva per la realizzazione di mani di presa per l’estrazione dei pezzi realizzati con stampaggio ad iniezione.
La tecnologia additiva consente la massima personalizzazione delle mani di presa, sulla base di esigenze anche molto specifiche e complesse. Il tutto a costi contenuti e con tempi di realizzazione decisamente inferiori rispetto alle tecnologie tradizionali.
Anche Campetella, come Everex in precedenza, si è avvicinata alla stampa 3D attraverso un service, per poi decidere per una implementazione interna della tecnologia.

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