Aiutanti robot e filtri hi-tech per l’acqua: l’IoT “umanocentrica”

L’Internet of Things è considerata un ambito avveniristico, ma la ricerca deve concentrarsi su applicazioni immediatamente utili: per il welfare nei Paesi avanzati, per migliorare le condizioni di vita nel resto del mondo, e per rendere totalmente sostenibile l’attività dell’uomo. La lezione di Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova

Pubblicato il 21 Feb 2014

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Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova

Di Internet of Things (IoT) si parla ormai moltissimo come uno degli ambiti tecnologici più dinamici e avveniristici, ma i laboratori di ricerca e sviluppo oggi devono concentrarsi su applicazioni IoT che siano concretamente e immediatamente utili, supportando un welfare di nuova generazione per i Paesi avanzati, il miglioramento delle condizioni di vita nel resto del mondo, e soprattutto la sostenibilità della crescente presenza dell’uomo sulla Terra. È questa la lezione di Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nel suo intervento al recente “Internet of Everything Italian Forum”, organizzato a Milano da Cisco Systems.

Siamo sempre di più, tra vent’anni saremo 9 miliardi, e quindi con una domanda sempre più alta di risorse in un mondo di cui dobbiamo preoccuparci della sostenibilità, sottolinea Cingolani. «La Terra è un ecosistema chiuso, per quanto grande, in cui l’essere umano è un parassita, nel senso scientifico del termine, perché non crea ma divora risorse. E la sostenibilità di un sistema pianeta/parassita è un problema di equilibrio termodinamico, per cui occorrerà un approccio globale che integra tutte le linee di sviluppo tecnologiche attuali: scienze dei materiali, nanotecnologie, robotica, informatica, bioscienze».

Un tipico problema per esempio è lo smaltimento della plastica, di cui vengono prodotte 290 milioni di tonnellate all’anno: «Oggi si può ottenere plastica dagli scarti vegetali del prezzemolo o del mais, centrando così due obiettivi: si risparmiano i costi di smaltimento della materia prima, e la plastica è totalmente biodegradabile. Ma questo naturalmente comporterà enormi esigenze di sincronizzazione delle supply chain di settori diversi attraverso internet».

Roberto Cingolani

Venendo specificamente all’IoT, «alle cose da connettere tra loro», è fondamentale capire cosa si può fare di davvero utile, senza sprecare risorse. «E siccome chiaramente la tecnologia è “umanocentrica”, cioè l’uomo è al centro delle ricerche e degli sviluppi tecnologici, abbiamo due tipi di esigenze», ha proseguito Cingolani, mostrando delle mappe con la ripartizione dell’utilizzo di energia, dell’aspettativa di vita e della disponibilità d’acqua nel mondo. Mappe del tutto simili tra loro, che definiscono due mondi con esigenze completamente diverse.

«Da una parte c’è un 20% di umanità composto da società ricche che invecchiano, e che hanno bisogno di un welfare di nuova generazione, e quindi di poter invecchiare in buona salute, grazie a nano-medicine, screening predittivi avanzati, tecnologie avanzate per l’assistenza e la riabilitazione».

Dall’altra invece abbiamo bisogno di inventare cose per il resto dell’umanità, per le società emergenti in forte crescita: «Basic welfare, cioè medicinali a basso costo, diagnostica portatile, informatizzazione e trasferimento di tecnologie, aumento della speranza e della qualità di vita tramite igiene, alimentazione, cultura». In quest’ottica, tra gli sviluppi IoT in corso, le tecnologie per potabilizzare l’acqua sono di estrema importanza, anche se non certo da prima pagina come le “smart car” che si parcheggiano da sole.

«Per sopravvivere servono 5 litri al giorno, il fabbisogno civile minimo è 50 litri, una famiglia statunitense consuma 350 litri al giorno, una europea la metà, una africana ne ha a disposizione solo 20», ha detto Cingolani, mostrando una spugna nano-tech, basata su un brevetto italiano, in grado di separare l’acqua da olio, petrolio, metalli pesanti, e persino di filtrare il colesterolo dal sangue. «Questo è il classico esempio di innovazione di alta tecnologia che si concretizza in un oggetto estremamente utile, che costa pochissimo e che è riciclabile».

Un altro esempio analogo sono le “point of care technologies”, utilissime per le zone dove non ci sono ospedali: «Sono sensori “usa e getta” per diagnosi precoci, in pratica basta sputare su un pezzetto di plastica per accertare immediatamente malattie come l’HIV nelle fasi iniziali, e quindi più facilmente curabili».

Chemioterapici monocellulari e robot terapisti, badanti e “casalinghi”

Per la parte “ricca” dell’umanità invece, continua il direttore scientifico dell’IIT di Genova, la ricerca in ambito IoT si sta concentrando su cose completamente diverse: «Terapie personalizzate e nanomedicina: avremo per esempio farmaci chemioterapici in forma di “proiettili miniaturizzati” che colpiscono una sola cellula tumorale, e anticorpi personalizzati che possono riscrivere sequenze del DNA».

E inoltre robot per affiancare a casa le terapie di riabilitazione ospedaliere post ictus o incidente, ed esoscheletri per prestazioni aumentate in caso di arti a ridotta funzionalità: «Sono dispositivi che possono essere controllati da remoto, macchine intelligenti che interagiscono e danno feedback al malato».

Il passo successivo è quello dei robot “compagni per l’uomo”, con mansioni di assistenza agli anziani, housekeeping, monitoraggio, disaster recovery (per agire in zone colpite da disastri naturali o incidenti nucleari), ma anche divertimento ed educazione, ha spiegato Cingolani mostrando un video di iCub, il robot più avanzato dell’IIT, in azione: «Ha intelligenza artificiale molto evoluta, impara e non è teleguidato».

Un solo uomo è molto più complesso della rete internet mondiale

Sviluppi estremamente interessanti, quindi, ma limitati da un “collo di bottiglia”: la capacità computazionale. Oggi, nonostante da decenni la fantascienza ci proponga la cosa come imminente, parlare di robot intelligenti come l’uomo non ha senso neanche in prospettiva: «In un secondo, un computer può fare 2 milioni di operazioni, un essere umano ne può fare un miliardo di miliardi: il silicio, anche continuando a evolvere con la Legge di Moore, non ci porterà mai a questi livelli, ci vogliono tecnologie diverse, come per esempio lo scambio di ioni in acqua, che è quella che usa l’uomo».

La mente e il corpo di un solo uomo, quindi, oggi costituiscono un sistema di svariati ordini di grandezza più complesso dell’intera rete internet planetaria: «Occorre andare oltre, arrivare a una internet of “living things”, sostenibile e biocompatibile, un insieme di miliardi di intelligenze che può diventare il più potente strumento di welfare, e che avrà come repository il cloud: è uno sviluppo che richiede una grande preparazione, dal punto di vista sociale ed etico».

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