Sembrerebbe che per il momento eBay, Amazon e – non dimentichiamolo – Alibaba (il colosso cinese dell’eCommerce) possano dormire sogni tranquilli. Nonostante Google, Twitter, Facebook e Pinterest abbiamo annunciato o già cominciato a sperimentare l’inserimento del famigerato pulsante “Buy” sulle proprie pagine, trasformare un’immagine, una ricerca o un’inserzione pubblicitaria in un’applicazione eCommerce è ancora assai più difficile di quanto si immagini. È un’accurata inchiesta di Re/code, piattaforma indipendente di analisi e informazione sullenuove tecnologie, a mettere in evidenza le difficoltà che i grandi del Web stanno incontrando nel passare dalla logica del “far trovare” a quella del “far comprare”.
Innanzitutto c’è il problema dell‘integrazione in real time con la situazione delle scorte dei retailer, per non parlare dei sistemi di pagamento. Più che conquistare la fiducia dei consumatori – che comunque, quando si parla di Google e company, è una criticità facilmente aggirabile vista la forza dei brand – bisogna poi superare la diffidenza dei partner, che temono l’intromissione di alleati così potenti nelle relazioni con i propri clienti. Sulla carta lo scopo delle Web company, almeno per il momento, non è rubare clienti ai negozi, bensì permettere ai negozi di fare più affari. Se i banner generano immediatamente transazioni, gli investimenti in advertising non potranno che aumentare.
Un circolo virtuoso che dovrebbe favorire soprattutto il mobile: nel primo trimestre 2015, infatti, l’mCommerce è cresciuto tre volte più in fretta degli acquisti fatti su desktop, mentre la percentuale di consumatori che compra qualcosa dopo aver cliccato un banner è ancora sensibilmente inferiore quando si parla di smartphone. Per essere precisi, gli ultimi dati forniti da ComScore dicono che a fronte di un 60% di online browsing sui prodotti da acquistare effettuato su smartphone e tablet, solo il 15% delle transazioni su Internet avviene tramite Mobile. I margini per crescere, dunque, ci sono eccome, anche se le iniziative faticano a decollare.
Tutto è cominciato a gennaio 2014, quando Twitter ha reso noto un accordo con Stripe, specialista di soluzioni di pagamento digitale, per il lancio di un “Buy button” che però non avrebbe visto la luce prima di settembre. Nel frattempo Facebook a luglio aveva già cominciato una sperimentazione di aggiunta appunto di un’icona “buy” su alcuni post promozionali di alcune piccole attività.
Google e Pinterest hanno seguito a ruota, ma per ora solo a livello di annunci. Pinterest sembrerebbe tra l’altro la più adatta a sostenere questo nuovo ruolo, visto che una recente ricerca (commissionata dalla stessa Pinterest) dice che l’87% degli iscritti al social network decide cosa acquistare proprio in base a ciò che vede nelle pagine dei profili che segue.
Una conferma, tuttavia, arriva anche da Macy’s, che ha scelto Pinterest per sviluppare la propria strategia di eCommerce al di fuori della piattaforma proprietaria. «È perfetta per favorire la scoperta e l’ispirazione e rappresenta il modo migliore per portare il prodotto all’attenzione di clienti consolidati e potenziali», ha dichiarato Serena Potter, Vice President Digital and Social Media dell’insegna americana. Pinterest, d’altra parte, ha fatto sapere che sta lavorando con i propri partner per creare un sistema di aggiornamento delle disponibilità in scorta con aggiornamenti di 15 minuti. Ancora troppi, se si pensa alla sconfinata audience potenziale di un servizio di eCommerce attivato su una scala tanto grande.
Facebook lavora invece da quasi un anno con Shopify, operatore specializzato nella vendita multicanale per il settore Small and medium business, che funge da punto di collegamento tra piccole attività e il network di Mark Zuckerberg. Facebook sembra determinato a voler mettere a punto il meccanismo prima di puntare ai grandi brand. Inutile dire che ora tutti gli occhi sono puntati su Mountain View: l’approccio che avrà Google nei confronti del mercato è senz’altro destinato a cambiare le carte in tavola.