Nella moltitudine di anticipazioni, voci, annunci, commenti, smentite e bilanci di ogni genere che caratterizzano l’appuntamento annuale del CES (Consumer Electronics Show) non è mai facile riuscire a individuare indicazioni utili su dove orientare investimenti e attenzione in ambito business. Eppure anche dal mega-evento di Las Vegas, così orientato all’hi-tech consumer, sono emerse quest’anno tendenze interessanti anche per i decisori aziendali.
Una certezza su tutte riguarda la partecipazione. In un periodo dove tante manifestazioni accusano il colpo della concorrenza online, anche quest’anno Las Vegas è stato un appuntamento irrinunciabile per molti. Hanno infatti risposto all’invito 170mila visitatori, pronti a valutare le proposte di 3.600 espositori.
Tra i tanti annunci e l’abituale invasione di novità, vere o presunte, un elemento su tutti è spiccato in modo piuttosto netto. Quella che in estrema sintesi viene chiamata Internet of Things sta avanzando a velocità sostenuta. Prima ancora di oggetti e applicazioni ancora tutti da valutare nella quotidianità, il filo conduttore della manifestazione è stato infatti la rapida diffusione di componenti minuscoli, potenti e intelligenti, installabili praticamente su qualsiasi oggetto si desideri controllare. Al momento la massima espressione di questa tendenza si sta affermando nella Connected Car, anche solo per le prime soluzioni pronte per entrare nella produzione di serie. Senza però sottovalutare la rapida crescita della tecnologia legata ai droni e la grande scommessa, non solo consumer, dei wearable device. Diverso invece il discorso relativo alla ormai affermata stampa 3D, dove è già più corretto parlare di evoluzione invece di novità.
Le fondamenta per la rivoluzione promessa da Internet of Things sono ormai pronte, come dimostra l’interesse dai chi è coinvolto nella sfida ai livelli architetturali più interni, a partire da Intel. Al centro della scena, il produttore di componenti ha collocato Curie, un hardware dalle dimensioni di un bottone, pensato per soluzioni indossabili. Prima di tutto, nelle speranze dell’azienda, le proprie applicazioni per videocamere RealSense, ma più in generale che spaziano da robot a droni volanti multirotore e autovetture. Inoltre, a favore della versatilità arriva Diversity in Technology, iniziativa che comprende un investimento di 300 milioni di dollari per favorire una maggiore diversità nel settore tecnologico in generale.
Tra le prime applicazioni pratiche costruite intorno alle soluzioni Intel, dispositivi indossabili prodotti da Oakley, produttore di occhiali del Gruppo Luxottica in ambito sportivo. Per quanto riguarda la sicurezza, l’azienda ha presentato True Key, un’applicazione multipiattaforma che impiega elementi biometrici come il viso, un dispositivo o impronte digitali, per l’autenticazione.
Dopo l’avvento prepotente sulla scena durante il 2014, è invece un momento di riflessione per i cosiddetti wearable device, vale a dire i dispositivi intelligenti indossabili. Finora questo comparto consta quasi esclusivamente di orologi e bracciali dove, esaurita la spinta iniziale, la mancanza di funzionalità estese oltre il semplice contapassi o l’interazione con lo smartphone ha rallentato gli entusiasmi. Qualche cosa sembra muoversi anche qui, con prospettive interessanti soprattutto nel settore della sanità, dove si aprono possibili ripercussioni in ottica di e-health. La possibilità di contare su strumenti affidabili per il monitoraggio a distanza dei parametri vitali infatti, presenta le carte in regola per aumentare l’efficacia dell’assistenza sanitaria senza gravare su studi medici, ospedali e pronto soccorso.
Nell’immediato però, le attese per l’IoT sono rivolte soprattutto al mondo automotive. In attesa di vedere sviluppate soluzioni anche in ambito business, per esempio al servizio della logistica e della supply chain, l’interesse è ancora rivolto alle funzionalità più innovative per le automobili. Le soluzioni di manovra assistita o automatica per il parcheggio, che nelle auto di serie cominciano a emergere solo per i segmenti più costosi, al CES di quest’anno erano dati per acquisiti. Grazie a sistemi integrati e alla capacità di comunicare con la Rete, sarà infatti presto possibile andare oltre, per esempio andando a trovare il parcheggio a colpo sicuro, oppure addirittura viaggiando senza dover guidare, come ha dimostrato nell’occasione Audi con un veicolo partito da San Francisco e controllato in remoto fino a Las Vegas, nei pressi dell’esposizione. Dalla collaborazione tra Qualcomm e Cadillac dovrebbe invece scaturire una vera e propria autovettura intelligente basata su Android, capace di interagire con i relativi dispositivi, non solo per gestire la multimedialità e le telefonate, ma anche per eseguire App per la sicurezza, interpretando lo stile di guida, riconoscendo movimenti bruschi, e mettendo in relazione eventuali cambi di direzione con le indicazioni provenienti dalla strada.
Da qualche tempo al centro dell’attenzione soprattutto per i risultati suggestivi delle immagini che permettono di ricavare, i droni al CES hanno registrato una sorta di consacrazione. Appurate le potenzialità, la sfida è ora quella di renderli più resistenti, affidabili e soprattutto economici. Subito dopo, si pone il problema di pensare anche alla produttività per applicazioni oltre il semplice aspetto ludico. Una sfida al momento tutt’altro che facile e scontata.
Diverso il discorso relativo invece a un’altra tendenza di maggior richiamo degli ultimi tempi. A differenza dei droni, la stampa 3D si sta già facendo strada anche in ambito professionale e aziendali, con sperimentazioni industriali in varie fasi del manufacturing, in particolare nella prototipazione. Gli usi industriali della stampa 3D hanno ormai una definizione a sè – Addictive Manufacturing -, e una ricerca di Smartech presentata proprio al CES stima tra cinque anni un valore di due miliardi di dollari per le applicazioni di stampa 3D nel solo settore automobilistico, dove secondo il report i principali costruttori sarebbero già a quota 100mila componenti di prototipi stampati appunto con tecnologie di Addictive Manufacturing.