I chatbot sono stati sdoganati: da trend tecnologico sono, ormai, divenuti a pieno titolo una realtà in azienda. Un’indagine di BI Intelligence stima che sono oltre 10mila le organizzazioni che nel 2016 hanno iniziato a sviluppare chatbot e che nel 2020 l’80% dei brand utilizzerà queste piattaforme. Gartner, invece, prevede che già entro fine anno solo 1/3 delle attività di customer care richiederà obbligatoriamente l’interazione umana, mentre la quota rimanente potrà essere sostituita da servizi automatizzati che sfruttano l’intelligenza artificiale.
«Nei contact center, il 50/60% delle attività è di tipo ripetitivo, quindi può facilmente essere delegato alla tecnologia, lasciando al cosiddetto human touch le attività a maggior valore aggiunto», spiega Walter Spadoni, Co-Amministratore della startup Vox-up e un passato di manager in multinazionali che operano nel settore dei contact center. Di fatto, quindi, il customer care tradizionale sta evolvendo verso una nuova formula che si potrebbe definire “conversational care”, operata attraverso i chatbot. Nelle realtà più evolute si può addirittura parlare di “conversational commerce”, un nuovo modo di guidare il processo d’acquisto che sfrutta l’integrazione dei chatbot all’interno delle piattaforme di contact center e la loro parziale conversione verso attività di upselling e cross-selling che fanno leva sulle funzionalità di auto-apprendimento dei bot (che imparano automaticamente, attraverso l’esperienza) e sfruttano l’analisi in tempo reale dei dati sulle abitudini di consumo e le preferenze dei clienti.
I chatbot sono applicazioni che adottano interfacce dalle modalità conversazionali e sono quindi naturalmente integrabili all’interno di piattaforme di instant messaging. Si compongono di diversi elementi: l’interfaccia utente (app di chat) si integra con i servizi di elaborazione del linguaggio naturale (e gli algoritmi di intelligenza artificiale/autoapprendimento) da un lato e con il backend dell’azienda (sul quale risiedono i dati da rielaborare in tempo reale) dall’altro.
La prima piattaforma a introdurre questo tipo di interazioni è stata Telegram, nel giugno 2015, seguita da Skype, iMessage e WeChat. L’ultima è stata Facebook Messenger, che ha aperto la propria piattaforma alla tecnologia chatbot circa un anno e mezzo fa. Da allora, però, il numero di chatbot su Facebook Messenger è andato crescendo a ritmi vertiginosi e oggi ha superato quota 33mila.
Procedere a “piccoli passi”
«Diverse aziende – prosegue il manager – promuovono i chatbot come un plugin della piattaforma di gestione multicanale dei clienti, ma poi lasciano le organizzazioni in balia della revisione dei processi. La sfida, per noi, è essere estremamente concreti ed è per questo motivo che promuoviamo una politica dei “piccoli passi”. Quella dei chatbot è una tecnologia innovativa e complessa, che deve essere ancora affinata e va inserita in modo estremamente cauto e programmato all’interno dei processi esistenti. In questo senso, è fondamentale la conoscenza delle tecnologie che governano il contact center ma anche dei processi che le sottendono e, più in generale, di tutti gli altri processi aziendali». Proprio per garantirsi le sinergie necessarie per operare come un vero e proprio abilitatore della digital transformation del contact center, la società ha siglato di recente una partnership con Vidiemme Consulting. «L’attività core del call center è sempre la stessa – spiega Marzia La Ganga, Business Analyst & Chatbot Designer di Vidiemme Consulting –, ma c’è un cambio di paradigma tecnologico in atto e bisogna indirizzarlo al meglio. All’inizio ci siamo un po’ scontrati con questo nuovo trend, i clienti ci chiedevano il chatbot chiavi in mano perché, magari, avevano sentito parlare di questa tecnologia. Tuttavia, troppo spesso mancava, al loro interno, un esperto di dominio e questa carenza finiva per compromettere la riuscita dei progetti. Vox-Up, anche se è una startup, è stata creata da persone che hanno maturato una profonda conoscenza del settore del call center e sono, quindi, in grado di comprendere i processi, mapparli e ottimizzarli mentre Vidiemme Consulting è un abilitatore della digital transformation a 360° e può aiutare a innestare i chatbot in un progetto più ampio».
Chatbot sì, perché…
Sicuramente tra i vantaggi principali di questo canale di assistenza ci sono la velocità e la facilità d’utilizzo. I clienti apprezzano la possibilità di ricevere un supporto in qualsiasi momento, anche durante la notte o le feste comandate, ovunque si trovino, e di riceverlo in tempo reale. Per le aziende, invece, questa opzione rappresenta un modo, tutto sommato economico, per fornire un’assistenza 24×7 sfruttando un canale aggiuntivo di visibilità del proprio brand. «I chatbot possono arrivare già oggi a sostituire in modo efficace l’assistenza di 1° livello. In realtà noi preferiamo parlare di assistenza integrata, ovvero una assistenza che garantisca la piena integrazione fra chatobot e human touch perché l’introduzione di queste tecnologie in azienda non è giustificata dalla necessità di tagliare dei posti di lavoro, ma più semplicemente dalla volontà di usare le risorse in modo più produttivo, nel contempo qualificandole», commenta Spadoni.
Il cliente è più coinvolto
Su alcuni grandi clienti nell’ambito dei media e insurance sono già partiti i primi progetti congiunti Vox-up e Vidiemme. «Il chatbot costa meno, fa azioni ripetitive senza stancarsi e soprattutto offrendo la garanzia della qualità costante, anche alla centesima risposta ripetitiva. Per l’operatore fisico questo significa veder sostituita un’attività a basso valore aggiunto con nuove attività di qualità, legate ad esempio allo sviluppo del business, alla promozione delle vendite o all’assistenza di alto livello ai clienti. Il call center è uno strumento straordinario attraverso cui le aziende possono veicolare il proprio brand e la propria offerta, intercettando il cliente attraverso modalità di coinvolgimento nuove. Aver generato una customer experience positiva è uno dei traini principali del passaparola, che permette di acquisire nuovi clienti contenendo gli investimenti promozionali». Una volta attivato, il chatbot diventa di fatto un canale aggiuntivo rispetto ai tradizionali. Va, però, appositamente “formato”, perché di fatto trasferisce il mood dell’azienda, e declinato sulle sue reali esigenze del cliente. Dopo aver delegato la gestione dei compiti ripetitivi o la risoluzione di ticket, il software potrà contattare un operatore affinchè venga proposta al cliente una vendita incrociata. Il risultato è, quindi, triplice: migliora la qualità del lavoro degli operatori del call center, ne giova la customer experience e sarà possibile agganciare alle attività routinarie servizi a valore aggiunto, sfruttando le sinergie che si creano in modo seamless con l’operatore. Retail, utility, banche, assicurazioni e Telco sono tra le industry che più stanno investendo nelle tecnologie in questione, anche se spesso lo fanno in modo un po’ miope, sulla scorta dell’onda mediatica che vede questo trend tecnologico come uno dei “topic” dei prossimi mesi. «In realtà, la tecnologia da sola non può nulla se non si parte dall’analisi dei bisogni reali, concreti dell’organizzazione e, soprattutto, dalla revisione dei processi di supporto multicanale già in atto in azienda. Per contro, se ben sfruttata e soprattutto correttamente integrata permette di proporre offerte altamente personalizzate sulla base dell’analisi in tempo reale dei dati storici del cliente, delle sue abitudini e preferenze, per meglio presidiare il processo d’acquisto sfruttando un unico canale tecnologico», conclude La Ganga.
26 settembre 2017
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