Nel 2021 l’Internet of Things (IoT) ha raggiunto un valore pari a 190,26 miliardi di dollari. La pandemia in sostanza ha avuto un duplice effetto: da un lato ha fatto registrare, soprattutto nel 2020, una battuta d’arresto sugli investimenti nei grandi progetti IoT; dall’altro ha accelerato i processi di digitalizzazione rendendo sempre più pervasiva l’adozione di hardware, piattaforme, software e servizi di connettività. Solo con riferimento all’Italia, l’anno scorso il mercato ha superato i 7 miliardi di euro, con un incremento del 22% rispetto al 2020 e con 110 milioni di oggetti connessi, che corrispondono a 1,8 per abitante. Segno che la maturità delle tecnologie IoT oggi vede una diffusione costante in svariati casi d’uso come la smart factory, la telemedicina, la smart city, lo smart building e la smart grid, solo per citare gli stessi settori dell’Internet of Things che anche il PNRR prevede di supportare da qui al 2026.
Accanto a questi ambiti ormai ampiamente noti, esistono alcune sperimentazioni che stanno cercando di portare l’IoT oltre i confini sinora conosciuti e che si possono suddividere in 3 macro categorie:
- Internet of Underwater Things (IoUT)
- Internet of Underground Things (IoUGT)
- Internet of Space Things (IoST)
L’Internet of Underwater Things (IoUT)
Dopo aver riempito la terraferma di sensoristica a tutte le latitudini, potrebbe sembrare un controsenso procedere con un’analoga pervicacia anche sui mari, che già patiscono a causa di fenomeni altamente inquinanti come quelli delle microplastiche. L’unica ragione che giustifichi l’IoT “subacqueo”, quindi, è che i vantaggi che ne potrebbero derivare siano maggiori rispetto ai rischi di alterazione per il pianeta, tenendo conto fra l’altro della complessità tecnologica derivante da un ambiente, qual è quello marino, molto più ostile di quello terrestre per la conservazione e il funzionamento degli oggetti, nonché per la trasmissione del segnale. Ciò premesso, la comunità scientifica internazionale sta lavorando alacremente per rendere i sistemi IoUT efficienti ed economicamente sostenibili. Le possibili applicazioni sono molteplici e vanno dallo smart building (basti pensare all’importanza di una rilevazione costante dei parametri strutturali di edifici in contesti lagunari come quelli di Venezia) al monitoraggio della qualità dell’acqua, fino all’impiego in campo energetico nei sistemi off-shore che sfruttano il moto ondoso. In Italia, Wsense, spin-off della Sapienza, ha sviluppato una rete sottomarina wireless mesh che si adatta di volta in volta al protocollo di trasmissione da utilizzare grazie al ricorso ad algoritmi di intelligenza artificiale. Insieme alla rete, la società è impegnata nella riduzione del costo e delle dimensioni dei dispositivi e nell’ottimizzazione dei consumi energetici associati. Tra i settori applicativi più promettenti che al momento si sono dimostrati molto interessati alle tecnologie di Wsense al primo posto ci sono quelli dell’acquacoltura, seguiti da altri come le comunicazioni tra sub e l’integrazione con i robot sottomarini che devono svolgere compiti complessi.
L’Internet of Underground Things (IoUGT)
All’Internet delle “cose sotterranee” appartengono sensori e dispositivi di comunicazione parzialmente o completamente interrati per il rilevamento e il monitoraggio del suolo in tempo reale. L’IoUGT serve in ambiti quali la smart agriculture, il rilevamento sismico e i giacimenti di gas e petrolio. Con riferimento al primo ambito, porta meccanismi di automazione laddove già esistevano dei sistemi consolidati quali ad esempio i sensori di umidità del suolo e aggiunge funzionalità automatiche come l’irrigazione in base al fabbisogno del terreno, la regolazione dei pesticidi adattata ad agenti nocivi specifici, l’analisi della qualità del terreno e così via. Per quanto riguarda il versante del rilevamento sismico, generalmente i dispositivi IoUGT concepiti per questo scopo posseggono degli accelerometri integrati ad alta sensibilità in grado di registrare le più piccole vibrazioni. Si prestano a essere implementati anche negli edifici o, ancora, a misurare lo stress indotto a viadotti e altre infrastrutture dal traffico dei mezzi che attraversano queste infrastrutture. Una particolare applicazione dell’IoUGT abbinata al monitoraggio dei terremoti è quella realizzata in Italia da Open Fiber con il cosiddetto fiber sensing. Si tratta di circa 30 km di fibra che corre tra Ascoli Piceno e Teramo la quale, oltre a fornire connettività, funge da “microfono” virtuale capace di captare le vibrazioni anche a lunga distanza. Prova ne sia che l’anno scorso ha registrato il terremoto con magnitudo 7.9 avvenuto in Alaska. Nell’Oil&Gas, infine, l’Internet of Underground Things viene collegato spesso al metodo dell’induzione magnetica in virtù del quale è possibile ottenere informazioni sugli impianti e su come ottimizzare i processi di fratturazione e di estrazione.
L’Internet of Space Things (IoST)
L’incremento della ricerca spaziale, con l’ingresso di attori privati in un segmento che fino a qualche anno fa era di dominio esclusivo delle istituzioni pubbliche, ha portato con sé uno sviluppo di tecnologie IoT per lo spazio. L’IoST espande le funzionalità dell’IoT tradizionale non solo fornendo una rete di backhaul satellitare, ma anche catturando in tempo reale informazioni provenienti dal satellite e integrandole con i dati raccolti a terra. L’elemento chiave per l’IoST è una nuova generazione di nano-satelliti, noti come CubeSat, che vengono integrati con soluzioni SDN (software defined network) e NFV (network function virtualization). Tra le potenziali applicazioni commerciali si possono annoverare il backhaul nello spazio per il reporting e l’inoltro di dati tra i CubeSat e l’infrastruttura a terra, il servizio Internet in regioni scarsamente servite e popolate, il monitoraggio del terreno e delle risorse, la gestione del trasporto globale e l’esplorazione dello spazio profondo. È notizia recente la raccolta dell’italiana Apogeo Space di 5 milioni di euro da parte di Primo Space Fund per costruire entro il 2027 una costellazione di 100 satelliti in miniatura (pico-satelliti) con cui garantire connettività a dispositivi IoT a livello globale. Già prima della fine del 2023 dovrebbero essere messi in orbita 20 satelliti che basteranno a recuperare i dati da ogni punto del globo nell’arco di 30 minuti. I vantaggi di questo e di analoghi progetti sono quelli di poter connettere con estrema flessibilità oggetti fisici, veicoli, apparecchi e dispositivi a una serie diversificata di endpoint presenti in tutti gli angoli della terra.