Dall’automotive allo smart manufacturing passando per la maggior parte delle altre applicazioni che animeranno l’Internet of things, tra i tanti dubbi che ancora riguardano la scelta degli standard e i modelli di business che permetteranno di costruire valore sui dati prodotti dalle comunicazioni M2M, una sola cosa è certa: la rete che collegherà miliardi di oggetti, soluzioni e persone sarà realmente possibile solo se si costruirà un sistema di intelligenza distribuita, alla creazione del quale dovranno contribuire gli oggetti stessi. A partire dalla automobili, che oltre a essere da più di un secolo un mezzo di locomozione, sono anche piattaforme tecnologiche su cui da qualche anno sono già installati sensori ed elaboratori. Ma lo stesso approccio va considerato in tutti i settori, con l’obiettivo di dare vita a una serie di cloud, intercomunicanti, che però garantiscano su ciascun verticale il massimo determinismo per quanto riguarda la velocità e la qualità delle informazioni trasmesse e condivise. Il tutto garantendo a imprese e cittadini standard di sicurezza e privacy che, data la complessità dell’ecosistema, rappresentano invece ancora enormi punti di domanda.
Sono questi i messaggi principali scaturiti dall’IEEE World forum on Internet of things, la seconda edizione dell’evento internazionale dedicato all’Internet delle cose che si è tenuta a Milano dal 16 al 18 dicembre. Aziende, ricercatori, fornitori tecnologici e startup si sono riuniti per discutere di un futuro sempre più vicino, per vivere il quale è necessario fornire risposte precise a molti problemi che oggi sono ancora lungi dall’essere risolti.
AUTOMOTIVE e IoT world,
Persino su uno dei settori più promettenti, con prototipi e soluzioni tangibili già ben note anche al di fuori delle cerchie ristrette degli addetti ai lavori, la strada da percorrere è ancora molto lunga. Parliamo naturalmente della già citata industria automobilistica, dove costruttori tradizionali e OTT si stanno confrontando da anni, andando ben oltre il concetto di connected car o di smart car e puntando con decisione sui self driving vehicle. “Le auto sono ormai piattaforme molto sofisticati”, spiega Mario Gerla, professore del dipartimento di Computer Science della University of California (Ucla) e uno dei massimi esperti mondiali di network digitali per la mobilità. “Tra sensori esterni e interni, nelle parti meccaniche come nell’abitacolo, oggi ci sono in gioco applicazioni che monitorano un numero enorme di dati, che oltre a venire processati devono anche essere trasmessi alle centrali e agli altri veicoli, con tutti i rischi legati alla privacy, alla data protection e ai potenziali colli di bottiglia che possono venire a crearsi nelle reti wireless. In questo senso, il tema dell’elaborazione cooperativa tra veicoli si rivela estremamente interessante: dalla sorveglianza al monitoraggio delle emissioni inquinanti, le automobili in rete possono dare vita a processi di crowdsourcing a tutto beneficio del ridimensionamento dell’impatto ambientale oltre che della fluidità e della sicurezza della circolazione stradale”.
Gerla parla sostanzialmente del progetto V2V, sostenuto dal DOT (Department of Transportation) negli Stati Uniti e in contrapposizione rispetto ad altre filosofie che vedono i veicoli autonomi come macchine pensanti sostanzialmente indipendenti dal network in cui sono inserite. Il caso principe è quello della Google Car, che punta sui propri sensori e sulla capacità di mappare grazie al LIDAR spazio e oggetti intorno a sé, reagendo di conseguenza. “L’ideale sarebbe riuscire a combinare i due sistemi”, nota Gerla. “Il traffico centralizzato gestito da un Internet Cloud non può reagire in tempo reale alle perturbazioni del traffico locale: invece con il contributo delle singole auto che stimano il proprio tempo di percorrenza e lo condividono con le altre macchine, il sistema può ricalcolare dinamicamente la situazione della viabilità”.
PER AVVIARE UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Anche rispetto al tema dello smart manufacturing non esiste un’unica prospettiva. E non potrebbe essere altrimenti viste le diverse nature dei settori produttivi non solo da Paese a Paese, ma anche da settore a settore. Jim Davis, CTO Ucla & SMLC (Smart Manufacturing Leadership Coalition), per esempio, è convinto che prima di tutto sia necessario adottare degli standard, e da lì far discendere soluzioni specifiche che aiutino l’industria a far diminuire i costi dell’IT applicato ai macchinari. “Bisogna compiere un balzo”, dice Davis, “passando dalla tecnologia fondata sull’infrastruttura fisica a quella basata sulle applicazioni. Il passo successivo? La creazione di un market place ad hoc con soluzioni on demand disponibili per l’industria, che dovrà quindi procedere ad avviare processi di formazione continua della forza lavoro”.
Completamente diverso il punto di vista di Dirk Slama, Director Business Development di Bosch Software Innovations, che pur ribadendo la necessità di trasformare il lavoro degli operatori, sostiene che “la sfida consiste nell’adottare un sistema che traghetti le imprese da logiche capex-centric a logiche opex-centric, passando dalla transazione alla relazione, dai prodotti alle soluzioni. È indubbio”, continua Slama, “che assisteremo sempre di più allo scontro di due mondi, IT e macchine. Non ci sarà un vincitore: l’importante è che dal confronto si colga il meglio di entrambi. Il focus durante questa transizione non deve essere sull’identificazione di standard, ma sulla creazione di use case. Una volta costruiti, bisogna vedere quali funzionano e poi condividere i risultati con il resto della comunità”.
Quello della condivisione non può rimanere una dichiarazione di intenti. “Anche in Germania, dove ci sono già 203 use case, se si parla di adozione di soluzioni di smart manufacturing il problema non riguarda certo le grandi imprese, che hanno i mezzi per evolvere, ma gli small business, che potrebbero rimanere indietro”, sottolinea Bernd Kosch, Head of Industry 4.0 Center di Fujitsu. “Un rischio che non possiamo correre, visto che le Pmi, non solo in Germania, hanno un ruolo cruciale nel mercato e nella generazione del PIL. Le soluzioni IoT per l’industria dovrebbero quindi essere in grado di far convergere le catene del valore su tutte le attività, a prescindere dalle dimensioni”.
Per Stephen Mellor, CTO dell’Industrial Internet Consortium (fondato da Intel, IBM, Cisco, AT&T, Intel e General Electric per studiare soluzioni a cavallo dei settori Energy, Manufacturing, Transportation, Public Sector e Healthcare) ci attende uno sforzo che durerà per decenni. “Il vero IoT ha bisogno di interoperabilità tra i diversi domini: automobili, distribuzione energetica, trasporti. Dobbiamo mettere in relazione tutte le diverse architetture”, dice Mellor. Il problema può essere risolto esaltando il ruolo dei system integrator, come Accenture e Deloitte, e favorendone la collaborazione. Allo stato attuale delle cose, ci sono molti progetti avviati, ma non ci sono iniziative che li colleghino rapportandoli all’ecosistema di cui avremmo bisogno”.
VERSO IL FOG COMPUTING
Del resto la complessità di questo nuovo ecosistema sta tutta nel riuscire a garantire servizi e sicurezza attraverso le giuste interfacce delle applicazioni. “I dati, in un certo senso, sono la cosa meno importante. L’elaborazione della loro massa ci permette di trasformarli in informazioni, che a loro volta generano conoscenza. Solo a quel punto è possibile costruire una pianificazione di scenario”. Ed è sostanzialmente questo l’Internet of things secondo Patrick Wetterwald, che in Cisco ha la responsabilità per la divisione IoT Standards and Architecture. Wetterwald sta lavorando alacremente per mettere a punto il protocollo IPv6, che sarà il cuore delle comunicazioni nell’era dell’Internet delle cose e che permetterà di abilitare l’intelligenza distribuita. “O meglio ancora, il fog computing”, precisa Wetterwald. “Siamo solo all’inizio, ma deve essere quello il nostro fine. Per avere la garanzia che le informazioni in movimento raggiungano la propria destinazione quando serve e in maniera sicura dovremo dare vita, settore per settore, a una serie di deterministic ethernet, a propria volta basate su learning network: forse ancora più delle comunicazioni, saranno gli strumenti analitici predittivi gli elementi che abiliteranno l’Internet of things”.