Analisi

Dall’In-App Purchase all’In-Things Purchase: l’App economy si estende alle cose

Grazie all’integrazione tra smart product, sistemi di gestione dell’identità e di pagamento potremmo assistere presto alla nascita nuove linee business, sotto il motto di ”Feature as a Service”

Pubblicato il 14 Gen 2019

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Giovanni Miragliotta e Antonio Capone, Responsabili Scientifici Osservatorio Internet of Things, Politecnico di Milano

Grazie all’Internet of Things in pochi anni sono nati o si stanno fortemente sviluppando nuovi mercati, come la smart home, la smart mobility o lo smart manufacturing. A favorire lo sviluppo di questi e altri settori non sarà più solo la crescente diffusione di prodotti connessi, o delle loro “tradizionali” funzionalità, ma anche la possibilità di pensare ai prodotti come a un canale di vendita, anch’esso intelligente, attraverso cui portare al cliente servizi innovativi o addirittura funzionalità di prodotto innovative.

In-Thing purchase: un mercato che si ispira alla App Economy

Questo nuovo spazio di mercato, che definiremo In-Thing Purchase, si ispira alle logiche dell’In-App Purchase, e più in ampio a quelle dell’App Economy (per maggiori informazioni sugli sviluppi della App Economy) per arricchire gli Smart Product di funzionalità a pagamento.

La grande novità di questa prospettiva è data proprio dalla possibilità di trasformare il prodotto in un nuovo canale di vendita, esattamente com’è avvenuto con le App: questo modello ha segnato un passaggio anche “culturale” poiché per l’utente si è resa possibile una radicale semplificazione nell’acquisto di nuovi servizi, features, personalizzazioni o integrazioni di ciò che sta utilizzando. Il fatto di poter effettuare la scelta di acquisto direttamente all’interno dell’applicazione, senza passaggi e operazioni intermedie e potendo godere direttamente e immediatamente dei vantaggi legati al nuovo acquisto, ha creato un nuovo rapporto tra provider e clienti e ha permesso lo sviluppo di nuovi servizi e di automatismi che hanno a loro volta reso possibile la creazione di logiche di business di tipo Recurrent.

Ma cosa succede se si prende l’In-App Purchase del mondo Mobile (smartpone e tablet) e lo si porta nel mondo dell’Internet of Things? Quali servizi si possono realizzare se si integrano gli “Smart Objects” con  sistemi di identity management e smart payment? Quali spazi si aprono se gli oggetti intelligenti sono in grado di arricchirsi di funzioni acquistandole “in autonomia” sul mercato?

In-App Purchase come punto di riferimento

Per comprendere la portata di questo passaggio  è utile definire intanto cosa oggi sia l’In-App Purchase: è un processo che permette di acquistare delle funzionalità, dei contenuti, dei servizi extra all’interno di un’app pagando, nella maggior parte dei casi, una piccola somma di denaro nel momento stesso in cui si utilizza l’app ovvero, come già precisato, rimanendo all’interno della App stessa. La gestione della transazione nella App rappresenta il punto chiave: si decide di acquistare un extra, e lo si fa, senza spostare in un altro ambiente l’esecuzione della decisione. Questa procedura offre anche la possibilità di automatizzare o programmare alcune tipologie di acquisto in funzione delle preferenze dell’utente, creando così le premesse per un nuovo modello di relazione tra provider e clienti che a sua volta permette la creazione di nuovi modelli di business.

Le tipologie di acquisti abilitati dall’In-App Purchase sono fondamentalmente tre:

  1. Acquisto One-off (definitivo)
  2. Acquisto temporaneo, anche rinnovabile, ma senza alcuna ricorsività o impegno
  3. Acquisto ricorrente in modalità subscription

Attraverso l’acquisto effettuato, si può dunque accedere a:

  1. Funzionalità extra, legate all’utilizzo della App;
  2. Forme di personalizzazione dell’applicazione;
  3. Servizi di diversa natura, esterni alle funzionalità base dell’app, ad esempio abilitati da altre risorse in Cloud.

 In questo framework, si possono collocare numerosi esempi nel mondo In-App purchase: applicazioni di scansione che vengono “sbloccate” pagando one-off per la modalità full feature, oppure giochi in cui si paga in modo estemporaneo per acquistare vite extra, capacità o artefatti eccezionali che possono poi essere scambiati e utilizzati nella rete multiplayer del gioco.

Cos’è l’In-Things Purchase?

In tal senso, è bene esordire con una definizione per negative-scope: l’In-Thing Purchase NON è l’automazione di una o più fasi del processo di acquisto tramite l’utilizzo di un oggetto connesso. L’esempio più semplice e più noto, in questo senso, è rappresentato degli ormai famosi “dash button” di Amazon: si tratta di device che permettono di automatizzare un processo di acquisto, facendolo collassare in un bottone che va semplicemente premuto per riordinare un prodotto codificato (e.g. un detersivo). Parimenti, nemmeno il cosiddetto “Embedded purchase” va confuso con l’In-Thing Purchase: per Embedded Purchase, infatti, si  intende il caso di un prodotto  intelligente connesso che effettua dei riordini automatici, nel momento in cui ne rilevi la necessità (e.g. una stampante che riordina le cartucce di inchiostro quando sono in via di esaurimento).

Questo ci porta alla definizione per positive-scope: si intende con In-Thing Purchase un acquisto che, effettuato direttamente nel corso dell’interazione con un oggetto intelligente connesso, ne attivi extra-funzionalità o extra-servizi che ne potenziano il valore di utilizzo. Dunque, è possibile pensare che sul mercato esisteranno (già esistono, in parte) degli oggetti che possono avere un ampio raggio di capacità, ma che alcune di queste siano bloccate e fruibili solo dietro pagamento di un (modesto) prezzo.

Anche per l’In-Thing Purchase rimangono valide, in linea di principio, le tre tipologie di acquisto già viste con riferimento al mondo delle app: One-off, Temporary e Recurrent. La Figura 1 illustra come queste modalità si potranno combinare nell’attivazione rispettivamente di extra funzionalità o di extra servizi legati alla fruizione di un prodotto fisico.

Framework casistiche In-Things Purchase

Figura 1 – Esempi di possibili casistiche di In-Thing Purchase (in colore rosa casi già riscontrabili sul mercato) – Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano (Clicca sull’immagine per ingrandirla)

Alcuni commenti possono essere utili sulle casistiche descritte sinteticamente relativamente alla figura 1.

In primo luogo, la quasi totalità degli esempi riportati non sono ancora osservabili nella realtà (celle viola) e sono dunque ipotesi di segmenti di mercato che potenzialmente si potrebbero aprire. Questo è vero in particolar modo per le extra features di prodotto (e.g. una camera che può operare, dietro extra pagamento, ad una risoluzione più alta o in ambienti poco luminosi; una vettura che, per un breve periodo di tempo ed in condizioni ammissibili, può sprigionare maggiore potenza rispetto a quella normalmente disponibile; un macchinario industriale che può operare con una potenza di lavoro o una precisione maggiori rispetto alla propria configurazione base).

La barriera tecnico-ingegneristica al diffondersi di queste casistiche è rappresentata dal fatto che il prodotto dovrebbe essere fisicamente realizzato sempre in modo “sovra-specificato”, così da poter offrire (solo ai segmenti di clienti che lo vorranno) quelle caratteristiche extra, alla bisogna. In realtà, in molti casi già adesso l’ottimizzazione del trade-off tra costi della varietà e costi di sovra-specifica[1] porta a delle soluzioni in cui un prodotto viene progettato e realizzato in una sola variante fisica, che viene de-specificata (a livello software o anche solo a livello commerciale) per coprire più segmenti di prezzo; grazie all’In-Thing Purchase, l’impresa potrebbe estendere la propria capacità di fare discriminazione di prezzo (ovvero vendere a prezzi diversi a segmenti diversi), incrementando i ricavi[2], così spostando l’ago della bilancia verso un maggior livello di sovra-specifica e verso una maggiore standardizzazione dei prodotti. Si riproporrebbe, in altri ambiti, il fenomeno del “software defined feature”già visto nel mondo micro-processori oppure negli apparati di radio, con l’importante differenza, in questo caso, che la diversa caratteristica tecnica non sarebbe permanente, ma attivata alla bisogna dietro pagamento di un prezzo.

Per quello che riguarda invece gli extra servizi (strettamente legati all’utilizzo di oggetti) si osservano già adesso alcuni primi esempi che vanno nella direzione dell’In-Thing Purchase, come il caso di termostati smart che, dietro pagamento di una fee mensile, sbloccano delle funzionalità di apprendimento per la migliore gestione energetica della casa, oppure videocamere che, sempre dietro pagamento di una fee recurrent, offrono servizi in cloud di conservazione, analisi delle immagini e allarmistica, etc. Questo non sorprende, dal momento che sposta la “diversità” da creare nel software (e nello specifico nel cloud) piuttosto che nell’hardware dell’oggetto, e dunque è lecito attendersi che se ne possano sviluppare molti altri a breve: ad esempio, servizi in modalità di acquisto temporaneo (assistenza di un “virtual cook” durante l’utilizzo di una cucina). Vi sono però due difficoltà che andranno superate: la prima, nel caso di acquisti one-off, la difficoltà a definire un prezzo per un extra-servizio che sia valido per tutta la vita di un prodotto, laddove questa potrebbe essere anche molto lunga; essa sarà probabilmente aggirata prevedendo dei  periodi di attivazione anche lunghi, ma non illimitati. La seconda è rappresentata dalla user experience, e dalla fluidità con cui si porti il consumatore all’acquisto dell’extra servizio: questo andrà affinato, dal momento che la situazione di acquisto In-Thing è verosimilmente molto diversa dalla situazione di acquisto In-App, e dunque andranno studiate bene le dinamiche di utilizzo dello specifico oggetto, per proporre il servizio giusto al momento giusto, al prezzo giusto.

Le tecnologie abilitanti

In questa trattazione abbiamo dato come scontata la base di partenza del prodotto intelligente connesso, in ossequio al paradigma IoT e più nello specifico il quadro tecnologico descritto da Porter & Heppelmann nel loro articolo seminale del 2014 (leggi alcuni riferimenti ai testi su Gli Smart connected product cambiano la competizione).

.In realtà, per abilitare pienamente la visione descritta in queste pagine, sono necessarie almeno altre tre componenti tecnologiche, alcune già mature, altre meno, oltre al cambiamento nei criteri  progettuali (revisione del trade-off tra costi della standardizzazione e costi della varietà) di cui si è già accennato in precedenza.

  • La prima componente riguarda le tecnologie di comunicazione che, rispetto alle attuali soluzioni sul mercato, dovranno caratterizzarsi per una copertura a lungo raggio (Wi-Fi e reti Personal Area Networks in generale potrebbero creare delle limitazioni), globale (perché globali sono oggigiorno i mercati) e con elevate capacità di trasferimento dati (per gestire non solo le operazioni di device management e aggiornamento firmware OTA, ma anche i flussi dati dei servizi). Questo identikit tecnologico sembra puntare decisamente verso le reti 5G, il cui arrivo (dopo il 2020, almeno su larga scala) potrebbe segnare la prima “sala di attesa” di questo nuovo paradigma, anche se è possibile immaginare soluzioni transitorie nelle quali si usi lo smartphone come bridge di collegamento alla rete.
  • La seconda componente riguarda la gestione dell’Identità e dei metodi di pagamento. Da questo punto di vista, con l’avvento dei sistemi di tokenizzazione e degli attori in grado di gestire i certificati di identità digitale (Identity Service Providers), la situazione sembra tecnologicamente più matura, quindi non dovrebbero esserci lunghe attese. Questa seconda componente sarà sviluppata in un prossimo contributo, ad hoc.
  • La terza componente riguarda la gestione della sicurezza perché, al di là delle tematiche scontate ogni qual volta si parli di pagamenti (e di frodi potenzialmente collegate) vi sono anche dei temi di liability e di continuità operativa che potrebbero aprirsi se, a causa della disattivazione di una extra funzionalità o di un extra servizio, si vengano a creare dei danni (si pensi ad una vettura per cui si acquisti una feature extra di supporto alla sicurezza, che si venga a perdere perché la transazione di attivazione è stata hackerata). Qui la situazione è decisamente più aperta perché, come noto, i limiti di capacità computazionale e di interfaccia uomo-macchina tipici di alcuni oggetti possono rendere più frequenti alcuni attacchi, o aumentarne l’efficacia.

Guardando avanti

L’In-Thing purchase è un tema fortemente innovativo: se si effettua una ricerca con keyword attinenti, non emerge alcuna soluzione disegnata, o anche solo concettualizzata, secondo i tratti che abbiamo cercato di trasferire in questa memoria. Stimare il potenziale, in casi come questo, è estremamente difficile perché, come detto, l’implementazione richiede ancora la maturazione di due delle tre componenti tecnologiche abilitanti, oltre ad un ripensamento profondo di uno dei trade-off progettuali più importanti (varietà vs. sovraspecifica).

In realtà, il potenziale di questa innovazione è anche superiore a quello strettamente legato al mercato delle extra funzionalità di prodotto. Oltre agli scenari già descritti, infatti, l’In-Thing Purchase appare sinergico a due trend socio-economici in forte crescita in questi anni: la sharing economy e la prosumer economy. Nel primo caso, si pensi a quanti utenti potrebbero optare per la condivisione di un bene se si potesse meglio controllarne le feature in corso di utilizzo, sia nel ruolo di utilizzatore sia di cedente. Un esempio in questo secondo caso: già oggi vi sono applicazioni che consentono condividere il proprio veicolo quanto inutilizzato, ma solo affidandosi alle capacità di monitoraggio e controllo della app installata sullo smartphone di chi usa il bene. Con l’In-Thing Purchase, si potrebbero disabilitare alcune funzionalità o capacità (potenza del motore, distanza di percorrenza) riducendo per il soggetto cedente il rischio reale derivante da un utilizzo scorretto del bene da parte del soggetto utente, e quindi incrementando la propensione alla condivisone.

Un secondo esempio si può fare in tema di prosumer economy: ad esempio, un contatore intelligente potrebbe offrire delle capacità avanzate di trading dell’energia prodotta dai pannelli solari installati dall’utente, funzionalità attivate che sarebbero  interessanti solo per alcuni utenti, e non per tutti. I vantaggi anche in questo caso sono evidenti: favorire e accelerare fenomeni che hanno già messo solide radici, ma che hanno bisogno di semplificare la gestione tecnica e di processo di attori, lasciando (come avviene per l’In-App Purchase) una sensazione di controllo e reversibilità dello spending.

Un tema affascinante, ancora largamente inespresso, con un progenitore affermato, e dunque certamente degno di una attenta osservazione, nei prossimi mesi.

[1] Ovvero il complesso  dilemma ingegneristico tra progettare e realizzare tante varianti di prodotto quanti i segmenti di prezzo, ciascuna variante ottimizzata dal punto di vista dei costi di materiale, ma con maggiori costi complessivi di gestione dei fabbisogni dei materiali e dei processi di lavoro.

[2] O, dualmente, aumentando i costi opportunità per quei prodotti non sovraspecificati che non consentano di  fare In-Thing Purchase.

Immagine fornita da Shutterstock

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