Il concetto di digital health, o sanità digitale, analogamente a quanto avvenuto per altri ambiti di particolare rilevanza per cittadini e imprese, a causa della pandemia si è trasformato velocemente da un’idea ricca di buone intenzioni in una serie di tecnologie e strumenti operativi.
Basterebbe a tal proposito ricordare il numero di Fascicoli Sanitari Elettronici (FSE) attivi al momento che, secondo l’AgID, hanno raggiunto la cifra di 57.663.021. O ancora i referti digitalizzati che, sempre in base a quanto riporta la stessa Agenzia, in tutto ammontano a 374.356.968. In entrambi i casi, il processo di dematerializzazione documentale del fascicolo del cittadino che contiene tutti i dati che si riferiscono alla sua salute e dei vari tipi di referti che accompagnano i percorsi di cura non esaurisce le nuove frontiere della sanità digitale.
Dei 15,63 miliardi previsti dalla Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) focalizzato sulla Salute, quasi la metà (7,36 miliardi) riguardano l’aggiornamento tecnologico e digitale, mentre 4 miliardi mirano a potenziare i servizi domiciliari con il ricorso soprattutto alla telemedicina. I progetti di telemedicina “potranno riguardare ogni ambito clinico e promuovere un’ampia gamma di funzionalità – si legge sul PNRR – lungo l’intero percorso di prevenzione e cura: tele-assistenza, tele-consulto, tele-monitoraggio e tele-refertazione”.
Che cos’è la Digital Health (o eHealth) secondo l’OMS
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la digital health come “un termine ombrello che comprende l’eHealth, così come le aree in via di sviluppo quali l’uso delle scienze informatiche avanzate (ad esempio, nei campi dei big data, della genomica e dell’intelligenza artificiale)”.
L’eHealth, quindi, coincide per l’OMS con quelle tecnologie ICT a sostegno della salute e dei settori correlati. Include, oltre alle cartelle cliniche elettroniche e agli strumenti di telemedicina, l’impiego di tecnologie wireless mobili (mHealth) e di dispositivi indossabili (wearables).
Il ruolo dell’eHealth oggi è considerato fondamentale per conseguire la copertura sanitaria universale (Universal health coverage, UHC) che fa parte dei Sustainable Development Goals che le Nazioni Unite puntano a raggiungere entro il 2030. Dei 17 Goals, il terzo ha l’obiettivo di garantire una vita sana e di promuovere il benessere a tutte le età mediante 13 target ambizioni tra cui la riduzione del tasso di mortalità materna e infantile, la scomparsa delle epidemie di AIDS e la copertura sanitaria universale.
Target il cui esito positivo dipende da forti investimenti, dalle politiche di ciascun paese e dall’adozione non di una singola tecnologia, ma di un vasto ecosistema innovativo capace di integrare piattaforme, device e sistemi in maniera coerente all’interno dell’eHealth, che si può ritenere il “braccio tecnologico operativo” della sanità digitale.
La convergenza delle tecnologie nella Digital Health
Ecosistema significa convergenza di tecnologie. Per comprendere l’importanza che questa assume nella Digital Health si può prendere spunto dal caso dei dispositivi di monitoraggio delle funzioni vitali. Si tratta di un mercato la cui dimensione globale è stata stimata per un valore pari a 7,59 miliardi di dollari nel 2020, valore che dovrebbe giungere a sfiorare gli 11,97 miliardi di dollari entro il 2026.
L’incremento di questa tipologia di device deriva dalla crescente domanda di servizi di assistenza sanitaria a domicilio e da un’evoluzione verso prodotti all-in-one che combinano la misurazione della pressione sanguigna, del battito cardiaco, della temperatura ecc. Contemporaneamente, il loro utilizzo all’interno degli ospedali e delle strutture sanitarie specializzate sta contribuendo alla diffusione di sensoristica IoT indossata dal paziente con la quale rilevare non solo le indicazioni sui parametri vitali, ma anche fenomeni quali “no movement”, che indicano immobilità prolungata e scarsa deambulazione, o “man down”, che segnalano la caduta di un degente.
L’incrocio degli strumenti di monitoraggio con l’Internet of Things è uno dei modi attraverso cui può avvenire la raccolta di quei big data citati dall’OMS che possono confluire nel medesimo repository nazionale alimentato dal Fascicolo Sanitario Elettronico. Con la possibilità, resa praticabile dagli algoritmi di intelligenza artificiale, di rafforzare modelli predittivi che assicurino “programmazione, gestione e controllo uniformi in ogni territorio”, come auspicato nel PNRR, senza che questo pregiudichi una tutela della privacy imperativa quando si gestiscono dati sensibili come quelli riguardanti la salute.
Telemedicina: la sicurezza nei consulti online
Se dal mercato mondiale dei dispositivi di monitoraggio delle funzioni vitali ci spostiamo a quello della telemedicina, le cifre diventano molto più elevate, con previsioni che anticipano la triplicazione del giro d’affari nei prossimi 5 anni. Degli 87,8 miliardi di dollari attesi nel 2022 si dovrebbe addirittura arrivare a 285,7 miliardi di dollari entro il 2027.
Questa è la ragione per cui la sicurezza nella gestione dei dati del paziente deve essere garantita con una crittografia sia at-rest, cioè quando i dati sono “a riposo” nei sistemi di archiviazione, sia in-transit. Quest’ultima evenienza, infatti, ricorre durante i consulti online tipici della telemedicina.
Ecco perché il ministero della Salute, mediante il documento “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni di telemedicina” che è stato adottato con l’Accordo in Conferenza Stato Regioni del 17 dicembre 2020, ha stabilito che “tutti i trasferimenti di voce, video, immagini, files devono essere crittografati e rispettare le vigenti normative in materia di privacy e sicurezza”.
Il documento, inoltre, ha elencato quali debbano essere gli elementi minimi e sufficienti per le prestazioni sanitarie a distanza. In particolare:
- rete di collegamento sempre disponibili tra medici e pazienti;
- portale web a cui i medici accedono con il proprio account per gestire i pazienti assegnati;
- accesso alla pagina web da computer o tablet o smartphone per i sanitari;
- login dei pazienti semplice, che devono poter accedere al servizio con un loro account, con verifica dell’identità;
- compatibilità con il GDPR per il trattamento dei dati personali;
- connessione alla rete Internet con gli strumenti digitali che la persona ha a disposizione (computer, tablet, smartphone);
- certificazione dell’hardware e/o del software, come dispositivo medico, idonea alla tipologia di prestazione che si intende effettuare in telemedicina.
Digital Health e Comunità terapeutiche virtuali
Il documento del ministero dettaglia quali sono le prestazioni di telemedicina che possono essere effettuate, distinguendo fra televisita, che può contemplare ad esempio il supporto di un caregiver a fianco del paziente; il teleconsulto medico, che serve per condividere tra più professionisti a distanza la situazione clinica di un assistito; la teleconsulenza medico-sanitaria, la teleassistenza e la telerefertazione. In tutti questi casi l’interazione tra medico, o altro professionista sanitario, e paziente si può definire di natura “funzionale”. In pratica si limita ad affrontare la singola patologia con l’unica differenza che, invece di farlo in presenza, lo fa da remoto.
Ma le esigenze di una persona malata spesso vanno al di là della guarigione fisica e abbracciano una gamma di richieste da diversi punti di vista: psicologico, emozionale, di condivisione del proprio stato, di chiarimenti delle procedure sanitarie, di rassicurazione e così via. È questo il motivo per cui la solitudine imposta per lunghi periodi dalla crisi pandemica ha fatto sorgere alcune comunità terapeutiche virtuali con lo scopo di poter attingere a competenze multidisciplinari, nonché di poter incontrare online altri individui che vivono a qualsiasi latitudine una condizione analoga alla propria.
Un esperimento interessante di questo modello, nato prima che il Covid-19 stravolgesse la vita e le abitudini di tutti noi, è quello condotto dall’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) di Roma in collaborazione con Digital Narrative Medicine, piattaforma digitale per l’applicazione della medicina narrativa nella pratica clinica. L’esperimento in questione ha avuto modo di dimostrare le potenzialità della comunicazione intesa non come mero scambio di informazioni circoscritte alla patologia, ma come occasione per favorire dinamiche di ascolto e fiducia che possono trovare nel digitale uno strumento di estrema facilitazione.
App, wearable e autodiagnosi online
Le comunità terapeutiche virtuali costituiscono uno dei canali che nella Digital Health porta elementi di carattere disruptive, poiché scardina i paradigmi tradizionali attorno a cui ruota la sanità come l’abbiamo conosciuta finora. Un altro fenomeno che va nella medesima direzione è quello dell’autodiagnosi online. Nonostante l’ostracismo che, in molti casi a ragione, circonda siti e app che permettono di verificare in autonomia la propria salute inserendo i sintomi che si accusano, non tutte le soluzioni sono uguali.
Ranjan Singh, CEO e co-fondatore di HealthHero, una delle più grandi piattaforme digitali di telemedicina presente in Europa, ha avuto modo di sottolineare i criteri per districarsi tra le applicazioni cosiddette “symptom checker”. Partendo dal presupposto che devono ritenersi anzitutto “un reale beneficio per i medici”, Singh ha delineato il perimetro di questi strumenti: “Al momento stanno proliferando, ma le loro prestazioni complessive sono significativamente al di sotto di ciò che sarebbe accettato in qualsiasi altro campo medico, nonostante il fatto che ci siano dei casi limite che forniscono costantemente risultati molto accurati. È importante continuare a testarli con rigore e trasparenza, perché hanno il potenziale per aumentare drasticamente l’efficienza del nostro sistema sanitario”.
In Italia, dove secondo Capterra il 40% delle persone utilizza una o più applicazioni per la salute, il discrimine arriva dalla certificazione della fonte dei dati che sono destinati a essere accolti o meno nei documenti sanitari. Tra i dispositivi medici e gli wearable che catturano alcune funzioni vitali, i secondi non vengono presi in considerazione da un punto di vista clinico e hanno il valore del triage fai da te. In futuro, probabilmente, l’accuratezza delle app e dei device di uso consumer potrà essere paragonata a quella certificata in ambito clinico. Ma fino ad allora la sanità digitale e le tecnologie eHealth continueranno a nutrire dubbi sulla fondatezza dell’autodiagnosi online.