Secondo una prospettiva parziale, il Supply Chain Management sarebbe da intendere come un sinonimo di gestione estesa a tutta la Supply Chain, dall’approvvigionamento delle materie prime fino alla distribuzione al consumatore finale. Io preferisco invece considerare il Supply Chain Management come la corretta prospettiva con cui impostare la strategia aziendale: la creazione di vantaggio competitivo sostenibile (o di vantaggi multipli e transitori come il nuovo pensiero strategico sembra suggerire) deve adeguatamente considerare gli altri attori della propria Supply Chain in chiave IoT. Questi ultimi– siano essi parte della catena di approvvigionamento o della catena di distribuzione o anche fornitori di servizi essenziali – sono infatti fonte di valore (opportunità) o di rischio (minacce). Per molte aziende la possibilità di incidere sui risultati aziendali agendo sui “partner” di filiera è addirittura maggiore degli spazi di azione interni. Questo è a maggior ragione vero per quelle aziende che hanno un elevato grado di terziarizzazione della propria Supply Chain, e quindi un più alto grado di dipendenza dai partner di filiera.
CONOSCERE LA PROPRIA SUPPLY CHAIN
L’introduzione della prospettiva di Supply Chain nel processo strategico richiede in primo luogo di conoscere la struttura e le caratteristiche della/e Supply Chain in cui l’azienda opera.
Esercizio, questo, per nulla scontato, se consideriamo che molti manager aziendali – a domanda esplicita – non sanno disegnare la propria Supply Chain non appena si scende al secondo livello di fornitura o al secondo livello di distribuzione. Una caratteristica fondamentale della Supply Chain è il grado di incertezza a monte (supply-side uncertainty) e a valle (demand-side uncertainty). L’incertezza a monte dipende da diversi fattori quali la maturità delle tecnologie produttive, la stabilità e localizzazione della base fornitori, la presenza di fornitori alternativi per i componenti più critici, la volatilità nel prezzo delle materie prime. L’incertezza a valle dipende invece dalla difficoltà nel prevedere la domanda dei prodotti finiti, la dipendenza da pochi clienti importanti, la lunghezza del ciclo di vita dei prodotti, la localizzazione e stabilità dei mercati di destinazione, e altri fattori ancora. La matrice di incertezza della Supply Chain (Figura 1) è al riguardo un utile strumento per “conoscere” la propria Supply Chain e studiarne l’evoluzione nel tempo.
SISTEMI A INCERTEZZA CRESCENTE
La generale evoluzione di molti dei fattori sopra elencati è alla base di un progressivo aumento di incertezza che caratterizza la maggior parte delle Supply Chain. Da un lato l’evoluzione tecnologica dei materiali, la globalizzazione dei mercati di approvvigionamento,l’aumento di complessità in molti prodotti apparentemente semplici e la volatilità nelprezzo di molte materie prime aumentano inesorabilmente l’incertezza supply-side. Dall’altro lato, l’aumento della gamma di prodotti, la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, la rilevanza crescente del peso delle campagne promozionali, la globalizzazione dei mercati sono tutti elementi che aumentano l’incertezza demand-side. Anche aziende che 10 anni fa potevano descrivere la propria Supply Chain come un sistema a relativamente bassa incertezza – tipicamente molte aziende nell’Alimentare o negli Elettrodomestici per fare un paio di esempi – oggi e soprattutto domani sono e saranno più orientate a descriversi come appartenenti a Supply Chain a medio-alta incertezza.
In sintesi, le Supply Chain stanno diventando sistemi a incertezza crescente.
GLI APPROCCI STRATEGICI ALLA GESTIONE DELLA SUPPLY CHAIN
Se in un contesto relativamente stabile l’approccio strategico alla gestione della Supply Chain è quello di tipo “Lean”, volto cioè all’ottimizzazione spinta dei processi, in un contesto a medio-alta incertezza l’approccio più corretto è quello che sinteticamente prende il nome di “Agile”, orientato cioè alla adattabilità, alla velocità di risposta, alla gestione del rischio (figura 1). Nell’approccio di tipo Lean le politiche di gestione della Supply Chain sono costruite a partire dall’assunto di fondo che le condizioni al contorno (la Supply Chain esterna) sono note e relativamente stabili. È quindi ragionevole procedere a ottimizzare progressivamente i processi – a snellirli (lean) delle attività a basso valore aggiunto – in modo da aumentare il valore atteso dei principali indicatori di redditività aziendale (ad esempio il ROA o Return onAssets, profitto su capitale investito). I classici modelli basati sulle tecniche di ricerca operativa – applicati al disegno della rete logistica, alla pianificazione della domanda e delle scorte, alla definizione della giusta combinazione di livello di servizio e prezzi –appartengono a questa categoria.
Nell’approccio di tipo Agile cambia invece l’assunzione di fondo: la Supply Chain esterna è sorgente di grandi opportunità ma anche di grandi rischi, ed occorre quindi conoscerla (averne visibilità), monitorarla (tracciare i flussi e gestire i rischi), gestirla (collaborare con gli altri attori). Più che puntare a ottimizzare il valore atteso della profittabilità bisogna diventare capaci di gestirne le possibili sorgenti di variazione (in positivo per sfruttarle, in negativo per mitigarle).Velocità, visibilità, collaborazione, flessibilità, gestione del rischio divengono le nuove parole chiave.Riduzione dei lead time, postponement (ossia posticipare le attività di personalizzazione al più tardi e il più a valle possibile nella Supply Chain), previsione della domanda collaborativa, utilizzo di molteplici alternati vedi approvvigionamento, outsourcing della logistica: sono queste alcune delle politiche coerenti con un approccio Agile. Occorre chiarire che non esiste un approccio strategico alla gestione della Supply Chain che sia il migliore in assoluto. In altre parole, le strategie di Supply Chain Management devono essere coerenti con il grado di incertezza della Supply Chain. Tuttavia, nel contesto in cui si trovano molte aziende oggi – ossia nella transizione da una situazione di medio-bassa incertezza verso una incertezza progressivamente crescente – le politiche di tipo Lean devono spesso essere integrate con politiche di tipo Agile.
LA DIGITAL SUPPLY CHAIN
Facciamo ora un passo in più, connettendo politiche e strumenti. Le principali politiche dell’approccio strategico di tipo Agile – quelle descritte dalle parole chiave viste sopra: velocità, flessibilità, reattività, riduzione del rischio – sono abilitate dalla digitalizzazione dei processi di Supply Chain (Digital Supply Chain). In altre parole, se togliessimo dal banco degli strumenti la maggior parte delle più o meno recenti innovazioni nell’area del digitale – Internet of Things, Cloud Computing, Big Data –, la gestione “Agile” della Supply Chain rimarrebbe un bell’insieme di teorie, vere, ma poco applicabili a costi ragionevoli. Vi sono in particolare tre esemplificazioni paradigmatiche della Digital Supply Chain (figura 2).
Dalla digitalizzazione del Procure-to-Pay al Supply Chain Finance
L’integrazione digitale dei processi commerciali, logistici e finanziari tra i diversi attori della Supply Chain – dalla redazione dei contratti fino alla gestione dei pagamenti – costituisce un’eccezionale leva non solo per ridurre i costi, ma soprattutto per ridurre i tempi di ciclo e aumentare quindi la velocità di esecuzione dei processi stessi. In altre parole, per accorciare “temporalmente” la Supply Chain. In questo senso è essenziale lavorare sulla digitalizzazione e integrazione dell’intero processo, e non solo su porzioni singole dello stesso (ad esempio il solo scambio di ordini o il solo scambio di fatture). La digitalizzazione del processo Procure-to-pay costituisce poi la base infrastrutturale e informativa per attivare progetti di Supply Chain Finance in cui si utilizza la “forza relazionale” di una Supply Chain per migliorare le prestazioni finanziarie, anche aumentando il potere contrattuale nei confronti del mondo finanziario (ad esempio mediante il Reverse Factoring una azienda con buon merito creditizio negozia le condizioni di finanziamento per i “suoi” fornitori). L’adozione di strumenti di Supply Chain Finance – dai più elementari come il Reverse Factoring ai più evoluti anche di tipo extra bancario quali il Dynamic Discounting o l’Invoice Auction – costituisce un importante fattore di controllo e mitigazione dei rischi finanziari nella Supply Chain.
Dalla Supply Chain Visibility al Supply Chain Collaborative Planning
La condivisione di informazioni di business tra attori della stessa Supply Chain è una delle politiche fondamentali per aumentare la qualità dei processi di programmazione operativa e pianificazione strategica. Si pensi ad informazioni sull’andamento della domanda di prodotto/servizio sui mercati finali (che deve viaggiare da valle verso monte) oppure a informazioni sullo sviluppo di nuovi prodotti o sui vincoli di capacità produttiva (che devono viaggiare da monte verso valle). Lo scambio di queste informazioni è per altro la base per sviluppare processi di reale collaborazione nella pianificazione della Supply Chain, adottando quei modelli che vanno sotto il nome di CPFR (Collaborative Planning Forecasting and Replenishment).
Dalla Tracciabilità di prodotti ed eventi al Supply Chain Risk Management
La visibilità e il monitoraggio portati al livello fisico più elementare – il singolo prodotto e il singolo accadimento –, oltre a costituire una fondamentale sorgente di valore informativo sull’origine e la storia dei prodotti stessi, consentono di aumentare la capacità di controllo e risposta alle imprevedibilità della Supply Chain.
La tracciabilità dei prodotti e degli accadimenti lungo tutta la Supply Chain è poi alla base dell’applicazione di modelli di Supply Chain Risk Management, in cui l’identificazione e la gestione dei rischi è fatta tenendo conto del fatto che l’azienda non è una cellula isolata, ma è parte di un corpo – la Supply Chain appunto – che è esso stesso fonte di rischi e anche– per fortuna – di soluzioni.
UN PROBLEMA CULTURALE
Ma quale è in questo momento il livello di adozione della Digital Supply Chain? E quali le direzioni di sviluppo di modelli e tecnologie? Occorre in primo luogo riconoscere che la maggior parte dei modelli e degli strumenti per implementare il percorso tracciato sono ampiamente disponibili,fatta forse eccezione per le aree del Supply Chain Finance e del Supply Chain Risk Management, ove si sta ancora lavorando per configurare una offerta più completa e attrattiva. Si aggiunga poi che i più o meno recenti sviluppi della tecnologia – dal Mobile, al Cloud, all’Internet of Things – hanno reso disponibili soluzioni più potenti a costi più contenuti. Si pensi ad esempio alle soluzioni di tracciabilità: nell’ultimo paio d’anni l’offerta in area Internet of Things si è arricchita di decine di piattaforme per l’integrazione di oggetti intelligenti e la corrispondente analisi dei dati, e che molti oggetti (dalle macchine di produzione ai prodotti) sono già nativamente intelligenti (embedded smart objects).
A fronte di tutto questo, però, l’adozione dei modelli di Digital Supply Chain è ancora modesta: scendendo maggiormente nel dettaglio, è più significativa nelle aree della digitalizzazione del Procureto-Pay e della Tracciabilità, dove vi sono vantaggi di costo da una parte e obblighi normativi dall’altra, e decisamente più scarsa nelle altre aree. Cosa spiega tale limitata adozione – nonostante la disponibilità di modelli e strumenti – in tutte quelle Supply Chain– che come visto sono la maggior parte – che stanno evolvendo verso una maggiore incertezza sia sul lato della domanda che su quello degli approvvigionamenti? Io credo che il problema sia essenzialmente culturale. E non intendo puramente un fatto di conoscenza (o meglio ignoranza) della forma della Supply Chain in cui si opera, e dei modelli di integrazione e collaborazione. Credo piuttosto che “in nuce” si tratti di un problema di consapevolezza, di sentirsi (o meno) parte di un ecosistema – la Supply Chain – con cui si è in relazione organica, e da cui dipende letteralmentel a vita o la morte della propria azienda. In altre parole, tornando al concetto iniziale, il Supply Chain Management non è logistica: è strategia!
Principali fattori di incertezza a monte
• Numero, unicità, localizzazione dei fornitori
• Stabilità della base dei fornitori
• Durata dei contratti di fornitura
• Livello di dipendenza della base dei fornitori
• Numero di passaggi a monte della supply chain
• Performance dei fornitori
• Rischio Paese dei fornitori
• Livello di maturità di processi e tecnologie
• Complessità dei prodotti/numerosità dei componenti
• Livello di qualità richiesto
Principali fattori di incertezza a valle
• Varietà dei prodotti
• Volatilità della domanda
• % delle vendite indotta da promozioni/sconti
• Elasticità dei prezzi
• Fluttuazione dei prezzi
• Ciclo di vita dei prodotti (lunghezza e posizione lungo la curva)
• Tasso di introduzione di nuovi prodotti
• Rischio di obsolescenza
• Numero e caratteristiche dei segmenti di mercato
• Intensità della competizione
• Numero di passaggi a valle della supply chain
• Importanza del time-to-market
• Nuovi mercati/nuovi canali
* Alessandro Perego è Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation e Ordinario di Logistica e Supply Chain Management presso la School of Management del Politecnico di Milano