Digital transformation, Epifani (Dti): “L’industria 4.0 non è solo una fabbrica connessa”

Il co-founder del Digital Transformation Institute in audizione alla Commissione Lavoro del Senato: “Il concetto di industry 4.0 è stato ripreso in Italia con un’accezione limitativa. Non si parla solo di industrie, ma di trasformazione digitale del Paese. Un ruolo chiave spetta alla politica”. Mercadante (Cisco Italia): “Servono competenze e attitudine imprenditoriale”

Pubblicato il 01 Ago 2017

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“Il concetto di industry 4.0 è stato ripreso in Italia con un’accezione limitativa, declinata quasi esclusivamente nel mondo industriale. Sarebbe invece più opportuno riferirsi al concetto di trasformazione digitale. Non dobbiamo fermarci al come, cioè all’automazione dei processi produttivi e alla reingegnerizzazione. Ma dobbiamo portare all’interno del dibattito anche la dimensione di senso. Capire cioè cosa sta accadendo ora e cosa accadrà negli anni a venire”. È questo il messaggio lanciato da Stefano Epifani, co-fondatore del Digital Transformation Institute (Dti), in occasione dell’audizione alla Commissione Lavoro del Senato sugli impatti della quarta rivoluzione industriale.

“Il concetto di industry 4.0 nasce nel 2011 in Germania – ricorda Epifani – ed è stato ripreso in Italia con un’accezione limitativa, declinata quasi esclusivamente nel mondo industriale, mentre sarebbe più opportuno riferirsi al concetto di trasformazione digitale, che rappresenta invece un cambiamento dalla portata più ampia”. Il passaggio dall’industry 4.0 di matrice anglosassone all’industria 4.0 italiana rischia insomma di lasciare per strada il reale valore di un fenomeno dalla portata globale e in ascesa. Secondo il co-founder del think thank le problematiche legate alla quarta rivoluzione industriale devono necessariamente essere affrontate tenendo presenti due dimensioni: quella di processo e quella di senso.

Industria 4.0, Epifani: “Una società sostenibile ha bisogno di scelte politiche oculate”

La prima è quella relativa al come, cioè alle modalità che governano la business automation e la reingegnerizzazione che secondo Epifani chiamano in causa quattro ambiti (hard e soft skill, equilibrio fra sicurezza sociale e flessibilità, smart working e integrazione uomo-macchina) su cui è fondamentale agire quanto prima: “Bisogna uniformare la normativa fra vecchi e nuovi lavori per evitare asimmetrie come avvenuto con la sharing economy. Ma non basta cambiare le leggi – spiega il co-fondatore del Dti -. Servono pure politiche del lavoro orientate a favorire lo sviluppo di nuove competenze e contratti di lavoro flessibili, uno sfruttamento delle potenzialità dello smart working, un potenziamento del ruolo della contrattazione di secondo livello, un’attenzione più elevata all’importanza nelle politiche retributive di strumenti come la previdenza complementare, la sanità integrata e le premialità collegate alle perfomance”.

Tutte queste direttrici d’azione si limitano alla dimensione “endogena” all’organizzazione e attengono al come. Non bisogna però fermarsi qui, sottolinea Epifani, perché la digital transformation va oltre ed è quindi necessario uno scatto in avanti, che conduca l’analisi in una dimensione di senso e sposti l’attenzione sul cosa fare. “L’impatto delle tecnologie, gli sviluppi della platform society, le forme innovative di condivisione, il nuovo ruolo del prosumer, i rapporti capitale-lavoro e lavoro-ricchezza. Sono queste le grandi sfide che abbiamo davanti e che dobbiamo affrontare senza indugi – avverte Epifani -. Bisogna passare dal determinismo tecnologico alla necessità di governare il cambiamento attraverso scelte oculate della politiche per disegnare una società sostenibile”.

Digital skill, Mercadante (Cisco): “La sfida è creare una generazione di global problem solver”

Assieme al co-fondatore del Digital Transformation Institute è stato ascoltato dalla Commissione Lavoro del Senato anche Enrico Mercadante, responsabile dei progetti di digital transformation, architetture e innovazione di Cisco Italia presente all’audizione anche in qualità di founding member del Dti, che ha sottolineato l’importanza delle competenze digitale per un buon governo della trasformazione digitale. “Noi abbiamo preso a cuore il tema delle competenze digitali, in particolare in Italia con il piano Digitaliani. Solo tramite le Networking Academy abbiamo formato 150mila studenti, di cui 50mila negli ultimi 12 mesi – spiega Mercadante -. Abbiamo impresso un’accelerazione al nostro programma perché dobbiamo creare una nuova generazione di global problem solver, cioè di persone che abbiano sia le digital skill sia l’attitudine imprenditoriale”.

Secondo il manager, se è vero che spariranno delle professioni ma ne nasceranno di nuovi, dal pilota di droni all’analista di cybersecurity, è fondamentale riuscire a valorizzare le skill specifiche dei lavoratori. “Oggi guardiamo con attenzione i singoli talenti delle persone per sfruttarli in posizioni che li valorizzano. È più utile – conclude Mercadante – misurare la capacità dell’azienda di far leva sulle competenze specifiche di un dipendente che un generico indice di produttività del lavoratore”.

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