In questi ultimi anni, l’impulso allo sviluppo delle tecnologie IoT, edge computing e cloud ha avuto dinamiche radicalmente differenti nei domini consumer e industriale.
Nel primo le tecnologie IoT sembravano potersi imporre come:
- risposta efficace alla crescente domanda di servizi digitali per un’utenza sempre più fidelizzata all’utilizzo dello smartphone quale strumento utile a velocizzare e rendere più efficaci le relazioni con i soggetti terzi e con i fornitori di beni e servizi
strumento utile a consentire la concretizzazione di iniziative pubbliche aventi l’obiettivo di predisporre servizi utili a migliorare la qualità della vita dei cittadini (smart city, smart buidling e smart mobility).
In realtà la loro diffusione è stata invece spinta da cambiamenti radicali e repentini nei modelli di business di alcuni soggetti privati. Questi hanno compreso, in modo pieno e in anticipo rispetto al resto del mercato, il valore dei dati e della loro analisi al fine di influenzare e modellare le realtà e le abitudini degli abitanti del pianeta imponendo logiche monopolistiche in sostituzione a un approccio più democratico e sostenibile nell’utilizzo del dato. In questo, tali soggetti sono stati agevolati e favoriti dalla lentezza degli enti pubblici che hanno effettuato interventi tardivi e quasi sempre carenti dal punto di vista del coordinamento internazionale nella produzione di norme per la gestione dei Dati, in una cornice di tutela della privacy e di suo utilizzo ecosostenibile tali da impedire lo sviluppo di quello che si può oggi definire “mercato del dato” che ha assunto caratteristiche monopolistiche. Fa eccezione l’iniziativa europea del GDPR rimasta però isolata nel panorama globale.
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Business data driven
Nelle filiere produttive dei domini manufatturiero, retail e trasportation l’importanza del dato quale driver per la trasformazione e ottimizzazione del proprio business non è stato invece compresa con la sperata velocità e in modo omogeneo per tutti i settori. L’IoT e il cloud sono stati visti inizialmente come strumenti per introdurre applicazioni per le quali era molto facile valutare il ritorno dell’investimento (manutenzione predittiva, utilizzo delle strategie di Iaas per ridurre la spesa infrastrutturale). In molti casi si è atteso che il mercato mettesse a disposizione modelli più efficaci. Questa lentezza e resilienza al cambiamento ha tuttavia permesso di maturare una migliore e più attenta comprensione di come utilizzare le diverse tecnologie e architetture in combinazione con gli esistenti sistemi digitali di gestione della supply chain.
La necessità d’intervento del pubblico attraverso il lancio di programmi, quali ad esempio quello italiano relativo ai crediti di imposta per lo sviluppo di progetti di Industria 4.0, che hanno di fatto accelerato alcuni processi di innovazione, è una evidente dimostrazione di quanto non fosse ancora matura in tutte le geografie e le filiere la comprensione della necessità di pianificare una trasformazione digitale del proprio business come strumento per accrescere la competitività.
Da un paio di anni, in tutti i settori, l’implementazione di iniziative IoT e di strategie cloud hanno assunto un ruolo rilevante nell’ambito di processi di trasformazione digitale del proprio business. Queste iniziative hanno quindi determinato cambiamenti radicali nelle aziende che sono corse a dotarsi di modelli organizzativi più appropriati e di strategie di adozione aventi tipicamente due principali driver:
- politiche digitali tese ad ampliare il set di servizi/prodotti offerti ai propri clienti. Fra questi citiamo a titolo esemplificativo: la piattaforma di raccolta ed analisi dei dati sviluppata da John Deere e il successivo accordo con un grande produttore di sementa per la creazione di market place dove i farmer potessero acquistare insieme ai semi anche analisi dei dati raccolti dal campo attraverso sensori posizionati sulle macchine agricole; le piattaforme di veicolo connesso che tutti i costruttori di veicoli commerciali hanno sviluppato per offrire ai propri clienti servizi per la gestione delle loro flotte;
- politiche tese a controllare l’efficienza della supply chain con l’ottica di migliorare la qualità del prodotto (Zero defect), la riduzioni di costi incomprimibili (Zero training, Zero down time, Zero waste).
È proprio la maggiore maturità del settore industriale nel maneggiare le tecnologie cloud e IoT ad aver reso molto più comprensibile il ruolo dei modelli architetturali esistenti sul mercato per la conservazione ed elaborazione del dato:
- il Fog computing (o Fog) è un’architettura orizzontale, a livello di sistema, utile a distribuire senza soluzione di continuità risorse e servizi di calcolo, immagazzinamento di dati, controllo e funzionalità di rete sull’infrastruttura che connette il Cloud all’Internet delle Cose (IoT). Il Fog rappresenta al tempo stesso un’estensione e un miglioramento del paradigma Cloud in supporto ad applicazioni IoT che debbano rispettare precisi parametri di Qualità di Servizio (QoS) per essere processati, quali latenza e banda disponibili per una certa connessione. Nelle fabbriche tale architettura non viene quasi mai implementata in quanto i dati possono essere raccolti e gestiti attraverso una evoluzione Layer 1 e 2 dell’infrastruttura digitale di fabbrica tipicamente gestite del OT. Assume invece un ruolo rilevante nelle architetture geograficamente distribuite tipiche di applicazioni pubbliche (smart city, smart mobility) o in altre applicazioni tipiche dei settori retail e trasportation.
- L’edge computing sottende una modalità di elaborazione delle informazioni ai margini della rete, dove i dati vengono prodotti. I benefici principali derivanti dall’utilizzo delle tecnologie di Edge computing sono la riduzione della latenza di elaborazione, che permette risposte in tempo reale, e il risparmio di banda, inviando al data center informazioni già elaborate e quindi di minori dimensioni. A livello macroscopico un’architettura di edge computing si presenta come un’architettura IT distribuita e decentralizzata, ma più in dettaglio la società di analisi di mercato IDC la definisce come “una rete mesh di micro data center, in grado di elaborare e memorizzare dati critici localmente e di trasmettere tutti i dati ricevuti e/o elaborati a un data center centrale o a un repository di cloud storage” 1. Queste architetture stanno prendendo piede all’interno dei CED di fabbrica per ospitare applicazioni finalizzate alla manutenzione predittiva, alla qualità del prodotto e all’analisi di efficienza della catena produttiva. Le stesse stanno poi diventando strategiche per applicazioni IoT lì dove sono richieste analisi di dati particolarmente onerose (video) o dove la comunicazione con repositori in cloud diviene difficoltosa a causa delle limitazioni di banda (analisi dati sui mezzi di trasporto od in siti che soffrono di un evidente digital devide).
- Il cloud computing indica un paradigma di erogazione di servizi offerti on demand da un fornitore a un cliente finale attraverso la rete Internet (come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione dati), a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto sotto forma di architettura distribuita. Le risorse non vengono pienamente configurate e messe in opera dal fornitore appositamente per l’utente, ma gli sono assegnate, rapidamente e convenientemente, grazie a procedure automatizzate, a partire da un insieme di risorse condivise con altri utenti lasciando all’utente parte dell’onere della configurazione.1 Quando l’utente rilascia la risorsa, essa viene similmente riconfigurata nello stato iniziale e rimessa a disposizione nel pool condiviso delle risorse, con altrettanta velocità ed economia per il fornitore. La correttezza nell’uso del termine è contestata da molti esperti quali Rob van der Meulen e Christy Pettey che percepiscono queste tecnologie come una naturale evoluzione stimolata dalla diffusione di Internet mentre altri la considerano un termine ingannevole ideato per far propendere gli utenti nella direzione dei software offerti as a service (Richard Stallman) che presentano normalmente in Total cost of ownership su periodi superiori a 24/36 all’acquisto della licenza e quasi sempre privano l’utente del pieno controllo sui sistemi informatici. Queste architetture si sono diffuse inizialmente in modo veloce come sostituzione naturale del Data Center on premise con logiche di migrazioni IaaS o PaaS, trainate da ipotesi di risparmio nei costi infrastrutturali quasi mai raggiunti nei fatti. In questi casi, le aziende scelgono la strada di raggiungere accordi con più provider cloud, creando nei fatti ambienti ibridi e multi cloud che necessitano di complesse organizzazioni e infrastrutture di gestione e orchestrazione degli ambienti di public cloud (fra di loro) e gli ambienti che rimangono in private cloud o addirittura on premise. Nei progetti IoT stanno assumendo un ruolo importante laddove il soggetto che le implementa vuole realizzare sistemi di valutazione ed analisi strategici dell’andamento del Business o laddove la condivisione controllata del dato con la propria filiera produttiva può generare efficienze e crescita dei risultati di business. In questi ambiti la direzione che il mercato sta prendendo è per il momento ancora orientata alla scelta di un singolo cloud provider che esercisce la piattaforma applicativa IoT. In realtà molte aziende stanno comprendendo come propri in nei progetti IoT l’approccio collaborativo nella gestione dal dato che un dominio multi cloud teoricamente è in grado di offrire, possa rappresentare la vera chiave di svolta. Le barriere alzate per ragioni protezionistiche dai cloud provider alla diffusione di questo approccio saranno probabilmente rotta quando verranno definite delle politiche che renderanno lo scambio degli stessi più democratico e stimolate da logiche di mercato meno monopolistiche.
I tre modelli, che sembrano, a una prima disattenta osservazione, alternativi e concorrenziali l’uno rispetto all’altro, stanno attualmente vivendo un periodo critico di forte assestamento. In una prima fase il Cloud sembrava dovesse esplodere e assorbire completamente il mercato della gestione del dato. Successivamente le esigenze di gestire il dato con qualità e rapidità in prossimità della sua sorgente hanno invece fatto riemergere con prepotenza l’esigenza di disporre di architetture “on the Edge” da affiancare ad una serie di micro servizi svolti “in the Fog”.
Il punto sul mercato
Gli analisti si stanno occupando di questi argomenti con grande solerzia. Fra questi può essere citata l’analisi fatta da Gartner con l’obiettivo di fare il punto rispetto alle evoluzioni di questo mercato. In questo studio del 2018 il “cloud to the edge” occupava la quinta posizione nell’ambito dei dieci trend tecnologici più rilevanti per lo sviluppo delle tecnologie IoT. Le aziende, secondo la società di analisi, avrebbero dovuto iniziare a utilizzare schemi di progettazione improntati sui paradigmi dell’edge computing nelle proprie architetture infrastrutturali, specie quelle che sono contraddistinte da una significativa presenza di componenti IoT. Gartner si spingeva inoltre ad ipotizzare che entro il 2022 tutte le aziende avrebbero compreso componenti on the edge nelle loro infrastrutture IoT.
In realtà tale ipotesi è stata superata dai fatti anche in ambiti diversi dal IoT. Molte aziende manifatturiere hanno infatti sviluppato piani di trasformazione Digitale delle infrastrutture tecnologiche di fabbrica anche non connessi con le applicazioni IoT (MES, MOM, Planning and Scheduling, MRP) prevedendo un equilibrato utilizzo di risorse di storage e computazionali on the cloud/multi cloud ed edge.
Neanche il fog computing, inizialmente nato come la risposta immediata alla diffusione delle tecnologie IoT, è stato soppiantato dal cloud e dall’edge. Il fog dimostra la sua potenza laddove l’utilizzatore necessita di una topologia di rete più complessa, gerarchica, costituita da molteplici layer (nodi fog) e in grado di gestire, oltre alle operazioni di elaborazione, anche funzionalità di networking, storage, controllo e accelerazione.
Pertanto la differenza chiave tra le architetture sta nel punto in cui l’intelligenza (e la sua capacità di elaborazione) viene collocata: mentre nel fog computing essa viene portata a livello della rete LAN (local area network), dove i dati provenienti da sensori ed endopoint vengono elaborati da un nodo fog o da un gateway IoT, nell’edge computing questa intelligenza e capacità computazionale viene integrata direttamente nei dispositivi e in piattaforme embedded di elaborazione, come ad esempio i dispositivi PAC (programmable automation controller), che si interfacciano con sensori e altri sistemi embedded di controllo. La varietà delle soluzioni implementative di volta in volta adottate dalle varie organizzazioni fa sì che, comunque, la differenza tra edge e fog computing non risulti sempre così chiara e netta.
Conclusioni
La battaglia fra i cloud provider, i produttori di tecnologia Iot on the edge e on the fog, è in pieno svolgimento. Tale battaglia sarà fortemente influenzata anche dallo sviluppo delle tecnologie di networking (es. 5G) che, aumentando la capacità di banda e la velocità di scambio delle informazioni, renderanno sempre più vicini i domini Cloud ai sensori.
Tale battaglia sarà combattuta tuttavia nella trincea dell’impiego efficace del dato e nella sempre più evidente necessità di tutelarne la sua integrità e sicurezza, soprattutto laddove lo stesso diventi elemento attivo di politiche di business. Una economia collaborativa, con sistemi produttivi fortemente interconnessi e supply chain in grado di trasformare le filiere produttive da “on the stock” a “on demand”, richiederà una gestione differenziata delle informazioni talora esercitata nel fog, talora a livello edge e, in modo efficiente, talora a livello cloud.
Le tre esigenze di trattamento differenziato del dato sono e saranno sempre più evidenti anche in ambito pubblico (servizi al cittadino) e nelle filiere distributive del BtoC.
Diventa però molto evidente e chiaro che le tecnologie fog, edge e cloud e un loro equilibrato sviluppo possono rappresentare un’opportunità unica per la trasformazione dei modelli produttivi, di consumo e di business, in una direzione sostenibile che permetta di pianificare l’impiego delle risorse del pianeta in ottica ecosostenibile. In altre parole, la vera battaglia consisterà nella possibilità di creare modelli democratici in cui la libera concorrenza fra le tre architetture consenta uno sviluppo delle tecnologie al servizio dell’uomo e non della speculazione.