Nel 2011 che ci siamo appena lasciati alle spalle si è delineato
un nuovo e significativo trend dell’IT, prontamente ridotto
ad acronimo: BYOD, Bring Your Own Device, traducibile in italiano
come “porta il dispositivo che vuoi”. Si intende
la possibilità per il dipendente di utilizzare,
per le proprie attività lavorative, dispositivi mobili
che lui stesso ha scelto – pc, smartphone e tablet
– acquistandoli autonomamente oppure facendoli comprare
dall’azienda.
Alcuni commentatori statunitensi ne parlano come il più grande
cambiamento dell’IT degli ultimi decenni, un cambiamento
che è avvenuto nell’arco di soli due anni. La causa
scatenante è da ricondursi all’esplosione dei dispositivi
mobili personali, con l’avvento dell’iPhone e degli
altri smartphone recenti, entrati prepotentemente nelle aziende
sia per l’uso personale sia per il lavoro quotidiano. Un
fenomeno chiamato anche consumerizzazione dell’IT e legato
allo sfumare dei confini tra il tempo dedicato al lavoro e quello
della vita privata.
A conferma che non si tratta solo di un tema per convegni ci sono
già molte testimonianze illustri di aziende che hanno ritenuto
necessario e inevitabile affrontare il nuovo scenario, rivendendo
la strategia IT nell’ottica di riuscire a gestire, in
sicurezza e secondo policy definite, la pletora di dispositivi e
sistemi operativi oggi disponibili, dal BlackBerry ai dispositivi
Apple, dagli smartphone Windows Phone a quelli Android.
L’approccio BYOD ha il vantaggio, per le aziende, di
delegare all’utente – in parte o in toto – non
solo l’acquisto ma anche gli oneri della manutenzione e
dell’assistenza dei terminali.
L’ha spiegato sullo scorso numero di Wireless4innovation il
CIO di Procter&Gamble, compagnia che ha deciso di invertire
la rotta passando da un approccio che assegnava a tutti i
collaboratori lo stesso identico computer alla libertà di
scelta, secondo criteri stabiliti e graduali. Ai neoassunti il
computer non viene più fornito dall’azienda (che però
rimborsa in busta paga l’acquisto) mentre il supporto
tecnico è calibrato in base al ruolo in azienda. In alcuni casi,
ad esempio per gli utenti mac, ci si deve affidare a una rete di
auto-assistenza gestita direttamente dagli utenti.
Come P&G, che ha circa 100mila dipendenti, ci sono negli Usa
diverse importanti aziende che hanno avviato strategie di BYOD:
oltre alla già citata Procter&Gamble, si sono mosse Citrix,
Kraft, VMWare, Ibm.
Il trend appare dunque destinato ad arrivare nei prossimi
mesi anche in Italia, nonostante le profonde differenze
culturali che separano il mondo del lavoro anglosassone da quello
del nostro Paese, ma al momento la reazione dei CIO
sull’argomento è molto tiepida.
Una ricerca pubblicata di recente dalla School of Management del
Politecnico di Milano, che ha sondato l'opinione di circa 250
Chief Information Officer delle principali organizzazioni
pubbliche e private del nostro Paese, evidenzia con chiarezza lo
scetticismo verso le logiche del “BYOD”,
prevalentemente riconducibile all’esigenza di garantire la
sicurezza dei dati aziendali, eventualmente presenti sui
dispositivi “personali”, e alla necessità di
integrare e interfacciarsi con diversi Sistemi Operativi
Mobile.
Ma la spinta che viene dagli utenti è molto forte e il successo
di tablet e smartphone di ultima generazione in Italia è
maggiore che in altri Paesi. Mettere la testa sotto la sabbia
come gli struzzi non è certo la scelta giusta.