La gestione dei rifiuti – che oggi può avvenire in modalità smart tramite l’Internet of Things – abbraccia un ampio spettro di temi legati a ciò che nel decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto Testo unico ambientale (TUA), viene definito appunto come “rifiuto”, ovvero “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Una definizione controversa che da anni impegna giurisprudenza e dottrina nel tentativo di circoscrivere l’arbitrarietà del soggetto chiamato a “disfarsi” di ciò che va considerato rifiuto in sé e non secondo il giudizio del detentore. A tale scopo, il TUA ha introdotto una classificazione in base all’origine (rifiuti urbani e rifiuti speciali) e in base alla pericolosità. Rientrano tra i rifiuti urbani quelli di tipo domestico nonché gli altri provenienti dallo spazzamento delle strade e dalle aree pubbliche, mentre appartengono alla categoria dei rifiuti speciali quelli della lavorazione industriale, quelli generati da esercizi commerciali o che derivano da attività di recupero e smaltimento di altri rifiuti. I rifiuti pericolosi, invece, si riferiscono sia ai rifiuti di origine civile (ad esempio, medicinali scaduti e pile esauste) sia a quelli delle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti.
Cos’è e come funziona la gestione rifiuti in Italia?
Dalla differente catalogazione dei rifiuti dipende la sua gestione, che in Italia è suddivisa fra recupero e trattamento-smaltimento. Nel 2020, secondo quanto si ricava dal Green Book 2022 realizzato da Fondazione Utilitatis in collaborazione con Ispra, la produzione italiana di rifiuti urbani e assimilati è stata pari a circa 29 milioni di tonnellate, in calo rispetto al 2019 di oltre 1 milione di tonnellate a causa della chiusura di numerosi esercizi commerciali per via della crisi pandemica. Il tasso di effettivo riciclaggio di questi rifiuti è stato del 54,4% o del 48,4% (oscillazione dovuta al diverso criterio di suddivisione dei rifiuti urbani), ma comunque superiore alla media europea del 47,8%. Il conferimento in discarica invece si è attestato attorno al 20%, una percentuale leggermente migliore del 23% registrato in Europa. L’Ispra ha diffuso un rapporto anche sulla produzione dei rifiuti speciali da cui si evince che, sempre nel 2020, i rifiuti speciali complessivamente gestiti in Italia sono stati 159,8 milioni di tonnellate, di cui il 94,1% non pericolosi. Di questi, 126,8 milioni di tonnellate sono stati avviati alle operazioni di recupero, mentre 23,5 milioni di tonnellate sono stati destinati allo smaltimento. La quantità totale di rifiuti speciali esportata è stata di oltre 3,6 milioni di tonnellate, a fronte di una importazione superiore ai 6,7 milioni di tonnellate. Il 66% dei rifiuti esportati ha riguardato rifiuti non pericolosi, a differenza del restante 34%.
Chi si occupa della gestione rifiuti in azienda?
Che si tratti di rifiuti urbani o speciali, ogni detentore è tenuto a provvedere personalmente al loro trattamento o, in alternativa, a consegnarli a un soggetto esterno autorizzato a farlo. Nel caso delle aziende, vige l’obbligo di dotarsi di un responsabile tecnico a cui affidare il coordinamento e l’organizzazione di tutte le attività inerenti. Tale posizione può essere ricoperta dal legale rappresentante o dal titolare, o ancora da personale interno o esterno all’azienda che sia in possesso di determinati requisiti professionali. Il ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ha indicato espressamente nel 2017 quali debbano essere detti requisiti in funzione della categoria dei rifiuti da gestire. Ad esempio, per la categoria che comprende sia raccolta e trasporto di rifiuti urbani, sia raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi e di rifiuti speciali pericolosi non è richiesto un titolo di studio universitario, bensì specifici anni di esperienza nel settore. Invece, per la bonifica dei siti e, ancor più per la bonifica dall’amianto, la deliberazione ha previsto lauree specialistiche come quelle in ingegneria, chimica, scienze biologiche, architettura ecc.
Gestione rifiuti: come smaltire correttamente i tuoi rifiuti
La classificazione dei rifiuti guida anche il loro corretto smaltimento, cioè la direzione che devono prendere tra discarica, inceneritore, termovalorizzatore, compostaggio o riciclo. Il conferimento in discarica è la modalità più semplice, anche se implica che gli impianti siano muniti di sistemi di impermeabilizzazione che tutelino il suolo e le falde acquifere, oltre che di sistemi di recupero dei gas prodotti dalla frammentazione dei rifiuti. In Italia vi sono esempi all’avanguardia, come quello dell’azienda toscana Scapigliato che ha implementato tecnologie IoT per controllare i livelli di percolato e ottimizzare la captazione del biogas. Nonostante questo esempio e sebbene il nostro paese risulti tra i più virtuosi in Europa per quantità di rifiuti smaltiti nelle discariche, tuttavia sono ancora troppi quelli che non vengono sfruttati in maniera più produttiva. Cosa che avviene ad esempio grazie ai 37 termovalorizzatori presenti sul nostro territorio (la Francia ne ha 126 e la Germania 96). Questi ultimi coincidono con quegli impianti di incenerimento (in totale sono una sessantina tra attivi e inattivi) che producono energia elettrica e termica dal processo di combustione di rifiuti combustibili, frazione secca e bioessiccato grazie ai quali è possibile alimentare soprattutto il teleriscaldamento. Gli altri due metodi, il compostaggio e il riciclaggio, possono essere adoperati nel primo caso quando il materiale è biodegradabile e si presta a diventare concime, nel secondo qualora si tratta di materiale di scarto riutilizzabile nei processi di produzione come vetro, carta e cartone, alluminio, plastica e legno.
Normative per la gestione rifiuti: ecco le nuove disposizioni
A conclusione di questa breve panoramica sulla gestione dei rifiuti, non si può non citare il decreto legislativo 116 del 2020 che introduce alcune novità rispetto alla normativa del 2006. Anzitutto, a partire da gennaio 2021 c’è stata una modifica nella classificazione dei rifiuti che ha esteso la definizione di rifiuto urbano ad alcuni rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata. In pratica, l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani comporta che nella percentuale di rifiuti che l’Italia dovrà destinare al riciclo potranno essere considerati sia i rifiuti urbani sia quelli industriali, in linea con la direttiva europea. La seconda novità riguarda l’ingresso del RENTRI (Registro Elettronico Nazionale Tracciabilità Rifiuti) che, nel recepire il Circular Economy Package della Ue, definisce il formato digitale del registro di carico e scarico, nonché il formulario identificativo di trasporto. Il 29 settembre 2022 il regolamento è stato inviato al Consiglio di Stato per l’acquisizione del parere e alla Commissione europea per la procedura di notifica prevista dalla Direttiva UE 2015/1535 in materia di regolamentazioni tecniche. Passati 90 giorni per presentare eventuali osservazioni, quello che un tempo era il ministero della Transizione ecologica e che oggi ha preso il nome di ministero dell’Ambiente e delle Sicurezza energetica dovrebbe adottare il provvedimento istitutivo del RENTRI. In mancanza di questo provvedimento, continuerà a essere adoperato il modello di tracciamento cartaceo della gestione dei rifiuti tuttora in vigore.