Quanto tempo passiamo di fronte agli schermi dei nostri smartphone? Ben 4,7 ore al giorno, in media: una durata talmente lunga che permette di capire perché ormai il mondo del mobile abbia assunto un’importanza strategica in ambiti su cui difficilmente avremmo scommesso alcuni anni fa. Basti pensare a temi come pubblicità, marketing ed editoria, dove ormai si è costretti a ragionare in ottica mobile first. Di tutto questo si è parlato nel dettaglio nel corso della prima edizione dell’Upgrade Mobile Summit, un evento che si è proposto per l’appunto di investigare nel dettaglio questo mondo, così da conoscere al meglio le tecniche, le tecnologie, i trend, gli scenari e i prodotti più efficaci per utilizzare lo smartphone come canale privilegiato di marketing, comunicazione, promozione, vendita e pagamento.
Impossibile, naturalmente, prescindere dai numeri, che sono stati messi in evidenza in occasione dell’evento da Fabrizio Angelini, Ceo di Sensmakers: secondo i dati Comscore relativi al terzo trimestre del 2016, praticamente tutti gli italiani sopra i 13 anni di età (circa 44 milioni) possiedono un telefono cellulare. Questo però non significa che tutti abbiano uno smartphone: esiste uno zoccolo duro piuttosto consistente, quasi 13,5 milioni di persone, che ancora si affida ai classici telefonini privi di connessione a Internet. Decisamente inferiori, invece, sono i numeri dei tablet, un prodotto che non ha mai realmente “sfondato” sul mercato nazionale: i possessori di questi device sono poco più di 6 milioni nell’intera Penisola. Ci sono poi altri dati che raccontano la forza dei dispositivi mobili: in Italia ci sono sempre meno persone che accedono a Internet soltanto utilizzando il PC desktop, mentre invece sono in aumento a doppia cifra quelli “multipiattaforma” e gli internauti esclusivamente “mobili”. Da notare che proprio gli utenti multipiattaforma sono ormai considerati come la “componente pregiata” dell’audience web da parte delle agenzie pubblicitarie e non solo.
Ovviamente la fruizione di Internet cambia sensibilmente se si è davanti allo schermo di uno smartphone oppure di fronte a quello di un PC, innanzitutto dal punto di vista della durata media.
L’esperienza dallo schermo di un cellulare è decisamente più rapida rispetto a quella di un desktop, vale a dire 2 – 3 volte inferiore. Tutto questo ovviamente interessa da vicino gli uomini del marketing e della pubblicità, poiché una durata inferiore di fruizione significa inevitabilmente meno tempo da dedicare ai messaggi dell’advertising.
Dunque il desktop, anche in questa fase di grande progresso del mobile, non può essere assolutamente messo da parte. Inoltre occorre considerare che il mobile è un mondo caratterizzato da dinamiche particolari, dove il 90% del traffico avviene via app. Ma il tempo su queste ultime, nonostante la grande vastità disponibile, è in gran parte appannaggio di pochi grandi player: Facebook, WhatsApp, Google. Questo spiega perché, al momento, nonostante la grande quantità di tempo speso sul nostro cellulare, gli acquisti effettuati direttamente attraverso di esso siano ancora pochini. Meno del 5% del totale. Questo però non significa che l’ecommerce da mobile non abbia un futuro, anzi: l’attività a più ampio tasso di crescita è proprio quella della finalizzazione dell’acquisto. Non è un caso che uno dei campioni italiani del commercio elettronico, Yoox, abbia reso noto di aspettarsi che, entro il 2020, ben i tre quarti del fatturato saranno legati proprio al mobile. Non tutte le aziende, però, per il momento, hanno colto questa opportunità: eppure secondo una ricerca condotta da LensAcademy su 409 professionisti in rappresentanza di 321 aziende italiane di diversi settori e dimensioni, il mobile è incluso nelle strategie comunicazione e marketing integrate dell’86% delle imprese. Eppure, a ben vedere, soltanto il 36% di queste aziende ha sviluppato una app e di queste solo un terzo permette di comprare beni e servizi. In buona sostanza, al momento, il mobile è utilizzato dalle imprese nostrane più per comunicare che per vendere. Ma, considerato che siamo appena agli albori di una rivoluzione tecnologica, non è detto che le cose non possano cambiare nel prossimo futuro.