Il supermercato dove andremo a fare la spesa tra 3-5 anni tornerà a essere come i mercati rionali a cui l’uomo è abituato dal Medioevo: un punto di incontro senza barriere, che favorisce la socialità. Ma sarà anche un luogo dove accederemo con la massima facilità e naturalezza, tramite i device digitali, a molte più informazioni sugli alimenti – e su come utilizzarli per migliorare il nostro stile di vita – di quelle che oggi ci danno le comuni etichette.
Questi in estrema sintesi sono i concetti del “Supermerca todel Futuro”, il cuore del Future Food District di Expo 2015, che incarna perfettamente il tema della manifestazione, l’alimentazione sostenibile, e non a caso si trova proprio al centro del sito espositivo.
Basato su un concept di Carlo Ratti, Direttore del MIT Senseable City Lab di Boston, il supermercato è stato realizzato con la collaborazione di Coop, e di Accenture per la definizione e implementazione delle soluzioni digitali, basate su tecnologie Microsoft. Si estende su una superficie di 2500 metri quadri, acui si accede dall’alto, dal terzo piano, per coglieresubito in un solo colpo d’occhio l’innovativa distribuzione degli spazi e l’integrazione tra tecnologie digitali e strutture fisiche: l’abbiamo visitato insieme a Gabriele Tubertini, CIO di Coop Italia. «Il criterio generale è che non abbiamo voluto fare aree demo di tecnologie estremamente futuristiche: abbiamo voluto realizzare un supermercato basato su soluzioni innovative avanzate, ma funzionante, dove si può davvero fare la spesa».
«Scaffali più bassi e piccoli per guardarsi in faccia»
Il primo pilastro del concept, continua Tubertini, è proprio l’intenzione di creare un ambiente più piacevole e meno claustrofobico del supermercato di oggi – il non-luogo per eccellenza, con navate alte due metri – grazie appunto a scaffali, banchi e tavoli “a misura d’uomo”, molto più bassi, «dove si possono riaprire le relazioni sociali, perché si riesce a guardare in faccia la gente». Questo è possibile grazie al posizionamento del magazzino proprio sotto la superficie di vendita, e a un sistema di shelf replenishment che, collegato ai sistemi di cassa, consente una gestione just-in-time, con ordini di riassortimento più piccoli, più frequenti, in tempo quasi reale, e percorsi fisicamente molto brevi: il prodotto risale da sottoterra con un montacarichi e si posiziona vicino allo scaffale dove deve essere riassortito. È questo sistema che permette di tenere minori quantità sugli scaffali, che quindi possono essere più bassi di quelli tradizionali. «Tutta la tecnologia utilizzata è già disponibile. Essendo una struttura temporanea con una vita di sei mesi, non aveva senso però scavare delle fondamenta e posizionare davvero il magazzino nel sottosuolo: per questo abbiamo creato una strutturarialzata».
Il secondo pilastro del concept è legato direttamente al tema dell’Expo, l’alimentazione consapevole e sostenibile: «Abbiamo applicato la tecnologia ai prodotti per fare in modo che raccontassero la loro storia, attraverso due tipi di interazione legati ad altrettantitouchpoint di ultima generazione».
Il primo è il “tavolo interattivo” (nelle foto): ciascuno espone quattro prodotti freschi, basta indicarne uno con un semplice cenno della mano e su uno schermo da 27 pollici appaiono informazioni “aumentate” sulla sua provenienza, tracciabilità, impatto ambientale e presenza di allergeni. Questo è possibile grazie a circa 200 sensori kinect che, integrati con un content management system, attraverso meccanismi di body detection individuano i movimenti del cliente.
Il secondo è lo “scaffale verticale”, dal layout completamente rivisto, e associato a un applicativo touch, da cui è possibile selezionare un prodotto e visualizzare informazioni addizionali, normalmente difficili da includere nello spazio di un’etichetta tradizionale: anche in questo caso il prodotto è in grado così di raccontare se stesso, le sue proprietà, la sua storia, il suo tragitto “dal campo alla famiglia”. «L’idea è fornire informazioni a un consumatore sempre più consapevole ed esigente, nel modo più semplice e naturale possibile, grazie alla tecnologia».
I “big data” mentre si fa la spesa
Lo stesso layout della struttura è diverso dai normali supermercati, e pensato proprio per proporre percorsi più informativi. Si sviluppa infatti non per categorie merceologiche ma per filiere, che partono dalle materie prime e arrivano alle loro più elaborate trasformazioni. «La filiera dell’ortofrutta e vini parte da verdura e frutta e arriva al prodotto finito: succhi di frutta, passate e vino. Poi c’è quella che parte dalla carne per arrivare ai salumi e quella lattiero-casearia, dal latte fino ai formaggi stagionati. C’è anche quella dal caffè ai coloniali e quella dai cereali alla birra».
A conclusione del percorso, le casse sono di ultima generazione, tutte con POS NFC, e accettano anche pagamenti via mobile con i provider attivi in Italia al momento. Intanto il cliente-visitatore è attratto da un grande schermo (120 mq) di “Real Time Data Visualization” che mostra in tempo reale alcuni dati su quanto accade nel punto vendita stesso: il numero dei visitatori presenti, i prodotti con cui interagiscono, le materie prime per cui vengono consultate più informazioni, la “top 10” dei prodotti più venduti e così via. «È una presentazione digitale ideata dal team di Ratti, specializzato in visualizzazioni interattive molto coinvolgenti, e dà al visitatore una rappresentazione concreta di cosa si può fare con i Big Data. Tieniamo traccia di tutto ciò che avviene all’interno del supermercato: ad esempio quante volte una persona ha interagito con un prodotto e quanti di quei prodotti sono passati in cassa», sottolineaTubertini.
Etichette sul web sempre aggiornate
La creazione di un nuovo database dei prodotti è stato uno degli sforzi più grandi per questo progetto.«Il Supermercato del Futuro ci ha dato l’occasione di cambiare approccio per l’etichettatura dei prodotti a marchio, inserendo ulteriori informazioni su allergeni, valori nutrizionali e carbon footprint. Inoltre abbiamo deciso di mettere tutte queste informazioni a disposizione di chiunque pubblicandole sul web: sul sito Coop ora c’è il catalogo di tutti i prodotti a marchio, circa 3000 referenze, anche se qui al Supermercato del Futuro ce ne sono 1500: 800 Coop e 700 dell’industria».
Questo ha cambiato il modo di gestire l’informazione dei prodotti, e quindi il modo di lavorare delle persone: «Prima era sufficiente completare l’etichetta, adesso il lavoro continua fino a quando le informazioni sono caricate sul portale web, e anche oltre, perché se per esempio cambia l’indicazione di un allergene per un prodotto è necessario aggiornare la scheda: in pratica abbiamo introdotto in azienda un processo che tiene perennemente aggiornate queste informazioni, anche nell’ottica della trasparenza verso il pubblico».
******Il contributo del Senseable City Lab del MIT******
Il Future Food District, e in particolare il Supermercato del Futuro, sono stati progettati da Carlo Ratti Associati, società di design specializzata nell’integrazione di architettura e tecnologie digitali, fondata e diretta da Carlo Ratti, Direttore del Senseable City Lab del MIT. «Ogni prodotto ha una precisa storia da raccontare, che oggi arriva al consumatore in modo frammentato. Presto invece potremo sapere tutto sulla mela che stiamo mangiando in un istante: l’albero su cui è cresciuta, i trattamenti che ha ricevuto, il viaggio che ha compiuto per arrivare allo scaffale del supermercato».
L’obiettivo era creare un ambiente intero di realtà aumentata, ma senza necessità di strumenti o interfacce sofisticate, dove le persone potessero incontrarsi e interagire davvero, scambiandosi idee e prodotti. «Ci siamo ispirati al libro Palomar di Italo Calvino, che, entrando in un negozio di formaggi a Parigi, ha l’impressione di trovarsi in un museo o in un’enciclopedia: “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo (…). Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma”», spiega Ratti.
Dietro al concept c’è la convinzione che questa “aumentata” conoscenza dei prodotti può creare nuovi legami sociali tra le persone: facendo leva sui meccanismi della sharing economy e del peer-to-peer si può pensare di creare un’area di libero scambio dove ciascuno può essere produttore e consumatore: una sorta di Airbnb di prodotti fatti in casa. «L’intenzione alla fine è quella di usare il design per far sperimentare diverse nuove modalità di interazione con il cibo a milioni divisitatori dell’Expo, da cui avremo dei feedback – sottolinea Ratti -: come dice Alan Kay, il miglior modo di predire il futuro è inventarlo, e questo si può fare meglio collaborando».