La conformazione del tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno rischia di rivelarsi un freno a mano di non poco conto per lo sviluppo dell’industria 4.0 nel Sud del Paese e di allargare la frattura con il Nord Italia in termini di produttività e crescita. Minori livelli di innovatività, bassa diffusione delle tecnologie Ict, dimensioni aziendali inferiori e anche servizi di mercato in media estremamente frammentati, con limitate presenze in quelle attività ad elevato contenuto tecnologico e professionale, sono le caratteristiche tipiche dell’impresa meridionale che, secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), potrebbero impedire agli sforzi a tinte 4.0 messi in campo dal Governo di massimizzare la crescita. In un contesto economico che sembra aver ritrovato una spinta importante, con la Banca d’Italia che ha da poco rivisto al rialzo le stime del Pil italiano per il 2017 dallo 0,9 all’1,4% paventando un avvicinamento deciso ai livelli pre-crisi nell’arco del prossimo triennio, la possibilità che la ripresa avvenga a due velocità tra Nord e Sud è un potenziale problema da tenere a mente.
Masterplan e Patti per il Sud sostengono il percorso verso Industria 4.0 del Sud
Negli ultimi tempi, ricorda il report Svimez, l’esecutivo si è sforzato non solo di impedire l’allargamento del divario fra le due metà del Paese ma anche di avvicinare le due aree in termini di competitività. Dal credito d’imposta per le nuove assunzioni nel Mezzogiorno ai Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia per conto del Mise, passando per strumenti agevolativi come il Masterplan e i Patti per il Sud, il Meridione ha costituito una delle priorità degli interventi di sostegno economico dopo lo scoppio della recessione. A questi si sono aggiunti poi alcune misure, come i decreti “Torno al Sud” e “Mezzogiorno”, e infine, seppur con un’ottica nazionale non orientata solo al Sud, il Piano Industria 4.0. Una strategia che dopo decenni di interventi più settoriali ha riportato in auge il concetto di politica industriale, con cui l’Italia non ha mai avuto troppa familiarità. Non è un caso che dalle associazioni di categoria, tanto sindacali quanto datoriali, si siano levate con un’insistenza sempre maggiore delle voci di plauso al Piano nazionale e alle relative opportunità. Anche perché il mercato italiano dell’industria 4.0 vale già cifre importanti (1,7 miliardi di euro nel 2016, in aumento del 25%), grazie alla spinta di Industrial IoT e analytics, e quindi un progetto nazionale che faccia da traino ulteriore non può che essere visto di buon occhio.
Secondo le stime degli autori del rapport Svimez, Stefano Prezioso e Luca Cappellani, gli interventi fortemente voluti dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, potrebbero avere a regime effetti positivi di intensità diversa fra Nord e Sud. Mentre nell’area settentrionale dell’Italia si prevedono ricadute aggiuntive per lo 0,2% del Pil, nel Sud tale effetto sarà comunque positivo ma più basso, attorno allo 0,03%. Se da un lato il Piano Industria 4.0 si appresta dunque a modificare strutturalmente gli stock di capitale, favorendo le componenti a maggior rendimento con un carattere permanente, dall’altro bisognerà valutare gli effetti differenti nelle varie zone d’Italia.
Una prospettiva che risiede nelle caratteristiche endogene dell’industria italiana che ha sempre trovato al Centro-Nord un terreno più fertile perché, sottolineano i ricercatori di Svimez, reagisce positivamente a misure che vanno nella direzione di accrescere la dotazione dei vantaggi competitivi meno diffusi e che, invece, sono cruciali nell’attuale contesto. Altrettanto endogena è la minore capacità recettiva del Sud Italia, alla prese con problemi di natura strutturale mai aggrediti con decisione: la minore propensione innovativa, la scarsa diffusione delle tecnologie Ict, le dimensioni aziendali comparativamente inferiori e la frammentazione dei servizi di mercato. Ostacoli allo sviluppo a cui si aggiunge poi la contrazione della capacità produttiva dell’industria meridionale, già relativamente minore, che nel corso degli anni di crisi economica ha viaggiato a ritmi negativi doppi rispetto al Centro-Nord.
Svimez: su Industria 4.0 tenere unite le due metà del Paese
Secondo il rapporto sarebbe utile che accanto alle misure previste dal Piano Calenda trovino spazio altre iniziative in grado di accrescere le dimensioni assolute del sistema industriale e le sue interrelazioni con i servizi di mercato locali. Pur riconoscendo che la strategia italiana per l’industry 4.0 rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto al passato, lo studio sembra lanciare un appello ai policy maker affinché si cerchi di tenere più unite possibili le due zone del Paese. Una traiettoria di sviluppo che è stata seguita fino al 2006-2007, quando gli importi delle agevolazioni concesse ed erogate nel Sud erano stabilmente superiori a quelli che affluivano alle regioni del Centro-Nord. A partire dal 2009, sottolinea i ricercatori, l’intervento pubblico ha invece favorito maggiormente le imprese dell’area più ricca e produttiva del Paese.
L’attesa è ora tutta per gli effetti del Piano Industria 4.0, operativo da inizio anno e deputato a far viaggiare l’industria italiana a dei livelli in grado di garantire una crescita solida e soprattutto sostenibile nel medio e lungo termine. I principali interventi, incorporati nella Legge di Bilancio 2017, riguardano il super e l’iperammortamento, il credito d’imposta sugli investimenti in ricerca e innovazione e la cosiddetta nuova Sabatini.
Rispetto agli sgravi fiscali previsti per gli investimenti hi-tech, il rapporto Svimez prevede per le imprese meridionali una quota di accesso pari al 7% delle agevolazioni stimate per l’intero Paese dalla Relazione tecnica del Governo. Tradotto in valore assoluto, ciò vorrebbe dire che le agevolazioni erogate alle imprese del Sud nel periodo 2018-2027 dovrebbero attestarsi intorno ai 650 milioni di euro, contro i circa 8,6 miliardi del Centro-Nord. Quanto poi al credito d’imposta sulle spese “incrementali” in ricerca e sviluppo relative all’arco temporale 2015-2019, il report prevede per il Sud una quota di accesso per le imprese del Sud al 10% del totale, cioè circa 350 milioni di euro per il quadriennio 2018-2021. Mentre il Centro-Nord è destinato ad assorbire oltre 3,1 miliardi. Infine, per la Sabatini-ter, la nota dei ricercatori Prezioso e Cappellani mette in evidenza che tra agosto 2015 e settembre 2016, il Mezzogiorno ha assorbito il 10,2% delle domande, per cui le agevolazioni previste dovrebbero attestarsi, nel Sud, intorno ai 56 milioni di euro, da ripartire nel settennio 2017-2023, a fronte degli oltre 500 milioni destinati al Centro-Nord.
Una situazione a due velocità che, per quanto dettata dalla storia economica dell’Italia, meriterà un monitoraggio ed eventualmente misure ad hoc. Perché se come dichiarato con insistenza l’obiettivo della via italiana all’industria 4.0 è agire a livello strutturale, con una logica di sistema Paese, l’allargamento della frattura Nord-Sud è senza dubbio un problema.