Presidente Calabrò, vorrei fare una premessa al nostro colloquio. L’Authority da lei presieduta ha un ruolo da svolgere di estrema delicatezza, per diverse ragioni. In primo luogo, deve regolare un comparto in sommovimento continuo, non solo per le tecnologie che cambiano, ma per le conseguenze che ne derivano in termini di nuovi servizi, nuovi stili di vita e nuovi attori, locali o mondiali: con il dilemma se lasciare “briglia sciolta” al sistema o se regolamentarlo da subito, evitando così eccessive concentrazioni di potere, ma rischiando di ostacolarne o impedirne lo sviluppo.
Inoltre, l’Authority deve conciliare l’interesse immediato degli utenti di poter accedere ai servizi alle migliori condizioni economiche con l’interesse di medio-lungo periodo della collettività di disporre di infrastrutture competitive, finanziate solo se redditizie: soppesando opportunamente il livello di concorrenza e il livello dei prezzi. Infine, l’Authority deve guardare alla situazione specifica del nostro Paese, ma evitare che regole “troppo diverse” diano vantaggi impropri alle imprese transnazionali che hanno le loro attività prevalenti in altri paesi. Nelle domande che le sottoporrò cercherò di avere bene in mente questa promessa, che spiega anche come certi indirizzi si modifichino nel tempo al prevalere di determinate esigenze rispetto ad altre.
Mi faccia dire innanzitutto che sono pienamente d’accordo con le sue premesse iniziali. Le comunicazioni sono un settore in continuo divenire con un impeto di innovazione e crescita che non ha eguali. Nel 1977 la prima connessione commerciale in fibra ottica era di 6 Mbps e richiedeva due fibre, una per ogni direzione di comunicazione. In trent’anni queste velocità sono aumentate di un milione di volte, raggiungendo i 6.400 Gigabit sulla coppia. Da 6 a 6 milioni in 30 anni, vuol dire una rivoluzione continua. Ma ciò non è solo il risultato delle “briglie sciolte”. Un recente documento della Commissione europea ha evidenziato come il processo di liberalizzazione regolamentata del mercato abbia determinato in Europa più, e non meno, investimenti. La regolamentazione, se avveduta, implica più concorrenza, minori prezzi per i consumatori e maggiori investimenti degli operatori.
Da questo punto di vista, venendo alla sua domanda, ho l’impressione che ciò su cui spesso c’è confusione non siano tanto i settori su cui l’Agcom ha competenza, quanto piuttosto i confini, le modalità e gli obiettivi dei nostri interventi. I nostri interventi si fondano sul diritto comunitario, che è a garanzia di tutti, consumatori ed operatori, e sono caratterizzati da sofisticate metodologie di analisi e di valutazioni dei costi e dei benefici. Viceversa, l’intervento legislativo con decretazione d’urgenza è immediato, può suscitare nell’immediato più consensi, ma per sua natura rischia di essere poco approfondito nell’analisi e quindi sommario nel suo obiettivo e incerto nei suoi risultati finali: è un colpo d’ascia anziché un lavoro di bisturi. Si pone, come tale, fuori delle best practice affinate in seno all’ERG (il Gruppo dei Regolatori europei) in base all’esperienza. È inoltre poco modificabile nel tempo, mentre la dinamica accentuata del settore richiede un adeguamento continuo. Deve restare dunque l’eccezione mentre la regola è e deve essere il modo di agire modulato dall’Autorità. Con l’Antitrust v’è un po’ di sovrapposizione ai confini delle rispettive competenze, che andrebbero meglio chiarite.
Il settore delle comunicazioni elettroniche è senz’altro in Europa quello caratterizzato dal maggior grado di integrazione ed armonizzazione delle politiche regolamentari. Esiste – come dicevo – un coordinamento comune di tutte le Autorità di settore attraverso un’associazione, l’ERG, di cui l’Agcom è stata Presidente di turno proprio lo scorso anno. Esiste soprattutto un’unica matrice regolamentare definita dal pacchetto di Direttive adottato dalla Commissione nel 2002 ed ora in fase di ulteriore affinamento. In questo quadro, l’armonizzazione dell’implementazione della regolamentazione comunitaria a livello nazionale è assicurata dalla Commissione, che ha un ruolo di controllo e vigilanza.
Mi sembra che i fatti confermino che siamo arrivati ad un sistema istituzionale efficiente su base associativa, ovviamente sempre migliorabile, ma evitando un’eccessiva centralizzazione che comporterebbe inevitabilmente sia un allungamento dei tempi di regolazione che un’eccessiva distanza dallo specifico mercato da regolare, il quale può avere (e in Italia ha) le sue specificità sia pure nel contesto complessivo in cui va armonizzato: armonizzato, non compresso.
L’attuale Consiglio dell’Autorità ha iniziato un’attenta riflessione sulla problematica dell’accesso alla rete locale di Telecom Italia. È chiaro che, a differenza del mobile dove operano quattro operatori infrastrutturati, nel fisso la rete d’accesso, essendo unica, rappresenta un collo di bottiglia. Perciò abbiamo messo in campo una politica regolamentare che, come ci ha riconosciuto in più occasioni la Commissione europea (da ultimo nel XIII Rapporto sullo stato del settore), ha ottenuto importanti risultati; l’Italia, con oltre 3 milioni di linee, è, ad esempio, leader nell’unbundling.
Ciononostante, considerato il peso dell’accesso e le quote ancora detenute dall’incumbent, abbiamo ritenuto al contempo indispensabile avviare una riflessione sull’opportunità di compiere un ulteriore passo in avanti in tema di separazione funzionale della rete di Telecom. Abbiamo quindi aperto un procedimento tendente a ridefinire l’intero quadro nazionale della regolamentazione dell’accesso, non solo a livello wholesale, ma anche retail. Ora sarebbe prematuro illustrare intendimenti e risultati di questo processo sui quali è ancora in corso il confronto con Telecom, ma già nella Relazione al Parlamento del prossimo mese di luglio illustrerò la cornice del nostro intervento.
Incominciamo col dire che l’attuale Consiglio ha posto la televisione digitale al centro delle proprie iniziative. La transizione dall’analogico è un fatto tecnologico, un imperativo che ci viene dal contesto istituzionale europeo, ma soprattutto, per l’Italia, una grande opportunità per pervenire ad un assetto più innovativo, concorrenziale e pluralistico. Con questa prospettiva, abbiamo varato, nel maggio del 2006, un regolamento in materia di televisione digitale in mobilità che ha permesso agli operatori nazionali di introdurre, primi al mondo, il servizio in tecnica DVB-H, la modalità diffusiva che è stata poi scelta dalla Commissione come standard europeo.
Ad oggi, il servizio conta quasi 1 milione di utenti, risultato che pone l’Italia in posizione di leadership mondiale. Inoltre, dopo aver effettuato un immane sforzo di censimento dell’etere televisivo, stiamo definendo le modalità esecutive del passaggio dall’analogico al digitale terrestre (il DVB-T): in Sardegna è stato già raggiunto un accordo che prevede, per la prima volta in Italia, un riordino dell’etere televisivo. È stato un esercizio difficile, ma altamente significativo, il cui risultato è di assicurare finalmente un efficiente utilizzo dello spettro frequenziale nonché condizioni che consentano un maggior grado di concorrenza e di pluralismo nel settore.