Un anno di sostanziale tenuta, chiuso con una lieve flessione (-3%) rispetto al 2019.
Così potremmo sintetizzare il 2020 del mercato Internet of Things, così come raccontato dall’Osservatorio del Politecnico di Milano.
Attenzione, però.
Quella che potrebbe sembrare una brusca frenata, rispetto a un trend che aveva visto il comparto crescere del 24% anno su anno nel 2019 e del 35% l’anno precedente, non solo è perfettamente in linea con quanto accaduto sugli altri mercati internazionali, non solo è comunque la rappresentazione di un mercato che vale 6 miliardi di euro, ma, soprattutto, “è figlia di tante dinamiche, tra le quali deve essere sottolineata la crescita dei servizi, che mettono a segno un +40% complessivo”, come spiega Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio, che quest’anno giunge alla sua decima edizione. “L’evidenza è che l’attenzione non è più sulla sola evoluzione tecnologica, ma sulla capacità di mettere a terra il valore che questo comparto ha in sé. Grazie agli oggetti connessi si fa innovazione e si crea valore”.
Non solo COVID: la flessione arriva nei comparti più maturi
Un punto va precisato, secondo Angela Tumino: “Certo, gran parte della flessione può essere attribuita all’emergenza pandemica, ma non è l’unico elemento che spiega i numeri del 2020. Ci sono anche altri aspetti legati alla spinta normativa. Pensiamo ad esempio al settore dello smart metering e dei contatori connessi: è un segmento che ha conosciuto una forte crescita negli anni passati, ma che ora sta arrivando alla maturità nel processo di adozione, che si traduce in una decrescita della curva”.
Così, se tutti gli altri segmenti registrano una se pur impercettibile crescita dello 0,5 per cento a 4,5 miliardi di euro, lo smart metering flette del 13% e si ferma appena sotto il miliardo e mezzo.
Il mercato in Italia: bene smart agriculture, smart car, smart city
In Italia siamo comunque arrivati a 93 milioni di connessioni IoT attive, 34 milioni delle quali su reti cellulari e 59 milioni tramite le altre tecnologie utilizzate in questo ambito.
“In questo caso – sottolinea ancora Tumino – va evidenziata la spinta positiva del Decreto Semplificazioni che ha dato letteralmente un boost alle reti LPWA (Low Power Wide Area) come LoraWan. NB-IoT, Sigfox, permettendone l’utilizzo in modo permanente”.
Nella disamina degli ambiti di applicazione dell’Internet of Things, Angela Tumino sottolinea come nonostante la flessione di cui abbiamo già fatto cenno, in effetti lo smart metering e le utilities ancora facciano la parte del leone.
Ma se di smart meter in ambito elettrico e gas da tempo si parla, tanto che i roll out sono arrivati a coprire rispettivamente il 50 e il 70 per cento dei contatori, nuova attenzione si registra oggi sull’idrico.
“Sono stati aperti nuovi bandi di gara, con punteggi premiali per chi offre soluzioni di telelettura basati sullo smart metering” – spiega – “e questo è un elemento che di sicuro ne favorisce l’adozione”.
Ha tenuto molto bene anche tutto il comparto delle smart car, tanto che oggi il 44 per cento delle auto in circolazione è connesso, spesso anche nativamente, con soluzioni sia cellulari sia bluetooth: “È un trend che si sta consolidando e che apre nuove opportunità nell’ambito dei servizi a valore”.
Della Smart Home abbiamo scritto diffusamente nel mese di febbraio, quando è stato presentato il focus dedicato a questo comparto, con una buona crescita per tutto il segmento degli elettrodomestici connessi, dei termostati e in generale di tutti quei prodotti che possono arrivare all’utente finale tramite i canali online, e qualche sofferenza in più per tutte quelle soluzioni che richiedevano l’intervento di installatori e tecnici.
Segnali positivi anche sul fronte smart logistics (+4% a 610 milioni), smart agriculture (+17% a 140 milioni di euro), smart factory (+10% a 385 milioni di euro), smart city (+8% a 560 milioni).
È il momento di misurare i benefici dell’Internet of Things
Su queste considerazioni preliminari, utili per dare un valore dimensionale al mercato, si sono poi inserite le riflessioni di Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio, che ha cercato proprio di dare evidenza ai benefici che l’IoT può portare nei diversi scenari d’uso, presentando alcuni modelli di stima relativi ad altrettanti segmenti di mercato: smart metering idrico, smart factory, smart home, declinato in questo caso sul fronte insurance.
Per i progetti di smart metering idrico, ad esempio, si parla di un ROI compreso trai 4 e i 5 anni, ai quali devono però aggiungersi anche significativi risparmi ambientali, sia nella riduzione degli sprechi, sia nella maggiore efficienza.
In questo caso, dunque, un paybacktime probabilmente più lungo rispetto ad altri scenari si compensa con l’impatto positivo sulla comunità e sull’ambiente.
L’installazione di contatori idrici, ad esempio, porta benefici per i gestori della rete idrica e per i cittadini sia dal punto vista economico, come la lettura del contatore da remoto, maggiore accuratezza della bolletta, rilevazione di frodi e identificazione di guasti, sia ambientale, come il risparmio di acqua, stimato fra 0,9 e 3,4 milioni di metri cubi all’anno (circa 18-20 m3/anno risparmiati da ogni famiglia).
Nell’ambito della smart home – il caso era già stato presentato a febbraio – la valutazione ha preso in esame l’incidenza dell’adozione di sistemi di videosorveglianza sui premi assicurativi richiesti. In Italia non esiste ancora uno storico sul quale poter fare analisi, per questo l’Osservatorio ha preso come riferimento il mercato statunitense: il risultato, non assiomatico ma comunque interessante, è che più l’abitazione è smart, minore è il rischio, minore dovrebbe essere il premio assicurativo.
L’IoT nella smart factory, prosegue nella sua analisi Salvadori, porta con sé benefici in termini di risparmio di tempi e costi e ha un ROI decisamente più breve rispetto ad altri scenari (17 mesi), come quello dello smart metering idrico. Tuttavia, è soggetto a un numero decisamente superiore di variabili, a partire, ad esempio, dalla correttezza degli algoritmi che vengono utilizzati in scenari di manutenzione predittiva.
Le tecnologie per l’Internet of Things: e se Internet diventasse “trasparente”?
Per quanto riguarda le tecnologie, Antonio Capone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, ha spiegato come lo scenario ideale dell’Internet of Things sarebbe quello in cui “Internet” è quasi “trasparente” per l’utente finale e dunque non dovrebbe richiedere configurazione, dovrebbe garantire interoperabilità e trasparenza, sia perfettamente integrabile con le applicazioni, non richieda abbonamenti dedicati. È un obiettivo ancora lungi dall’essere raggiunto, ma qualcosa comincia a vedersi, ad esempio con la realizzazione di infrastrutture di connettività al servizio dell’IoT, con reti dedicate all’Industrial IoT, con nuove connettività che si appoggiano alle reti esistenti, con le sperimentazioni in corso da parte di realtà come Z-Wave, Helium Networks o ancora Amazon con il progetto Sidewalk.
È uno scenario in continua evoluzione, nel quale, ad esempio, le tecnologie mobile e le tecnologie LPWA, oggi agevolate da Decreto Semplificazioni, non devono essere considerate antagoniste le une alle altre: “Ci stiamo muovendo verso una segmentazione, nella quale tutte le tecnologie trovano spazio e ambito di applicazione e operano in sostanziale equilibrio”, ha dichiarato Capone.
Il nodo da risolvere resta forse quello del mondo industriale, che richiede un approccio più attento. “Per la connettività IoT in ambito industriale, bisogna fare valutazioni attente. In qualche caso le richieste di capacità di rete oppure di garanzia di qualità possono portare a una scelta di reti private o a coperture dedicate, naturalmente previa valutazione dei costi / benefici associati a ciascuna scelta”.
Un’ipotesi allo studio riguarda la possibilità di destinare porzioni di spettro 5G su aree geografiche locali per uso di Industrial IoT, magari con formule di leasing oppure lasciando porzioni di spettro “unlicensed”.
Un nuovo tavolo di lavoro: la smart city
Tra i tanti ambiti nei quali l’Internet of Things trova applicazione, l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha deciso di aprire un tavolo di approfondimento specifico sulle smart city, che va dunque ad aggiungersi a quelli già esistenti sulla smart home, sul manufacturing, sulle smart car…
Sulla smart city c’è oggi una maggiore consapevolezza, mentre aumentano bandi e finanziamenti destinati a progetti specifici in quest’ambito.
La pandemia non ha fermato l’interesse sul tema, anzi, nel 47% dei casi lo ha reso ancora più urgente.
L’effetto più tangibile dell’emergenza da COVID-19 è stato forse qualche rallentamento nelle fasi esecutive dei progetti. Di certo c’è che oggi l’89 per cento dei comuni considera rilevante o fondamentale il tema e che a oggi nessun comune non lo ritenga tale.
I finanziamenti oggi ci sono: il piano Smarter Italy del MISE ha una dotazione finanziaria di 90 milioni di euro per incentivare sperimentazioni con tecnologie emergenti, in ambiti che spaziano dalla mobilità all’ambiente, dal benessere ai beni culturali.
Interessante, rispetto al passato, è l’approccio, che punta al coinvolgimento di attori diversi, come municipalità, istituzioni, aziende, con l’obiettivo non solo di collaborare nella realizzazione dei progetti, ma anche di definire le linee guida applicabili ai diversi scenari.
In tutto questo, va detto, il livello di maturità è ancora piuttosto basso: dei progetti avviati, il 29 per cento è ancora nella fase di analisi preliminare, il 46% è in fase pilota e solo il 25% è già entrato nella fase esecutiva.
Tuttavia, rispetto al passato, si nota una crescita della complessità dei progetti stessi.
Laddove nel passato i progetti smart city si concentravano su realizzazioni semplici, dai lampioni intelligenti ai sensori di monitoraggio dei parcheggi fino alle stazioni per il monitoraggio ambientale, oggi si ragiona in termini di maggiore completezza, seguendo tre grandi direttrici: l’integrazione, cosa che porta ad esempio a sviluppare le smart grid; la fruibilità, ovvero la possibilità di erogare servizi a valore aggiunto per il cittadino; la capillarità, rilevando dati dall’intero tessuto cittadino.
Ma quali sono le barriere che tuttora frenano il varo di progetti smart city?
Nel 63% dei casi il freno è rappresentato dalla mancanza di competenze, seguito (55%) dalla mancanza di risorse economiche adeguate.
Industrial IoT: l’open source facilita le PMI
Un secondo focus l’Osservatorio lo ha dedicato al tema dell’Industrial IoT e della Fabbrica Intelligente.
Secondo Giovanni Miragliotta, Responsabile scientifico dell’Osservatorio, molte sono le leve tecnologiche che stanno abilitando percorsi e processi innovativi nelle fabbriche, a partire dal 5G, dall’Edge Computing, dalle piattaforme di Industrial IoT. In particolare, evidenzia Miragliotta, proprio quando si parla di piattaforme si sottolinea, oltre alla presenza di player tradizionali del mondo IT e del mondo OT, il nuovo interesse da parte dei player dell’open source, che “rappresenta un forte elemento di abilitazione soprattutto per il mercato delle piccole e media imprese manifatturiere”.
Resta, la ricerca dell’Osservatorio lo mette in evidenza, un forte gap tra la propensione all’innovazione e all’avvio di progetti di Industrial IoT nelle grandi organizzazioni rispetto a quelle di piccole e medie dimensioni.
Il tema è anche culturale: a fronte di 94% di grandi imprese che conoscono il tema, solo 41% delle PMI sa di cosa si tratta quando si parla di progetti IIoT.
Con queste percentuali, non stupisce il fatto che il 68% delle grandi realtà abbia già avviato progetti, a fronte di un ben più modesto 29% delle PMI.
I freni sono sempre gli stessi: scarsa conoscenza delle tematiche, poca comprensione dei benefici, mancanza di risorse economiche. Rispetto al passo, questo sì, diminuiscono le resistenze interne, che pensano tuttavia nel 20% dei casi esaminati dalla ricerca.
Di converso, chi conosce il tema ne apprezza i benefici in termini di efficienza, efficacia, possibilità di accedere a finanziamenti, innovazione sostenibilità.
Tanto da far dire a Miragliotta: “IIoT: se lo conosci, lo applichi”.
Quanto alle progettualità più diffuse, quando si parla di smart factory, ottimizzazione della produzione, energy management e manutenzione predittiva rappresentano le principali linee di sviluppo.
Nell’ambito delle smart supply chain, la parte del leone spetta alla tracciabilità dei beni e alla gestione degli asset, mentre quando si parla di smart lifecycle, al centro dell’attenzione vi sono sia l’ottimizzazione dello sviluppo prodotti, sia la gestione del fine vita dei prodotti stessi.
In prospettiva, l’interesse tenderà a polarizzarsi su servizi con la maggiore componente di innovazione.
In questo momento, tuttavia, sia le grandi sia le piccole imprese non sembrano aver ancora messo bene a fuoco il tema della valorizzazione del dato.
Ed è questo un punto sul quale sarà importante continuare a lavorare.
“Il mercato si sta progressivamente spostando dalla vendita del solo hardware alla vendita di servizi aggiuntivi, con tre aziende su quattro che hanno avviato progetti di questo tipo, fra cui spiccano i servizi di tipo informativo (84%, come le notifiche push in caso di evento avverso), e quelli per l’energy management (45%) – ha spiegato Miragliotta -. La possibilità di attivare questi servizi passa dalla capacità di analizzare, gestire e valorizzare i dati raccolti da impianti e macchinari connessi, che però è ancora scarsa sia nelle grandi aziende (solo il 38% usa i dati) sia nelle PMI (39%), a causa di scarse competenze e risorse finanziarie e della difficoltà di integrazione tecnologica”.
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