Non solo nelle aziende, negli impianti produttivi, nelle reti energetiche, nelle case, ma anche e sempre di più nei centri storici delle città, nelle periferie urbane, negli edifici pubblici e lungo le strade. Una delle grandi direttrici del processo di diffusione delle reti Internet of Things è senz’altro quello delle e della pianificazione urbanistica digitalizzata e interattiva.
Ma a chi tocca promuovere e coordinare le attività di ricerca e sviluppo delle operazioni IoT e d’implementazione della Smart City? Spetta sempre e solo alle istituzioni e agli enti locali prendere l’iniziativa e sostenere gli investimenti in tale direzione, anche quando non hanno una visione strategica e operativa chiara e definita e le competenze necessarie?
Laddove il pubblico non ha le risorse e le capacità per sviluppare progetti innovativi in chiave IoT e l’iniziativa privata ha le “mani legate” per interventi ad ampio raggio, un ruolo propulsivo può essere esercitato dai cittadini stessi, mobilitati su progetti concreti e aperti al contributo di tutti, sia finanziario sia tecnico e ideativo.
LoRaWAN Italia
Ha fatto subito scuola in Olanda prima e nel mondo poi – come ben racconta agendadigitale.eu – l’esempio di cittadinanza attiva smart e digitale che sta alla base della piattaforma The Things Network, finanziata con una campagna di raccolta fondi su Kickstarter, con l’obiettivo di realizzare una rete di dati IoT creata dalle persone, libera e a disposizione di tutti. In poco più di un mese, la startup olandese è riuscita a coprire l’intera area di Amsterdam, con una rete basata su una tecnologia a basso costo (denominata LoRaWAN) consentendo ai sensori a essa collegati di dialogare fra loro senza WiFi, 3G e abbonamenti a servizi mobile. Dopo l’avvio ad Amsterdam, nell’agosto 2015, il progetto ha preso piede in 33 città di tutto il mondo, da Zurigo a Buenos Aires.
In Italia, l’unica adesione al progetto The Things Network è arrivata da Milano: promossa da iNebula, che vi contribuisce con un gateway installato nella propria sede milanese e con la gestione dei dati attraverso la piattaforma iNebula Connect. Come spiega CorCom in Milano Smart City ci pensa iNebula, si tratta del primo passo verso la creazione di un’infrastruttura aperta, partecipata da aziende private, ma anche da cittadini, per mettere in rete oggetti, applicazioni e dati e offrire servizi a valore aggiunto alle aziende e ai cittadini milanesi nella logica dell’Internet of Things.
Sofia2, piattaforma per smart city da La Coruña a Torino
Da cosa nasce cosa. Tante, infatti, sono le strade che portano alla configurazione di una Smart City: così come sempre di più sono i progetti testati positivamente in una città e che trovano poi accoglienza e nuovi sviluppi anche in un altro contesto urbano.
È il caso, per esempio, di Sofia2 – presentato in dettaglio da CorCom Non c’è Smart City senza Big Data e IoT – la piattaforma IoT di Indra in grado di processare migliaia di eventi al secondo, che rende possibile l’elaborazione di dati da e verso sensori, sistemi IT, dispositivi wearables, e dispone di un ambiente per lo sviluppo di soluzioni non solo per Smart City, ma anche per Smart Energy, Smart Health, Smart Retail e Automotive. Non va poi trascurato che queste piattaforme rappresentano anche la base per lo sviluppo e per l’evoluzione di progetti per la PA 4.0.
«Il caso di successo più completo è il progetto Coruña Smart City, in cui Sofia2 è la piattaforma di integrazione per le informazioni che fluiscono da e verso i diversi progetti verticali – spiega a CorCom Anna Gandolfi, direttore competence center Indra in Italia – Nel mercato italiano abbiamo realizzato, in partnership con TIM, un pilota in ambito Smart City a Torino, sfruttando le capacità d’integrazione di Sofia2 e l’efficacia del visore olistico 3D in uso a La Coruña».
Fuori dalle città, spuntano progetti a misura dei piccoli centri
Ma non è necessario vivere per forza in una grande città per sperimentare servizi e benefici di un progetto IoT.
Sperimentazioni e test si vanno diffondendo anche nei comuni minori in giro per l’Italia, come nel caso dell’asse Alpitel Raiway per un ecosistema IoT destinato a case e città legato alla cittadina di Ormea (Cn), nell’alta valle del Tanaro, in Piemonte. Un progetto congiunto Alpitel-RaiWay prevede la creazione di un’infrastruttura tecnologica composta da sensori e sistemi di interconnessione, destinata all’implementazione di nuove applicazioni, tra l’altro, di domotica, healthcare e recupero intelligente dei rifiuti.
IoT in automotive, complemento essenziale per le smart cities
Se nelle smart city un ruolo prioritario va alla gestione ottimizzata del traffico, funzionali a qualsiasi progetto urbano di governance della circolazione dei mezzi saranno le piattaforme e i software destinati a segnalare il corretto funzionamento o meno dei veicoli privati. E qui le porte spalancate dalle soluzioni IoT permettono già d’intravvedere uno scenario evoluto di grande interesse, come spiega in un’intervista su CorCom Manuele Cavalli, co-fondatore e business development director di Texa, azienda trevigiana che fornisce tecnologie e strumenti diagnostici per le case automobilistiche: «Dopo l’elettronica, l’Internet of Things è la seconda rivoluzione nel nostro settore». In Texa, si sta lavorando, tra l’altro, in collaborazione con il Cineca di Bologna, a un algoritmo che permetta di analizzare le informazioni inviate dalle auto connesse e prevederne i guasti, mettendo insieme tutti i ‘segnali premonitori’ sull’insorgere di un problema meccanico o elettronico. «Una sorta di ‘mappatura genetica’ dei veicoli – sottolinea Cavalli – che servirà per stabilire quando sono ‘malati’, con importanti risparmi di tempo ed economici per i clienti e nuovi vantaggi per i riparatori».
E i giganti cinesi puntano sull’hardware Made in Italy per l’IoT
Nella qualità delle aziende italiane nei progetti Industria 4.0 impegnate sul fronte IoT, del resto, ci credono anche i colossi cinesi dell’elettronica come Cogobuy, gruppo cinese dell’e-commerce per la componentistica elettronica (1 miliardo di fatturato nel 2015, +115% rispetto al 2014), che ha deciso di partire dall’Italia e puntare sull’hardware Made in Italy per creare il primo ponte europeo in grado di accompagnare la tecnologia per l’Internet of Things sul mercato cinese. «Vogliamo mettere in connessione maker, startupper e Pmi con la Cina, ossia con la grande fabbrica del mondo», spiega a CorCom Marco Mistretta, amministratore delegato della joint venture Ingdan Italia. In pochi mesi la compagnia ha raccolto oltre 1.000 progetti e ha portato 4 startup italiane nella Shenzen Valley, la più grande area mondiale di produzione elettronica, per incontri B2B con i player della distribuzione, i potenziali investitori e le aziende manifatturiere.
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