Sicurezza

IoT e wearable device per il welfare e la sicurezza dei lavoratori

Pubblicato il 30 Mar 2021

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L’IoT e i dispositivi indossabili sono sempre più presenti nell’ambito professionale, per monitorare i rischi derivanti da un’attività lavorativa continua, identificare possibili eventi avversi e migliorare la salute e sicurezza sul posto di lavoro. L’adozione di queste tecnologie apre importanti prospettive per offrire alle persone non soltanto un ambiente lavorativo sicuro ma anche uno stile di vita più sano.

RFID, dispositivi di protezione individuale e richieste del mercato

Nell’ambito professionale, le tecnologie IoT sono entrate in maniera pervasiva nel mondo dei dispositivi di protezione individuale. In particolare, negli ultimi anni c’è stato un grosso incremento del ricorso all’RFID (Radio Frequency Identification) per migliorare la protezione e la sicurezza dei lavoratori. I tag RFID vengono apposti su scarpe, guanti, caschi da lavoro, ma anche sulle mascherine – impiego che si è diffuso con la pandemia di Covid-19 -, allo scopo di verificare che tali DPI vengano effettivamente indossati dall’operaio.

Come funzionano i DPI con tecnologia RFID

Per accedere a un’area specifica, il lavoratore passa attraverso un gate dotato di antenna RFID, che legge il tag, verificando che questi abbia addosso tutti i dispositivi in grado di mantenere un elevato livello di protezione individuale. Un altro uso dei tag RFID è legato agli abiti da lavoro: attaccati sul capo, questi consentono, infatti, di tracciare i servizi di lavanderia, assicurando la restituzione al lavoratore di un indumento pulito e sterilizzato.

dispositivi indossabili

Sempre più presente, inoltre, è la richiesta da parte del mercato di dispositivi capaci di migliorare la salute e la sicurezza delle persone e dei lavoratori. Oggi esistono wearable device dotati di sensori che rilevano parametri vitali quali il battito cardiaco, la saturazione dell’ossigeno, la temperatura corporea, l’elettrocardiogramma, per applicazioni di telemedicina nei pazienti lungodegenti, il monitoraggio di pazienti RSA o dimessi dall’ospedale e di categorie speciali. E ancora, dispositivi indossabili che consentono il monitoraggio del lavoro in solitaria, rilevando la caduta accidentale dei lavoratori che operano in condizioni di isolamento – come manutentori, tecnici di servizio idrico, distribuzione di energia elettrica o gas, operai di cantiere, autotrasportatori, addetti alle guardianie, vigilanti -, attraverso il sensore uomo a terra, e inviando segnali di allerta alla centrale operativa, per l’attivazione immediata dei soccorsi. Per la trasmissione dei dati – sia in applicazioni di telemedicina che di monitoraggio dei lavoratori isolati -, diventa fondamentale il ricorso alle tecnologie di comunicazione di nuova generazione, come il 5G.

Questi aspetti saranno affrontati nel corso del webinar gratuito “IoT, wearable e 5G: in che modo migliorano il welfare e la sicurezza dei lavoratori” di “Partitalia Academy”, l’accademia di formazione che abbiamo lanciato lo scorso settembre, in cui ospitiamo docenti ed esperti di settore che offrono, con un approccio divulgativo, una serie di approfondimenti sull’innovazione tecnologica e le tendenze di mercato. Nel prossimo evento digitale, che terremo mercoledì 31 marzo, dalle 16:00 alle 17:30, ospiteremo Giuseppe Andreoni, professore ordinario presso il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, che terrà un intervento sull’utilizzo dei sistemi indossabili nell’ambito dell’ergonomia e della sicurezza sul posto di lavoro.

di Luca Del Col Balletto, CEO Partitalia srl

dispositivi indossabili

I dispositivi indossabili per la sicurezza dei lavoratori

I dispositivi indossabili, come dice il termine stesso, sono device che vengono posti a contatto o sul corpo, appartenenti a diverse categorie: indumenti o accessori – come caschetti, auricolari, bracciali, collane, orecchini – che incorporano dei sensori per misurare una pluralità di segnali; in alcuni casi sono dispositivi progettati ad hoc per applicazioni specifiche.

Dal punto di vista tecnologico i wearable constano di tre componenti fondamentali: una parte di sensoristica, in grado di rilevare uno o più segnali relativi allo stato di salute o di performance della persona; una parte elettronica con un micro-controllore che riceve e opera una pre-elaborazione del tracciato o del dato al fine di registrare e/o trasmettere gli stessi, e un trasmettitore che raccoglie tali segnali e in modalità ‘grezza’ oppure già elaborata – grazie a dei processori che possono esserci a bordo – li invia a un dispositivo esterno, come uno smartphone o un computer, o direttamente al Cloud, per essere immagazzinati o ulteriormente elaborati nella Rete; ovviamente, essendo componenti elettronici necessitano di una fonte di energia che viene in genere fornita da una batteria ricaricabile, che deve garantire il funzionamento del device per il periodo necessario al task per cui è stato realizzato o progettato. Se pensiamo ad un dispositivo per monitorare un turno di lavoro, questo deve avere un’autonomia di circa otto ore; per un wearable che debba monitorare la prestazione di un calciatore durante una partita, invece, sono sufficienti al massimo due ore e mezza.

Alla base del funzionamento di questi dispositivi ci sono tecnologie di trasmissione come il Bluetooth – attualmente il Bluetooth 5 – che permette, in funzione della sua programmazione, di inviare a breve, media o lunga distanza tipologie e quantità di dati anche differenti. Possiamo parlare, inoltre, di tecnologie di processing on board di segnali, vale a dire di elementi computazionali che hanno la capacità di fare delle elaborazioni a bordo del sistema, per minimizzare la quantità di dati che vengono trasmessi o per situazioni che necessitano ad esempio una elaborazione immediata che possa evidenziare eventuali situazioni di pericolo o emergenza, e di tecnologie Cloud.

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I wearable sono in grado di rilevare diverse tipologie di segnali fisiologici, che variano in funzione delle diverse applicazioni: segnali elettrici quali il battito cardiaco, l’attività muscolare – cioè l’attività elettrica connessa alla contrazione dei muscoli – e la respirazione con tecniche impedenziometriche; segnali di tipo meccanico, come il movimento, rilevabile attraverso unità inerziali di misura (IMU) miniaturizzate; di tipo termico, come la temperatura corporea; di tipo ancora fisiologico e rilevabili con sensori ottici, come la fotopletismografia per la rilevazione della saturazione dell’ossigeno e del battito cardiaco. Esistono, ancora, segnali diretti e parametri che possono essere calcolati da una o più combinazioni, o dalla correlazione tra diversi segnali, quindi facendo una stima dei livelli di stress, della pressione arteriosa e così via. Ogni applicazione richiede la progettazione specifica di un indumento o accessorio opportunamente strutturato. In funzione delle attività svolte dalla persona e dei relativi segnali di interesse va studiato, analizzato e progettato dove posizionare i sensori e la componente elettronica, ovvero quale tipologia di segnale rilevare attraverso il wearable e dove posizionare il dispositivo, nonché se, come e quando attivare le procedure di trasmissione dei dati. Il processo di rilevazione dei segnali è non intrusivo e consente all’utente di continuare a comportarsi in modo assolutamente normale, cioè senza avvertire interferenze con le procedure, il movimento e il comportamento tradizionale. In questo modo si ha una una fotografia, o meglio un video – dato che l’osservazione è dinamica – aumentato dei segnali fisiologici durante l’attività.

L’utilizzo dei dispositivi indossabili

In che modo tali dispositivi migliorano la sicurezza sul posto di lavoro? Da una parte, è possibile ricorrere ai wearable per una analisi e il monitoraggio dei rischi derivanti da un’attività lavorativa continua, per esempio attraverso sistemi che rilevano parametri inerenti il rischio biomeccanico durante la movimentazione manuale dei pesi associato all’attività lavorativa, e contestualmente l’attività cardio-respiratoria, per una stima del costo energetico dell’attività lavorativa medesima. Si tratta di informazioni utili sia per valutare ma soprattutto in chiave proattiva per riprogettare il task o l’ambiente di lavoro, in modo da minimizzare o ottimizzare l’impegno del lavoratore, riducendo la fatica, lo stress, l’impegno, la ripetitività. Dall’altra parte, essi consentono di identificare possibili eventi avversi, come l’insorgenza di un problema di tipo fisiologico, un malore, un trauma che può colpire il lavoratore, attivando i sistemi di sorveglianza.

Le tipologie di aziende che utilizzano questi sistemi operano nei settori più diversi: al Politecnico di Milano, ad esempio, abbiamo lavorato con industrie della grande distribuzione organizzata, per fare una task analysis con i parametri cinematici durante tutte le attività lavorative; con industrie biomedicali, per migliorare l’ergonomia di alcune tipologie di strumentazione diagnostica; con aziende dello spettacolo per valutare l’ergonomia delle operazioni che vengono svolte all’interno dei teatri.

Mediante questa tipologia di dispositivi, le aziende, da un lato, possono ridurre l’incidenza di determinate patologie nei dipendenti, e dall’altro operare in una prospettiva più ampia, per stimolare la salute del lavoratore, offrendo non soltanto un ambiente lavorativo sicuro ma anche uno stile di vita più sano. In un’ottica di prevenzione, sia in ambito lavorativo che medico, all’interno di un sistema sanitario i cui costi stanno aumentando in maniera considerevole, prevenire l’insorgenza o minimizzare l’effetto di specifiche patologie costituisce un aspetto estremamente importante. Oggi si parla molto di lifestyle medicine, medicina dello stile di vita: la raccolta di dati relativi alla propria vita, nelle attività domestiche, ludico-motorie e, appunto, lavorative, offre una visione molto più completa del comportamento e della salute della persona, per poter definire e adottare strategie di prevenzione rispetto a eventuali rischi di patologie derivanti o da una genetica familiare o da uno stile di vita non corretto.

di Giuseppe Andreoni, professore ordinario e coordinatore del Laboratorio “Tecnologia e Design per la Salute (TeDH)”, Dipartimento di Design, Politecnico di Milano

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