Nelle ultime settimane il dibattito sui tempi imposti dagli
operatori di telefonia mobile ai propri utenti per ottenere la
portabilità del numero è entrato nel vivo. È di pochi giorni
orsono la pronuncia di accoglimento dell’istanza di
sospensione cautelare da parte del Consiglio di Stato a cui si
era rivolta AGCOM (affiancata da Altroconsumo), avverso la
sentenza del TAR Lazio di annullamento della delibera 78/08
dell’AGCOM, che poneva a 72 ore il tempo massimo entro
cui gli operatori avrebbero dovuto completare la procedura di
migrazione per l’utenza (la c.d. number portability). Pur
trattandosi dell’accoglimento della sola sospensiva, la
prima presa di posizione del Consiglio di Stato appare
rilevante. Il ricorso trae origine dal un provvedimento
dell’AGCOM che, nell’ambito dei suoi poteri di
controllo e regolazione del mercato delle telecomunicazioni,
era a suo tempo intervenuta, stabilendo un termine massimo e
certo entro il quale l’operatore mobile avrebbe dovuto
rendere effettivo il trasferimento dell’utente ad altro
concorrente operante sul territorio. In precedenza il tempo
limite era di cinque giorni. Nella realtà dei fatti la
procedura durava circa quindici giorni.
La delibera di cui sopra definiva il termine di migrazione
(tecnicamente uno switch tecnologico molto meno problematico di
quanto non si voglia far credere) in tre giorni. Con
l’intervento del Tar Lazio e relativo annullamento della
delibera siamo tornati nell’assoluta incertezza, il cui
conto (in senso letterale) viene pagato dagli utenti. Al di là
dei richiami alla realtà internazionale ed europea,
generalmente più favorevole agli utenti (la media europea per
la number portability è di circa 9 giorni), quello che appare
opportuno evidenziare in queste colonne non è tanto il giorno
in più o in meno di permanenza dell’utente con un
determinato gestore, ma quanto accade all’utente stesso
dal momento in cui egli manifesta la volontà di cambiare. Come
è noto, l’utente cambia gestore mobile perché attratto
da offerte contrattuali che, all’apparenza o in concreto,
meglio si adattano alle sue esigenze. Non appena l’utente
invia la comunicazione di richiesta di migrazione (normalmente
predisposta “dall’altro gestore”), si scatena
un fortissimo pressing da parte del primo operatore per
convincere il titolare del numero a “rimanere”.
Esistono a mio avviso due piani ben distinti nel giudizio sul
comportamento successivo dell’operatore originario:
quello di puro marketing, dove è logico che si effettuino
tentativi di convincimento, e quello invece più subdolo, dove
a fronte di un allungamento dei tempi di migrazione si
sovrappongono politiche dissuasive più pervicaci e meno
trasparenti. È di tutta evidenza che solo il secondo debba
assumere una qualche rilevanza ai fini del contesto generale
entro il quale dovrà muoversi il Consiglio di Stato. I
comportamenti sono i più disparati: dalle offerte e profferte
(rigorosamente verbali) di tariffe strabilianti, confezionate
ad hoc per “l’utente migratore”, elencate al
telefono da un anonimo operatore che chiamerà in qualsiasi
momento del giorno (e non solo del giorno), sino ad oscuri Sms
che, se “risposti” in modo distratto, integrano un
vero e proprio recesso giuridico dalla richiesta di migrazione,
cosi che l’utente non cambi più gestore (senza che
nessuno gli dica più nulla). Se è logico, e lecito, che
qualsiasi “commerciante” faccia di tutto perché il
cliente non cambi fornitore, non è né logico, né etico e
probabilmente neppure legittimo che l’operatore,
utilizzando appieno la sua smisurata forza di comunicazione ed
una tecnologia che gli permette di entrare nella privacy
dell’utente in qualsiasi momento, induca con ogni mezzo
l’utente a cambiare idea.
La cosa singolare (per non dire ridicola) è che tutte le
campagne di comunicazione per i nuovi piani tariffari si
assomigliano, ed allo stesso modo sono simili (per modalità e
contenuti) anche le offerte last minute fatte agli utenti in
odore di migrazione: per chi resta arrivano bonus di chiamate,
migliaia di minuti gratis e cumuli di Sms, a tutti a e tutto.
La reale differenza sta nel fatto che un avveduto (non molti)
consulterà con maggiore o minore attenzione il piano
tariffario del gestore verso il quale intende migrare, ma sarà
ben difficile per non dire impossibile, verificare la promessa
verbale di un suadente operatore di call center (remoto ed
irrintracciabile): quanti erano i minuti? Verso chi? Tra utenti
del medesimo operatore o verso tutti? Dove trovo il piano
tariffario se l’offerta è solo per un singolo utente? Il
discrimine tra il marketing estremo e comportamento vessatorio
è indubbiamente difficile da tracciare, ma alcuni sforzi
interpretativi sono attualmente possibili.
AGCOM ed Autorità del Mercato e della Concorrenza, nei
rispettivi ambiti di competenza, hanno negli ultimi anni
impresso una notevole razionalizzazione, che in alcuni casi ha
rasentato il dirigismo, su molti dei comportamenti scaturiti
dalla diffusione capillare dei servizi di telefonia mobile, e
più in generale della vendita di servizi attraverso il mezzo
telefonico (si pensi, tra i tanti, alle restrizioni di accesso
di numerazioni premium, alle limitazioni sulla pubblicità
televisiva di alcuni servizi a pagamento, o alle recenti
sanzioni a carico degli operatori telefonici per la pubblicità
ingannevole nella vendita di contenuti per telefonia mobile con
modalità “in abbonamento”). Allo stesso modo
sarebbe auspicabile un intervento più deciso e proattivo da
parte dell’AGCOM (e perché no anche
dall’Antitrust, ancora per i profili di pubblicità), che
individui non solo uno “sterile” lasso temporale
entro il quale la migrazione deve essere effettuata, ma anche e
soprattutto circoscriva in modo preciso quali iniziative
possano essere intraprese dal gestore abbandonato per
riprendersi l’utente, senza che ciò avvenga con modi
ingannevoli o, semplicemente, per sfinimento.
Nella lettura dei precedenti sopra indicati non mancano precisi
richiami alla debolezza contrattuale e psicologica
dell’utente (o alcune fasce di essi) nei confronti dei
grandi operatori; sarebbe sufficiente appellarsi agli stessi
principi per individuare una sudditanza intrinseca nel
consumatore/utente medio che, attirato dalle sirene di
ultraconvenienti piani tariffari dei concorrenti, tenti di
abbandonare il proprio gestore, ma spesso si arrenda ad uno
strapotere tecnologico ed invasivo cosi pressante da non far
più apparire molto più verde l’erba del vicino.
Sull’assunto di tale “debolezza” (si badi
bene, debolezza e non ignoranza) non dovrebbe essere difficile
tracciare un perimetro oltre il quale il comportamento del
gestore può ipotizzarsi come vessatorio o lesivo della
concorrenza. È una prova difficile quella a cui sono chiamate
le autorità di controllo: non più norme, testi unici o
circolari ministeriali, ma principi generali di ordine pubblico
economico applicate a fattispecie sofisticate ma con diffusione
capillare ed assolutamente trasversale. Non esiste ceto sociale
o fascia di utenti più o meno “evoluta” che non
rischi, almeno una volta nella vita da consumatore, di
imbattersi nelle problematiche sin qui esposte. In quanti casi
“il libero mercato” è stato violato o il
consumatore effettivamente vessato? Difficile a dirsi senza
cadere nel tranello della demagogia e della tutela ad ogni
costo (altrettanto pericolosa ed iniqua). Nell’attesa che
i nostri organi di controllo si attivino in modo più
articolato, accontentiamoci del provvedimento cautelare del
Consiglio di Stato: se non è possibile limitare le iniziative
del gestore, accontentiamoci, seppur acriticamente, di
limitargli il tempo.