L’ESA coltiva grandi ambizioni. E non è solo una metafora, ma il cuore di uno dei progetti più delicati che l’Agenzia Spaziale Europea sta affrontando per migliorare le condizioni di vita degli esseri umani in ambienti estremi. In questo ambito le discipline aeronautiche e agricole trovano più punti di contatto di quanto si possa immaginare, e le applicazioni sviluppate nei campi come nei laboratori privi di gravità orbitanti intorno alla terra vengono mutuate da un settore all’altro con risultati molto promettenti. A tirare il sottile filo rosso che lega i due mondi l’Unione europea ha chiamato Gary Stutte, scienziato americano ricercatore specializzato in agricoltura spaziale e idroponica, il cui nome figura tra le principali missioni dedicate alle coltivazioni in condizioni di microgravità condotte dalla NASA negli ultimi anni. Il nuovo incarico di Stutte, inquadrato nel programma di ricerca Horizon 2020, prevede una collaborazione con il Controlled Environment Laboratory for Life Sciences (CELLS) di Limerick in Irlanda, che darà vita a una serie di sperimentazioni su diverse specie vegetali per migliorarne resa e capacità di resistenza in condizioni ambientali avverse. L’obiettivo, a cui l’ESA tende da ormai 25 anni, è prima di tutto cercare di ridurre il fabbisogno degli occupanti di veicoli spaziali di rifornimento di cibo attraverso la creazione di ecosistemi controllati che, armonizzando i processi chimici e fisici di alghe e altre piante estremamente semplici, possano innescare cicli rigenerativi di alimenti e aria respirabile a partire dal riciclaggio degli scarti prodotti dagli astronauti. In seconda istanza, i risultati ottenuti possono poi essere declinati anche per avviare sperimentazioni all’interno dell’atmosfera.
Progetto Melissa
Uno dei progetti su cui Stutte sarà più attivo è il MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative). A breve l’ESA invierà sulla ISS (International Space Station) una coltura di Spirulina, un’alga da secoli raccolta e mangiata in Sud America e in Africa, che oltre ad avere la capacità di convertire anidride carbonica in ossigeno si riproduce estremamente in fretta e costituisce un alimento nutriente, edibile in comode barrette.
Naturalmente, sarà necessario verificare se, a parità di condizioni di ambiente controllato, la spirulina spaziale svilupperà le medesime caratteristiche di quelle che contraddistinguono le alghe coltivate in condizioni di gravità normale. Per questo l’ESA ha coinvolto sette istituti comprensivi dell’Umbria, coordinati dal Laboratorio di scienze sperimentali di Foligno, per mettere a punto la comparazione e per procedere con la ricerca di nuove soluzioni che possano contribuire alla realizzazione di progetti di SmartAgriculture. «Per l’Esa è di fondamentale importanza scoprire se la spirulina coltivata in assenza di gravità subisce delle trasformazioni o se si comporta esattamente come sulla Terra. Questo perché la spirulina potrebbe rappresentare una risorsa imprescindibile per gli astronauti: sapere di poter contare su questo cianobatterio per prodursi cibo e ossigeno significa che gli astronauti possono acquisire autonomia e intraprendere anche missioni spaziali di lunga durata», ha spiegato l’astrofisico Roberto Nesci parlando con il portale di news Umbria 24.
Dallo spazio alla terra
Ma come detto, le tecnologie messe a punto dall’ESA possono avere precise ricadute anche per chi tiene ben saldi i piedi per terra. Durante il recente COP21 (il summit francese durante il quale si sono riuniti i capi di Stato dei Paesi più sviluppati economicamente per discutere del cambiamento climatico globale) un sistema di trattamento delle acque reflue creato dall’Agenzia spaziale nell’ambito del progetto MELiSSA è stato identificato come una delle soluzioni di punta per affrontare il tema dell’incontro.
Si tratta di una tecnologia di microfiltraggio alimentata da energie rinnovabili (solare ed eolica) che prevede il passaggio dell’acqua attraverso celle di ceramica, i cui fori hanno un diametro 700 volte inferiore a quello di un capello, e da due ulteriori membrane.
«Mediamente, un essere umano consuma ogni giorno un chilo di ossigeno, un chilo di cibo e tre litri d’acqua», dice Christophe Lasseur, a capo del progetto MELiSSA, «mentre produce dai due ai 20 litri di acque reflue derivate dalle attività di igiene e dalla preparazione dei cibi, più 1,5 litri di urina. Quindi il riciclaggio dell’acqua sarà essenziale per sostentare gli astronauti durante le lunghe missioni spaziali durante le quali non è possibile essere raggiunti dai rifornimenti». O appunto per migliorare le condizioni di vita dei molti che invece rimangono sulla Terra. Il sistema è stato in uso per anni nella base antartica franco-italiana Concordia e ora, dopo l’implementazione con l’alimentazione fornita da energie verdi fornita da Firmus France, la soluzione è sbarcata anche grazie alla collaborazione della tedesca Belectric in Marocco, dove l’Università di Kenitra l’ha adottata per fornire acqua al villaggio di Sidi Taibi.