Innovazione

La nuova scommessa business passa dalle interfacce conversazionali

L’esperienza di Brainy, il laboratorio permanente di R&D di Vidiemme consente di valutare le opportunità, anche per lo sviluppo del business, collegate alle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale e sulle applicazioni delle interfacce conversazionali. Ancora una volta, come nel caso del web e del mobile, è necessario prepararsi a un cambio di paradigma

Pubblicato il 29 Apr 2016

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Nel mondo della tecnologia l’idea di riuscire a dare vita a una conversazione uomo-macchina che simulasse una naturale interazione umana è di lunga data ma, a differenza del passato, sembra che finalmente i tempi siano maturi, e non a caso intelligenza artificiale e interfacce conversazionali sono oggi il trend più significativo tra i modelli di software avanzati.

La loro comparsa nelle primissime forme embrionali risale alla fine degli anni ‘90, dove molti ricorderanno Clippy, l’assistente personale della suite di Microsoft Office che fece la sua comparsa nei nostri computer con la missione di comprendere i bisogni degli utenti in base alle azioni o domande che avrebbero potuto chiedergli, e a cui rispondeva, dobbiamo essere onesti, con alterni risultati.

Oggi sia utenti che tecnologie sembrano pronti per un cambio di paradigma dove la promessa è quella di andare sempre più a ridurre le distanze tra le persone e servizi, modificando il modo in cui le aziende comunicheranno con i loro clienti.

«Non avremo più bisogno di trasformare il nostro bisogno in una serie di comandi da impartire ad un programma – ci dice Francesco Cottone, direttore di Brainy, il laboratorio permanente di R&D di Vidiemme Consulting – ma dovremo, in maniera molto naturale, comunicarlo ad una macchina e questa lo eseguirà, riducendo il tempo tra il bisogno e il vederlo attuato. È chiaro che la premessa che ci sia un cambio culturale – paragonabile a quello provocato dalla nascita del web – è importante, concreto».

Se cambierà il modo cui le aziende si rivolgeranno ai clienti, quello che possiamo osservare è che è già cambiato il modo in cui noi tutti comunichiamo.

«Le interfacce conversazionali partono dalla premessa di presumere di sapere come comunicano gli umani, ma questo linguaggio è cambiato nel tempo – Prosegue Cottone – .La verità è che i nativi digitali, o nativi conversazionali, hanno già un modo molto più schematico di esprimersi rispetto alla ricchezza della lingua con cui le generazioni precedenti comunicano. Email, Twitter, sms hanno contribuito a rendere molto più compatta la nostra comunicazione – e il processo della semplificazione del linguaggio rischia di proseguire».

Certo, l’obiettivo ambizioso è quello di avvicinare le macchine a noi, e non viceversa, e far sì quindi che le macchine possano capire un linguaggio che rispecchi la complessità dell’uomo, con la capacità di discernere all’interno di un discorso quelli che sono i punti chiave che servono per poter compiere un’azione.

«Quando abbiamo inventato l’sms non potevamo prevedere come il linguaggio si sarebbe modificato – prosegue – a causa dei nuovi mezzi tecnologici, ora però conosciamo la portata degli eventuali rischi, possiamo essere molto più coscienti delle diverse direzioni che l’umanità può intraprendere, con tutta l’assunzione di responsabilità che ne deriva nel modellare questi nuovi servizi digitali».

Il lavoro che sta compiendo Vidiemme ha l’obiettivo di comprendere come introdurre a piccoli e grandi business le interfacce conversazionali ed elementi di intelligenza artificiale, con l’ambizione di stimolare il mercato italiano a seguire questa coda di progresso tecnologico.

«Ad oggi nel concreto stiamo studiando come un bot con interfaccia conversazionale debba relazionarsi con l’utente, con quale terminologia e in quale maniera compatta comunicare in maniera che l’informazione sia chiara e piacevole. Stiamo facendo studi tecnologici e di usabilità con l’obiettivo di rendere il più naturale possibile il modo di interfacciarsi alla macchina – ci spiega Francesco, che trascinato dall’argomento continua – Per certi versi si dovrà cominciare da capo, capire se i bot hanno un sesso, un’identità, un modo di parlare. Stabilire se quando ti deve mostrare una data deve mostrarti un calendario, dirti una data, dirti la data e mostrarti un calendario, se il calendario deve essere interattivo – perché se è interattivo non è più conversazionale – insomma in ballo c’è tanta roba».

Tanti i passi da fare, nel micro come nel macro. Le interfacce conversazionali per avere lo stesso successo di internet, ne dovranno ereditare anche le modalità di diffusione arrivando a definire uno standard univoco ed universale. «Sia il protocollo che permette di passare una pagina da un server all’altro che il linguaggio che si utilizza per comporre una pagina è standard (ovvero è uno per tutte le pagine internet). La fase delle AI è ancora agli albori per cui al momento è possibile trovare diverse opzioni, tecnologie e modelli.

Questa condizione, assolutamente fisiologica alla nascita di un nuovo paradigma, può portare ad una sorta di frammentazione delle conoscenze e delle tecnologie.

«Che è poi la stessa problematica che sta vivendo l’IoT in questa fase – commenta Francesco -. Oggi ancora non sappiamo esattamente cosa sia l’IoT, ma se questo lo possiamo accettare – perché in fondo è anche difficile definire lo stesso internet e di certo non lo definisci con un solo scopo – in realtà dobbiamo anche fare i conti con il fatto che non sappiamo nemmeno con quale tecnologia si fa l’internet of things. Se oggi compri una lampadina, per quanto smart possa essere, deve avere l’applicazione adatta a farla funzionare. D’altro canto se oggi apri uno store online, chiunque abbia un browser, qualsiasi browser abbia, può accedere al tuo store. Questo è avere uno standard. E questo è il vantaggio, e il problema, che l’IoT e AI hanno: la frammentazione del mercato. È una fase perfettamente naturale ma richiede uno sforzo delle masse ed un coordinamento del business».

Questo non significa che non ci siano dei margini di utilizzo delle interfacce conversazionali nel proprio business, anzi.

Seppure il primo in ordine di tempo tra i colossi tecnologici a salire sul palco per presentare i propri bot sia stato Microsoft, la vera notizia è senza dubbio l’annuncio di Facebook che la versione beta della piattaforma di messaging Messenger sarà aperta in modo che compagnie terze potranno creare il proprio software in grado di interagire con gli utenti attraverso il programma di chat.

Valutando le possibilità di integrare le interfacce conversazionali nel proprio business si potrebbe far affidamento sulla chat di Facebook, ma non solo. Telegram, WeChat e Slack sono solo alcuni dei nomi interessanti che si sono ufficialmente inseriti in questo mercato.

«Portare i propri servizi di business sulle chat più usate dà l’incredibile vantaggio di sfruttare la loro diffusione capillare: portare una banca su Telegram, rendere disponibili i propri servizi su Facebook significa potenzialmente accedere ai circa 900 milioni di utenti mensili – Ci dice Luca Valsecchi, AD di Vidiemme, che prosegue -. Il rovescio della medaglia è il dover gestire tutte le problematiche tecnologiche e di sicurezza dei dati che può comportare il portare un servizio business su questo tipo su chat di terze parti».

Ma l’integrazione dei propri servizi su chat già esistenti non è l’unica modalità con la quale i business possono approcciarsi a questo nuovo paradigma.

Luca Valsecchi, CEO Vidiemme

«Il modo ottimale per entrare nel mercato delle interfacce conversazionali, data l’immaturità delle cose, è quello di integrare alle proprie applicazioni business in essere anche questa tipologia di servizio. Questa scelta permette di selezionare quali tecnologie utilizzare e calibrare la tipologia di servizi offerti, cose a cui devi sottostare se invece ti appoggi ad un canale terzo – osserva Valsecchi -. Aggiungere un’interfaccia conversazionale all’applicazione in essere, permette inoltre di avere sia il vecchio paradigma a cui una certa generazione è ormai legata, che una versione customizzata e customizzabile della propria interfaccia conversazionale, di modo da raggiungere più utenti offrendo un servizio aggiuntivo e non alternativo».

La scelta di come implementare la propria interfaccia conversazionale si basa su fattori diversi, come il proprio target, più o meno propenso ad utilizzare questo tipo di interfaccia e il tipo di piattaforma su cui andrebbero a cercare questo servizio. Importante anche valutare su quali device i servizi aziendali sono già disponibili, in quanto un vantaggio rilevante l’avrebbero tutte quelle applicazioni già integrate agli smartwatch, in cui il fatto di poter sostituire un’interfaccia grafica con una conversazionale permetterebbe ai clienti di interagire in maniera molto più rapida ed efficiente.

«A prescindere dalla scelta tecnologica ci sono dei business che più di altri beneficerebbero di tale servizio – spiega Valsecchi -, penso a tutte le aziende che hanno più di un applicazione corporate a seconda del tipo di servizio offerto. Ad oggi il cliente di quell’azienda non sa dove porre la giusta domanda, come ad es. ho pagato l’ultima fattura? In questo caso i diversi servizi di una singola azienda potrebbero essere accorpati e resi navigabili grazie ad un sistema di interfaccia conversazionale, non al livello di singola app ma costruendo una chat che ti dia le informazioni richieste indirizzandoti verso il servizio desiderato, come una sorta di servizio corporate per permettere al cliente di fruire in modalità self service delle varie opzioni possibili».

Il vantaggio di rendere un servizio più facilmente disponibile, e di entrare per primi rispetto ai propri competitors in questo mercato, è facilmente comprensibile ma ancora difficilmente quantificabile.

«Come quando per primi abbiamo iniziato a sviluppare applicazioni mobile in ambito business – ormai dieci anni fa – e ancora prima, quando eravamo tra i primi che sviluppavano i siti web – conclude Valsecchi – oggi ci troviamo davanti ad un cambio di paradigma cui vogliamo accompagnare le imprese, con tutte le nostre competenze e l’esperienza acquisita in questo mercato».

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