Ci sono due grandi caratteristiche della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, che portano alla convergenza dei patrimoni fisici e asset immateriali nel nome dell’Internet delle Cose. Si tratta prima di tutto di un movimento di sistema: impossibile attuare questo cambiamento come semplice sommatoria delle trasformazioni delle singole imprese. Le relazioni sempre più strette tra processi e ruoli, coinvolgendo produttori, fornitori, distributori e clienti in uno scenario funzionale senza soluzioni di continuità, implicano un’evoluzione della cultura diffusa perché tutti gli attori traggano reale beneficio dalla digitalizzazione.
Il secondo punto riguarda il ripensamento dell’organizzazione del lavoro, e soprattutto delle infrastrutture che lo ospiteranno, sia rispetto all’approvvigionamento di risorse umane e tecnologiche (leggi: Collaboration e Cloud), sia rispetto alle operazioni che dovranno attivare e supportare le nuove architetture. Di questo – e non solo – si è parlato in occasione del convegno “La via italiana all’Industry 4.0”, un momento di incontro e discussione organizzato da Cisco Italia (con Internet4things.it ed EconomyUp.it in qualità di media partner) in una delle arre più vitali della MotorValley italiana: la sede di Varano de’ Melegari (PR) di Dallara Automobili, una delle imprese Made in Italy che meglio sta applicando (e in certi casi letteralmente inventando) le buone pratiche della digital transformation.
Il ruolo del Customer Club e delle best practice Industry 4.0
«Il lavoro che abbiamo fatto insieme a Dallara è davvero importante e ci troviamo in un posto speciale, all’interno di un’azienda che ha anticipato il paradigma secondo il quale oggi digitale e core business sono integrati», ha detto Michele Dalmazzoni, Collaboration & Industry IoT Leader di Cisco Italia, aprendo i lavori. Dallara fa infatti parte del Customer Club, a cui aderiscono alcuni dei clienti della società guidata da Agostino Santoni «che si stanno distinguendo per leadership, volontà di cambiamento e forte caratterizzazione italiana nel formulare la propria proposta di innovazione», ha spiegato lo stesso Santoni, che col suo intervento ha sottolineato l’impegno di Cisco nel progetto Digitaliani.
«L’Industrial IoT è una componente importante di un piano portato avanti dopo l’esperienza positiva di Expo 2015, che coinvolge anche i temi dell’Education e dell’Open innovation». Santoni ha poi precisato che il programma punta sulla valorizzazione del Manifatturiero e dell’Agroalimentare, due settori portanti dell’economia italiana nel mondo ed entrambi contraddistinti da una disperata richiesta di nuove competenze. «Per rispondere a questa esigenza dobbiamo agire in modo distribuito là dove pensiamo che la trasformazione stia accadendo, e sostenere la formazione dei giovani. Ci siamo impegnati per formare 100 mila studenti sulle aree delle Reti, della Sicurezza, dell’Intelligenza artificiale e delle Smart grid. Rispetto alle specializzazioni in questi quattro ambiti abbiamo trovato negli istituti tecnici e professionali – che in Italia sono un po’ sottovalutati – una valida sponda. Abbiamo poi attivato una collaborazione con Arduino per acquistare per tutti gli istituti tecnici un kit di programmazione per soluzioni Industry 4.0. Per noi non è una semplice operazione di Corporate Social Responsibility», ha concluso Santoni, «è un vero e proprio progetto strategico per la crescita del Paese, e che quindi dà energia e futuro anche alla nostra organizzazione».
L’importanza di creare e aggiungere valore
La stessa Cisco sta attraversando un processo di profonda revisione di molte delle proprie attività. Dalmazzoni ha spiegato che passare dalla pura vendita di prodotti alla fornitura di prodotti con servizi aggiuntivi permette al Gruppo di aumentare i profitti del 20% a parità di fatturato. «Integrando i dati con le operazioni lavoriamo meglio spendendo meno e possiamo inoltre dare vita a iniziative di up-selling e cross-selling, oltre che a un nuovo modello di cashflow, diminuendo la rischiosità sul cliente», ha raccontato Dalmazzoni. Nonostante i vantaggi riscontrabili, estendere queste pratiche al resto dell’industria non è comunque semplice. «Spesso gli stabilimenti, che non sono stati disegnati per supportare l’accesso al dato, non sono pronti. Dal marketing alla logistica le reti sono frammentate, senza una topologia adeguata e spesso con protocolli diversi. Senza contare i firewall, che il più delle volte le escludono vicendevolmente. Cisco può aiutare le imprese a lavorare sui network per renderli digital ready», ha rilanciato Dalmazzoni, «ma l’altro aspetto di cui bisogna tenere conto è prettamente di natura economica e imprenditoriale».
Collaborazione tra IT e OT
Come si configura l’industria italiana da questo punto di vista? Ha provato a rispondere Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano. «È evidente la necessità di comprendere cosa sta accadendo e poi progettare anche una riorganizzazione del lavoro. Una strada tutt’altro che completa e perfezionata», ha esordito Miragliotta. Le infrastrutture, ribadisce il ricercatore, sono importantissime, ma occorre anche capire come sarà la fabbrica del futuro dopo la quarta rivoluzione industriale, che costituisce una novità assoluta. «L’Industria 4.0 nasce infatti dalla convergenza di tante trasformazioni: la stessa Internet è il catalizzatore di una miriade di rivoluzioni. La prima riguarda il passaggio non semplice dal dominio dell’Operation technology a quello dell’Information technology. Due unità che in azienda raramente si sono parlate che ancora meno spesso hanno compreso le necessità l’una dell’altra.
In Italia, sotto questo profilo, ci troviamo come sempre di fronte a uno scenario fatto di luci e ombre». Citando i dati dell’Osservatorio, Miragliotta ha spiegato che se da una parte due aziende su cinque dichiarano di non conoscere nemmeno il concetto di Industria 4.0. (la rilevazione più recente, di novembre 2016, parla comunque di un valore pari al 25% del campione), il 30% delle organizzazioni ha già adottato tre o più applicazioni IoT in chiave Smart factory. C’è dunque una forte esigenza di conoscere anche attraverso lo sviluppo di case history e best practices. «C’è una forte correlazione tra la propensione a sfruttare le tecnologie digitali e la maturità sulle attività tradizionali», ha precisato Miragliotta. «Per questo, ancor più che di Industrial IT e Cloud applicato alla manifattura, bisognerebbe parlare di un tema culturale fondamentale: molte imprese pensano che lo Smart manufacturing riguardi l’acquisizione di dati attraverso nuove architetture, ma in realtà la vera integrazione nasce dall’efficientamento dei processi. Serve quindi, prima di tutto, un’idea matura sull’impiego del digitale dal punto di vista dei processi. Ottenuto questo, i dati si agganciano automaticamente alle applicazioni, che attraverso il Cloud apprendono e ottimizzano le attività».
Miragliotta ha anche accennato al piano nazionale Industria 4.0 approvato nella legge di Bilancio. «Il governo ha stabilito l’impiego di una serie di risorse secondo l’ipotesi non validata che esiste un moltiplicatore tra investimento pubblico e iniziativa privata. L’elemento positivo del piano è che non prevede bandi, presuppone invece un’azione coordinata a cavallo di stabilimento e supply chain. Si tratta di un passo avanti significativo, che se inserito in una buona progettazione della nuova fabbrica farebbe guadagnare all’imprenditoria italiana parecchio del tempo perso finora».
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