Le smart city del presente e del futuro sono permeate da tecnologie di varia natura che consentono l’afflusso di dati da una miriade di dispositivi disseminati nel cuore delle nostre città. Ma oltre a costruire delle tecnologie adatte a raccogliere i dati, occorre far sì che essi venissero adeguatamente filtrati, analizzati e correlati tra di loro. In poche parole è necessario che questi dati vengano trasformati in informazioni: per farlo servono adeguate competenze in ambito di Data science. Il punto è che progettare questi complessi sistemi, così come analizzare questa enorme mole di dati, per di più eterogenea nel formato dei diversi dati disponibili, richiede competenze nuove, spesso poco presenti all’interno del nostro attuale tessuto sociale. Lavorare sulle competenze, nonché sulla cultura del dato, ad ogni livello è la leva più efficace a disposizione per far evolvere i nostri sistemi urbani in ottica realmente data-driven.
Le città italiane più smart secondo la classifica di iCity Rate
Più avanti in un percorso di questo tipo in Italia, al momento, secondo i dati della classifica 2018 iCity Rate di FPA, c’è Milano, che può fregiarsi del titolo di città italiana più smart d’Italia, che cerca cioè di utilizzare in modo più esteso gli strumenti dell’intelligenza urbana per promuovere e gestire lo sviluppo in forme sostenibili. A completare il podio ci sono realtà come Firenze e Bologna. Le tre città guidano anche le classifiche degli ambiti trasformazione digitale e del lavoro mentre manifestano criticità nella gestione delle risorse dell’ambito acqua e aria. Più indietro appaiono tutte le altre metropoli nazionali, in particolare quelle del Centro Sud.
Cosa manca al Sistema Paese
L’evoluzione verso il mondo delle smart city passa quindi anche attraverso l’evoluzione del set di competenze attualmente disponibili sul mercato. Figure come data scientist e architetti di ecosistemi IoT dovranno diventare sempre più comuni, altrimenti si continueranno ad utilizzare i dati estraendo una parte minimale del loro valore, esattamente come avviene ancora oggi. Il sistema Paese ha cominciato a muoversi in questa direzione, con l’istituzione di alcuni corsi di istruzione superiore dedicati al tema, ma l’offerta è ancora assolutamente insufficiente rispetto alla domanda di questo tipo di competenze. In molti casi, ad oggi, anche all’interno delle aziende, la creazione di competenze su questi temi è lasciata più all’iniziativa dei singoli che non affidata a programmi strategici di ampio respiro.
Le competenze utili per le smart city
Al contrario le competenze di base che è necessario sviluppare per iniziare ad estrarre reale valore dai dati in un’ottica utile per le smart city possono essere classificate in:
- Competenze statistico/matematiche: sono le competenze fondamentali per capire il funzionamento dei modelli alla base delle applicazioni di machine learning
- Coding e pensiero computazionale: sempre di più un data scientist non può prescindere dal sapere scrivere del codice, così da industrializzare le operazioni da svolgere sui dati e/o espandere il set di strumenti a propria disposizione
- Gestione del dato: saper manipolare i dati non è più sufficiente, è necessario capire come gestire l’intero ciclo di vita del dato, dalla sua generazione (o dal suo ingresso nell’organizzazione) a quando dovrà essere distrutto/ archiviato. Questo tipo di competenza e la consapevolezza di cosa deriva dall’utilizzo dei dati deve anche aiutare le persone ad avere un approccio etico all’utilizzo dei dati stessi
- Integrazione: sia per i sistemi hardware che per le applicazioni di analytics la capacità di capire come muoversi all’interno di un eco-sistema diventa una caratteristica sempre più rilevante, che permette di superare i limiti dei singoli elementi per creare una soluzione migliore.