Manifatturiero italiano, 4 modelli per l’innovazione e 10 sprechi da evitare

L’orientamento prevalente dell’area progettazione può essere sul cliente, sulla strutturazione del processo, sulla sostenibilità, o sulla collaborazione (il preferito dalle PMI). Con vantaggi competitivi diversi, a volte però indeboliti da inefficienze, tra cui sovraccarico dei progettisti e sforamento di tempi e costi. L’analisi dell’Osservatorio GeCo del Politecnico di Milano

Pubblicato il 10 Lug 2015

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In uno scenario economico sempre più complesso e globale, in cui il comparto manifatturiero deve conciliare attenzione ai costi, alti livelli qualitativi, time to market competitivi, e personalizzazioni di prodotto sempre più spinte, il processo di progettazione e sviluppo prodotti è sempre più strategico. Esiste un insieme di best practice, un modello di riferimento, per gestirlo al meglio? La risposta è no, o meglio ne esistono quattro, ciascuno adatto a un certo tipo di azienda, piccola o grande, e ciascuno con un mix diverso di risultati in termini di time-to-market, costi, e così via.

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Osservatorio GeCo

Questa la tesi principale del nuovo rapporto 2014-2015 dell’Osservatorio GeCo (Gestione dei processi collaborativi di progettazione) del Politecnico di Milano, basata su una serie di indagini su imprese manifatturiere italiane piccole, medie e grandi. Con la prima survey, su oltre 100 imprese, i ricercatori hanno definito le principali pratiche di progettazione utilizzate in Italia attraverso il modello CLIMB, basato su tre grandezze principali (organizzazione, processo, gestione della conoscenza), a loro volta articolate in varie voci secondarie, come per esempio informatizzazione e formalizzazione per la gestione della conoscenza.

Prototipazione virtuale

Su quest’ultimo punto cui poco meno del 30% delle imprese risultano “ad alta maturità”, cioè con buon livello di informatizzazione basato su strumenti di prototipazione virtuale e di gestione dei dati di prodotto (PLM), e diversi metodi e sistemi IT per rendere la conoscenza esplicita e trasferibile soprattutto in u contesto caratterizzato dalla diffusione dell’IoT.

Con la seconda indagine e successiva analisi, su 266 aziende (di cui 53 piccole, 54 medie e 159 grandi), i ricercatori hanno poi definito i quattro modelli “archetipi di innovazione” del mondo manifatturiero italiano, associati per rendere immediati i concetti ai “Fantastici Quattro” del famoso fumetto Marvel, e quindi hanno definito le principali prestazioni competitive per ciascuno.

I “fantastici quattro” modelli

Il modello di “progettazione orientata al cliente”, associato alla Cosa, «consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e orientati soprattutto alla customizzazione, con tempestività, puntualità e qualità al di sopra dei competitor», ha spiegato Monica Rossi, Responsabile Ricerca dell’Osservatorio GeCo. il secondo modello, ispirato a Mister Fantastic, è basato su un approccio formale e pianificato alla progettazione, «con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante scritto dei progetti: consente risparmi di costi e tempi e flessibilità nei progetti, e quindi un vantaggio competitivo soprattutto di innovatività».

Un terzo modello si basa sulla progettazione collaborativa (la Donna Invisibile), cioè sull’esplorazione simultanea in team di diverse alternative, e permette di essere competitivi in flessibilità e costi e superiori alla concorrenza soprattutto nella tempestività e puntualità oltre che nella qualità. È il modello preferito dalle PMI che richiama la logica dell’Industria 4.0: il 33% di esse lo utilizza. Infine il quarto modello si basa sull’innovazione sostenibile (associata alla Torcia Umana), cioè sulla sostenibilità e innovazione dei prodotti attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda parte del ciclo di vita del prodotto: «Permette di essere competitivi nella differenziazione dei prodotti, ottenendo vantaggi per la loro qualità e varietà».

Questi vantaggi competitivi però nella pratica spesso sono parzialmente vanificati da inefficienze e sprechi, su cui si concentra l’ultima parte dell’analisi dell’Osservatorio. «Sprechi di tempo, conoscenza e risorse frenano l’innovazione di sviluppo e progettuale in grado di far competere le PMI e le grandi aziende italiane sui mercati internazionali», ha spiegato Sergio Terzi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio GeCo.

Il fatalismo sugli sprechi: per molti sarebbero evitabili

Un’ulteriore indagine su 123 imprese infatti evidenzia una “Top 10” degli sprechi nella progettazione (vedi il grafico in fondo all’articolo) in cui primeggiano le troppe e continue richieste di modifica, il sovraccarico di lavoro dei progettisti, e lo sforamento di tempi e costi dei progetti rispetto ai preventivi. «Le scelte, e quindi le inefficienze, in fase di progettazione rimangono per tutta la vita del prodotto e dell’azienda, e per di più dall’indagine emerge un certo fatalismo: gli sprechi per molti sarebbero facilmente evitabili».

Un problema è che gli sprechi per loro natura non sono tangibili e misurabili. Per questo i ricercatori dell’Osservatorio GeCo hanno messo a punto con un lungo lavoro un modello detto MyWaste, che misura l’indice di “spreco potenziale”, e l’indice di priorità di intervento. «Solo lo spreco associato alle informazioni di prodotto da inserire in diversi sistemi informativi, con relative codifiche e transcodifiche manuali, costa in un ufficio di 10 progettisti quasi 17mila euro l’anno».

In definitiva, ha concluso Terzi, il processo di sviluppo prodotto oggi è più che mai strategico, ma non esiste una sola ricetta vincente. «I risultati di queste ricerche possono essere spiazzanti, perché settori e dimensioni diverse delle aziende non danno risultati diversi, archetipi di innovazione diversi producono risultati simili, e il mondo si riconosce negli stessi sprechi. Ma tutto questo si può leggere anche in senso positivo: le aziende italiane stanno combattendo la stessa battaglia, hanno obiettivi comuni, e collaborando possono combattere le inefficienze».

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