Mauden, la digital transformation e il cognitive hanno bisogno di infrastruttura

Trent’anni di storia alle spalle e un solido presente da system integrator che esplora le nuove frontiere del cognitive e dei dati: Mauden, Platinum Partner IBM, guarda ai nuovi mercati, senza dimenticare la sfida dell’infrastruttura

Pubblicato il 21 Lug 2017

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Big Data, Cognitive computing, Machine learning, sono tanti i mondi nei quali Mauden è entrata in questi ultimi anni.
Una solida storia alle spalle – la società festeggia quest’anno il suo trentesimo compleanno – e uno sguardo ben attento a quello che il futuro, e il mercato, chiedono.
“Abbiamo una lunga storia da raccontare, da quando facevamo i broker, a quando siamo diventati rivenditori, fino al nostro ruolo attualissimo di system integrator infrastrutturali, come amo definirci. E da sempre il dato e l’infrastruttura sono stati il cuore del nostro pensiero”, racconta Roberta Viglione, Presidente e Amministratore Delegato della società, che definisce “coraggiosa” la scelta di spostarsi dal dato tradizionale, quello che ha sempre fatto parte del core business di Mauden, per andare ad abbracciare tutte le sfide e le opportunità che si legano al dato non strutturato.
“Guardiamo anche ad altri ambiti perché il mercato ce lo chiede e perché riteniamo importante rinnovare l’immagine della nostra azienda. Tuttavia non possiamo né dobbiamo dimenticare che dietro un mondo fatto di social, di cognitive, di digitale c’è una creazione di volumi importanti di dati, che richiedono una infrastruttura adeguata per essere gestiti”, sostiene, pragmatica, Viglione.

La digital transformation di Mauden parte dalla partnership con IBM

E pragmatica è anche Mauden, che ha scelto di affrontare il percorso della digital transformation, sua e dei suoi clienti, dandosi anche una struttura adeguata allo “spirito dei tempi”.
Se nel 2010, infatti, l’acquisizione di DPCS aveva portato la system integration, due anni fa con la nascita di Bou-Tek ha preso il via anche tutto il percorso di innovazione digitale, culminato lo scorso anno con l’avvio delle attività in ambito cognitive, grazie soprattutto alla forte partnership che da sempre lega Mauden a un vendor come IBM,di cui la società è Platinum Partner.
Bou-Tek, va detto, è uno spazio polifunzionale che per Mauden rappresenta il  luogo di dimostrazione e di sperimentazione delle infinite possibilità esperienziali offerte oggi dalle nuove tecnologie.

È in Bou-Tek, ad esempio, che si può toccare con mano GETinTouch, soluzione che porta l’intelligenza aumentata nel digital signage e che, raccogliendo i dati degli utenti provenienti da fonti diverse, inclusi i canali social, trasforma uno schermo interattivo in un nodo IoT in grado di conversare real time, sia vocalmente sia tramite messaggi.
“GetinTouch – spiega Gianni Schisano, consigliere delegato e direttore generale di Mauden – è solo un esempio di quello che possiamo fare. È un modo per far capire cosa si può fare se si comincia a raccogliere i dati e a storicizzare le azioni”.

Cognitive, Watson e tanto cloud

È un percorso progressivo quello raccontato da Schisano. Se le informazioni raccolte vengono “date in pasto” a una componente di Watson in grado di analizzare la personalità, è possibile classificare le persone. Se poi si assommano dati ulteriori che volontariamente e scientemente il consumatore aggiunge, è possibile affinare la profilazione sempre grazie a uno strumento che ha l’intelligenza per analizzarli.

“Stiamo parlando di applicazioni di elevata complessità, che richiedono anche l’intervento di figure professionali nuove, dal data analyst al graphic designer, all’art director. Ed è qui che una realtà come Mauden si gioca il proprio ruolo, utilizzando tutte le competenze, il prima e il dopo della trasformazione digitale, dialogando e interpretando ciò che il mercato chiede”.
Il ruolo del business partner – prosegue Schisano – è un po’ quello del giunto viscoso, che assorbe le rigidità di due mondi, quello della multinazionale e quello dell’azienda locale, traducendo e semplificando ciò che entrambi chiedono”.

Su una cosa né Viglione né Schisano transigono: dietro ci vuole sempre una infrastruttura.
Ecco alora i P-System di IBM, sui quali Mauden sviluppa molto del proprio business, o ancora lo storage Storewize.
“Dietro soluzioni come GetinTouch c’è Watson, ma sopra Watson c’è Bluemix e su Bluemix si trovano tutti coloro che espongono API, perché GET, il nostro sistema integrato che raccoglie e analizza i dati per poi interpretarli, di fatto è una metodologia di interfacciamento e integrazione delle API”.

Dal digital signage alla predictive maintenance

“Abbiamo voluto spostare nel mondo digitale e dei social, che in parte crea i nuovi dati, la nostra capacità di essere system integrator. Per questo, nella nuova struttura che si occupa di cognitive e di interfacce conversazionali, lavorano sia persone esperte in infrastruttura e gestione del dato, capaci di posizionare il dato, scegliere lo storage giusto, valutare la spesa indotta da ogni scelta, sia persone che venivano dal mondo della grafica e del design”.
Non perdere la visione infrastrutturale, questo è il mantra di Mauden, che così sintetizza: se di dati ci si vuole occupare, dietro ci deve essere una infrastruttura di dati.
“Spesso si minimizza l’impatto sull’infrastruttura. Tutta l’evoluzione digitale, e il cognitive in modo particolare, è legata al cloud, per questo noi abbiamo dedicato risorse a Bluemix e alle sue implementazioni”.

Il tutto non si esaurisce con GET, naturalmente.
Lo stesso approccio Mauden lo sta portando sui presidi operativi, sui servizi di monitoraggio, “perché se sul monitoraggio c’è un servizio cognitive che aiuta a comprendere le criticità e interviene preventivamente, in una logica di predictive maintenance, i vantaggi sono evidenti per tutti”. Ma dietro ogni servizio ci sono dati, c’è uno storage, c’è un software di gestione. In una parola, un’infrastruttura.

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