McKinsey stima che da qui al 2025 il mercato globale dell’Internet of Things, di cui ormai si parla ininterrottamente, potrebbe valere dai 3.900 agli 11.100 miliardi di dollari all’anno. Nella migliore delle ipotesi, si parla dell’11% dell’intera economia mondiale. Ma per arrivare a questa migliore ipotesi occorre costruire contesti, tecnologie e modelli di business che, al di là dell’entusiasmo e delle aspettative con cui ora si guarda al fenomeno, lo trasformino in una solida realtà.
È questa, in estrema sintesi, la raccomandazione che emerge dal report “The Internet of Things, mapping the value beyond the value”, stilato dalla società di consulenza strategica analizzando più di 150 use case a livello globale. Per McKinsey, addirittura, si sta sottovalutando il vero potenziale dell’IoT.
Perché, a prescindere dal gran parlare che se ne fa (gli americani parlano di “hype”), forse tra gli operatori non c’è ancora la consapevolezza di quali sono i punti della filiera su cui è possibile creare valore e soprattutto dello sforzo comune necessario a creare l’ecosistema che renda interoperabili le soluzioni. Più facili a dirsi, che a farsi, visto che i soggetti, dalle imprese alle pubbliche amministrazioni, che genereranno insieme a consumatori e cittadini questa nuova economia dovranno affrontare sfide tecniche, organizzative e regolatorie non indifferenti.
Eppure quell’interoperabilità è una questione che non può essere aggirata: secondo McKinsey la capacità di comunicare da un sistema all’altro è richiesta mediamente nel 40% dei casi e, in alcune particolari condizioni, addirittura 60 volte su cento. Bisogna poi cominciare a usare davvero i dati a disposizione: se per esempio oggi una cisterna petrolifera dispone di 30 mila sensori, dell’infinità di informazioni prodotte dall’hardware solo l’1% viene esaminato.
Questo perché, attualmente, lo scopo degli analytics è individuare e controllare le anomalie, anziché sfruttare l’intero dataset per ottimizzare processi e predirne le performance. Ma è attraverso funzioni di questo tipo che si creerà maggior valore. McKinsey infatti prevede che le applicazioni più redditizie saranno proprio quelle B2B, che dovrebbero generare il 70% del giro d’affari complessivo.
Continuando a parlare di crescita, l’IoT dovrebbe avere un grosso impatto sulle economie in via di sviluppo. Sebbene nel complesso la ricchezza generata sarà maggiore per i Paesi più sviluppati, i cui mercati predispongono di modelli di consumo a più alto valore aggiunto, le aree emergenti del pianeta peseranno per quasi il 40% del valore globale.
A beneficiare di più dei benefici dell’Internet of Things saranno gli utilizzatori finali dei servizi: a prescindere dal fatto che siano organizzazioni economiche, pubbliche amministrazioni o consumatori, il 90% del valore creato sarà catturato da loro. McKinsey cita l’esempio del settore healthcare, all’interno del quale il controllo da remoto sulla salute degli individui comporterà lo sviluppo di 1.100 miliardi di dollari all’anno grazie al miglioramento delle condizioni di pazienti affetti da malattie croniche.
Tornando al lato aziende, secondo la società di consulenza la crescita del settore premierà sia i player grandi e affermati, sia le nuove proposte, con margini di espansione per incumbent e startup. Questo grazie all’ibridazione dei modelli di business e alla mutuale necessità di trasformare i prodotti in servizi e viceversa.
Ma il concetto fondamentale, sintetizza McKinsey, è che l’Internet of Things ha qualche chance di raggiungere entro il 2025 il suo potenziale valore solo se oggi i vari soggetti chiamati in causa, a partire dai leader di mercato, intraprendono un percorso di evoluzione dei processi decisionali sulla base dell’analisi dei dati.