Interviste

Mobile App per il business: tutti le vogliono, ma chi ha fretta rischia di bruciarsi

Cresce la propensione del mondo enterprise allo sviluppo di applicazioni mobile, ma il risultato spesso non soddisfa committenti e utenti finali. Il problema spesso è l’approccio, che non tiene conto delle specificità dell’uso in mobilità. Parlano Francesco Tragni di CA Technologies e Marco Cirilli di Applix

Pubblicato il 01 Lug 2015

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Francesco Tragni, Enterprise Mobility PreSales Consultant di CA Technologies Southern Europe

Facile dire App. Ormai sembra che non si possa più fare business senza integrare l’esperienza dell’utente e la relazione con il cliente attraverso una Mobile Application: una tendenza che vale anche per l’Italia, e che è assolutamente condivisibile, se si pensa al vantaggio competitivo che si rischia di perdere lasciando il campo libero ai concorrenti. Un sistema efficace di un competitor, che instauri un filo diretto tra domanda e offerta, con funzionalità avanzate come l’e-commerce o user experience gradevoli ma soprattutto rapide e intuitive, può insinuarsi nel rapporto tra customer base e front end incrinando la fedeltà al marchio.

Ma questo non vuol dire che si debba diventare a tutti i costi Mobile. Entrare a gamba tesa nel settore senza aver maturato prima la giusta consapevolezza dello strumento o essersi affidati agli specialisti può essere addirittura controproducente.

Partire in modo affrettato è rischiosissimo

«In effetti siamo in una fase che non esisterei a definire di “Far West”», dice Francesco Tragni, Enterprise Mobility PreSales Consultant di CA Technologies Southern Europe. «Molte aziende si sono già buttate, ed è comprensibile visto che nel mondo delle App il time to market è fondamentale. Ma partire in modo affrettato, mandando in produzione software non perfezionati, può generare un cattivo servizio e di conseguenza giudizi negativi sui marketplace, che rimangono anche quando i problemi vengono risolti. E se poi la App è quella su cui si basa il business plan, le aziende rischiano davvero di bruciarsi».

E non parliamo solo di startup. I rischi maggiori sono soprattutto per le grandi corporation attive anche in settori estremamente delicati. «In questo momento l’attenzione è rivolta alle tematiche di interconnessione tra mondo fisico e digitale, con il coinvolgimento di tutti i settori, a partire da banche e assicurazioni», conferma Marco Cirilli, Chief Marketing Technology Officer di Applix.

Applix è una realtà italiana specializzata in soluzioni per il Mobile, che ultimamente ha fatto parlare di sé per “Being Leonardo”, la App immersiva della mostra dedicata a Leonardo Da Vinci, di scena a Palazzo Reale a Milano fino al 19 luglio. «Pur essendo l’Italia una realtà ancora molto sfaccettata da questo punto di vista, tra le imprese capaci di fare innovazione che si rivolgono a noi ci sono sempre più spesso grandi organizzazioni. Il settore turistico-museale è particolarmente attento, ma pure retail, telco e come detto gli istituti finanziari percepiscono la necessità di modificare il paradigma dei rapporti tra azienda e clienti, sfruttando puntualmente i dati a disposizione per lavorare sul marketing di prossimità».

Marco Cirilli, Chief Marketing Technology Officer di Applix

Una recente indagine globale di CA Technologies dedicata all’Enterprise mobility (condotta in 13 Paesi su 1425 top manager – cento gli italiani – afferenti a cinque industry: Financial, Retail, Media, Telco e Healthcare) ha in effetti messo in evidenza che a livello globale l’87% degli intervistati prevede di implementare le iniziative Mobile nell’arco dei prossimi due anni, mentre la percentuale scende al 70% se si considerano i colletti bianchi nostrani.

Performance delle App, solo un’azienda italiana su quattro è soddisfatta

Gli obiettivi? Per il panel internazionale al primo posto c’è la necessità di migliore la customer experience, un elemento che nell’edizione 2013 dell’indagine figurava solo al quarto posto, mentre in Italia si punta ancora ad accrescere la base clienti, aumentare la brand awareness e non perdere terreno sulla concorrenza.

La ricerca mette in luce pure una generale insoddisfazione sia degli operatori sia degli utenti finali (clienti o collaboratori, considerando anche l’ottica BYOD) rispetto alle performance delle App. Sia in Italia che negli altri mercati solo un rispondente su quattro si dichiara del tutto soddisfatto delle iniziative mobile, mentre sul piano globale lo è soltanto un end user su cinque e nella Penisola addirittura un esiguo 6% (anche se il 44% del campione tricolore si dichiara mediamente soddisfatto).

«Non di rado si fa l’errore di trasformare in App l’erogazione di un servizio basato sul Web, senza tenere conto che le dinamiche sono diverse», spiega Tragni commentando la ricerca. «I prodotti e i servizi disponibili online non possono essere offerti via App senza opportune modifiche. L’usabilità è diversa in mobilità, e l’utente ha generalmente meno tempo e meno risorse di banda da dedicare alla navigazione».

Questi, sottolinea Tragni, sono aspetti che non si possono più trascurare, sia in fase di produzione, sia in fase di rilascio del software. «Oggi c’è la possibilità di affrontare il tema con un approccio Devops (development & operations, ndr), che permette di monitorare lo sviluppo dell’App fino alla parte di backend: capire anche in quale condizione si trova la CPU dell’utente è un elemento importante per adottare sistemi correttivi, rendere l’applicazione reattiva e, laddove sia possibile, alleggerirla. Bisogna lavorare anche sui tempi di download e sulla sicurezza della piattaforma, sebbene non siano ancora temi immediatamente percepiti dall’utente».

Wearable, ricadute ancora tutte da scoprire per vendite e loyalty

Mentre parliamo di implementazione di Mobile App, all’orizzonte si sta già prefigurando il prossimo terreno di incontro tra aziende, collaboratori e clienti: l’Internet of things con tutta la pervasività dei wearable device. «Un ambito in cui siamo un po’ cauti, perché non troviamo ancora chiavi che possano incidere sui business», ammette Marco Cirilli. «I wearable sono oggetti molto notiziabili, ma in generale il nostro atteggiamento nei confronti dello sviluppo di soluzioni implica che ci siano ricadute evidenti su sales, business e loyalty. È su questi parametri che misuriamo l’efficacia delle nostre applicazioni. E sul fronte wearable dobbiamo capire come si configurerà l’esperienza utente e quali saranno le funzioni veramente utili. Poniamo grande attenzione nella sperimentazione, ma non ci riteniamo ancora soddisfatti dei dati che abbiamo attualmente a disposizione».

Anche CA Technologies naturalmente sta puntando i riflettori sul mondo wearable: «Sappiamo bene che Apple quando entra in un settore non lo fa mai in punta di piedi», dice Tragni. «Attraverso gli strumenti che forniamo alle aziende possiamo già monitorare il tasso di utilizzo di App disegnate per i wearable. Ma al momento di sicuro c’è solo una cosa: il modo in cui verranno sviluppati i software modificherà ulteriormente il passaggio concettuale da soluzioni dedicate al Web a progetti disegnati specificamente per l’uso in mobilità».

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