Mobile World Congress 2015

Mobile Payment: si muovono tutti i “big” dopo l’affermazione di NFC

Al Mobile World Congress di Barcellona molti gli annunci sui pagamenti basati su Near Field Communication. Tra le principali novità Android Pay, il sistema di Google, e Samsung Pay, che il colosso coreano integra nei nuovi smartphone Galaxy. E poi la nuova proposta di Unicredit, e da LG il primo smartwatch con LTE e NFC. Produttori di device, over the top, banche e operatori telefonici sono tutti al lavoro su queste soluzioni

Pubblicato il 16 Mar 2015

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Dopo che l’entrata di Apple nel settore dei Mobile Payment e l’impegno di altri big come Google ha praticamente consacrato la tecnologia NFC (Near Field Communications) come stadard de facto del settore, l’edizione 2015 del Mobile World Congress di Barcellona ha registrato moltissimi annunci di servizi di pagamento su piattaforma mobile, che hanno evidenziato la molteplicità delle alternative e delle opportunità per l’utente finale. Fiducia e interesse del pubblico verso pagamenti mobili sono cresciuti molto negli ultimi due anni, come rileva una ricerca MasterCard presentata a Barcellona (condotta su 19,1 milioni di tweet).

Gli annunci principali in ambito Mobile Payment al MWC sono stati l’arrivo (prossimo) di Android Pay da parte di Google e il lancio di Samsung Pay con un lettore “agnostico” NFC/banda magnetica. Da parte sua il colosso bancaro italiano Unicredit ha confermato l’arrivo anche nl nostro Paese di una soluzione HCE (dove i dati della carta di credito sono custoditi nella cloud, invece che sulla SIM) grazie a un accordo con MasterCard. LG ha mostrato lo smartwatch Urban, il primo con LTE e NFC, per pagare. L’Apple Watch, previsto ad aprile nei negozi, dovrebbe avere caratteristiche simili.

Scendendo nel dettaglio, Samsung Pay sarà disponibile con i nuovi Galaxy S6 e S6 Edge. La soluzione è frutto della recente acquisizione di LoopPay, startup specializzata per supportare i pagamenti mobile su POS per banda magnetica. Samsung Pay quindi funziona sia con POS di questo tipo, oltre che con i nuovi contactless (NFC).

Il supporto a entrambe le tecnologie è integrato nei circuiti dei nuovi cellulari e l’utente dovrà soltanto accostarli al POS. Samsung ha spiegato questa scelta con l’intento di catturare un mercato il più ampio possibile, visto che negli USA solo il 10% dei POS è NFC (in Europa invece la banda magnetica è già obsoleta). Anche questo è un modo per combattere Apple, che invece è costretta a fare accordi con le catene di negozi per spingerle a passare a POS NFC. Nonostante questo, Apple Pay è senza dubbio un successo (dicono i dati americani), ed è evidente che Samsung, essendo arrivata più tardi, deve provare a differenziarsi. L’azienda ha migliorato anche il lettore di impronte (che nell’S5 lasciava molto a desiderare, al debutto, anche se l’algoritmo è stato migliorato quest’estate). Adesso basta poggiare un dito sul tasto home per autenticarsi, proprio come con Apple (prima bisognava strisciarlo).

A quel punto avviene lo scambio di dati tra app Samsung Pay e POS, ma grazie alla “tokenizzazione” non viaggiano i veri dati della carta di credito, bensì un alias univoco per ogni cellulare. «La tokenizzazione è usata anche da Google Wallet, in cloud, e da Apple. I sistemi basati su SIM degli operatori non ne hanno bisogno invece, essendo intrinsecamente più sicuri», spiega Valeria Portale, che si occupa di questi temi per gli osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

Un po’ in sordina, Samsung ha annunciato anche di aver sviluppato una quarta generazione radio NFC, per velocizzare il trasferimento dati con il POS e ridurre l’ingombro nei cellulari, ma la adotterà nei prossimi modelli. Al momento non si sa quando Samsung Pay arriverà in Europa, ma non dovrebbe volerci molto dato che i servizi Apple e Google sono previsti tra la primavera e l’autunno di quest’anno.

Proprio nei giorni scorsi, Google ha accelerato sul servizio Wallet, grazie ad accordi con operatori americani e con l’acquisizione delle tecnologie di Softcard. A Barcellona ha annunciato che arriverà Android Pay, relativamente aperta: grazie alle sue API, permetterà a chiunque di lanciare una propria soluzione mobile payment. Google Wallet usa la cloud, proprio come l’HCE, dove però sono le banche a gestire il rapporto con il cliente.

E’ proprio questo aspetto che sta a cuore a tutti gli attori in gara, per motivi diversi (per vendere propri cellulari o per conservare/sviluppare la fidelizzazione dell’utente). Il risultato di questa battaglia è che le alternative sono diventate tante. L’utente può scegliere fra quattro attori diversi: il produttore del cellulare o dello smartwatch, un over the top (Google), la propria banca o il proprio operatore telefonico.

Ognuno ha i propri punti di forza. Operatori e banche fanno leva sul proprio rapporto di vicinanza con l’utente, mentre i produttori gli offrono soluzioni pre-installate e anche sostenuti da sistemi di autenticazione biometrica. Google sta un po’ nel mezzo e quindi non sorprende che voglia mettersi alla pari grazie ad accordi con operatori per preinstallare la propria soluzione. Allo stesso tempo, come gli è consueto, spariglia le carte lanciando una piattaforma aperta che può moltiplicare le alternative, sempre però all’interno dell’ecosistema Android, che Google controlla.

Si potrebbe temere che tutti questi sviluppi confonderanno l’utente e che ci sia il rischio di una eccessiva frammentazione dei servizi. Dal punto di vista pratico, però, non è un vero problema perché, grazie allo standard NFC, tutti i POS sono immediatamente compatibili con tutte le soluzioni. Non sarà insomma necessario averne più di una a bordo (se non per fruire eventualmente di servizi aggiuntivi come la bigliettazione). Potremo scegliere quella che ci è più comoda, senza problemi.

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