Nella Smart City i dati sono dei cittadini

A Smart City Exhibition di Bologna, la manifestazione organizzata da Forum PA, emerge un nuovo punto di vista sul tema della governance dei dati generati dalla diffusione di IoT e delle informazioni generate dai cittadini stessi

Pubblicato il 18 Ott 2015

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Le città stanno diventando una fonte inesauribile di dati e informazioni. E’ con questa premessa che a Smart City Exhibition, la tre giorni organizzata da Forum PA a Bologna, è stato affrontato il tema della governance dei dati e della pianificazione delle attività di sviluppo delle città intelligenti. Due temi che si intrecciano e si integrano proprio perché la disponibilità e la capacità di mettere in relazione i dati può fornire preziose informazioni per lo sviluppo dei progetti stessi.

Il punto di partenza per le città sta prima di tutto nella consapevolezza di disporre di un patrimonio di dati che acquistano valore se si ha la capacità di analizzarli, come sottolinea Salvatore Iaconesi di Ubiquitous Commons. “Tutti noi generiamo informazioni continuamente, la città è piena di microstorie che parlano anche della città stessa”. Informazioni che si uniscono ai dati generati da tutti i sensori che leggono i parametri vitali della città e che impongono una distinzione tra dati generati in modo consapevole e dati “inconsapevoli”, tra dati pubblici e privati, tra datil finalizzati a un obiettivo e dati finalizzati alla conoscenza del territorio. Il tutto genera un flusso di informazioni che ci circondano in ogni momento e che possono permettere di leggere sempre più in dettaglio come viene vissuta la città. Ornella Persico, anche lei in rappresentanza di Ubiquitous Commons occorre avere la consapevolezza che l’informazione è una risorsa nazionale e, nello stesso tempo, che questi dati devono essere valorizzati e devono ritornare alla comunità e per questo l’innovazione deve concentrarsi nello sviluppo di mezzi che consentano effettivamente di accedere a questi dati.

Ci sono informazioni consapevoli come potrebbe essere ad esempio, un post relativo a un problema di viabilità che può assumere maggior valore non solo se diventa semplicemente pubblico, ma se viene indirizzato correttamente verso le figure dell’amministrazione che possono prenderlo in considerazione. Dare intelligenza a tutti questi flussi di dati vuol dire leggere l’insieme di dati che comunicano un vissuto specifico della città per considerarle come “sensori” di esigenze e problemi.

Indice degli argomenti

Open Data

Gli Open Data oggi sono prevalentemente legati a dati delle pubbliche amministrazioni e includono pochi esempi di dati “personali” o microstorie, mentre al contrario, i grandi social network attribuiscono una grande importanza proprio ai dati e alle microstorie delle persone. La ragione sta naturalmente nel fatto che le relazioni tra questi dati permette di sviluppare informazioni che hanno anche un valore commerciale, per i gusti, le tendenze, le decisioni e per la possibilità di influenzare queste decisioni. Iaconesi osserva che la possibilità per gli utenti di riappropriarsi dell’uso dei dati è una realtà e arriva con il modello di “gestione” collegato alla “prima” versione di UbiquitousCommons per i social network. Iaconesi spiega concretamente che con questo modello se si pubblica un post su un social network, questo viene automaticamente crittografato da un plugin associato al browser e viene immediatamente offerta la possibilità di scegliere le identità a cui rendere disponibile il post sulla base di varie opzioni: identità singole e personali, collettive (tutti i cittadini della città o i partecipanti a un evento) o entità anonime, ovvero solo alle persone che condividono la stessa chiave di crittografia o anche a tempo, ovvero solo per un certo periodo e a una certa comunità. Il post viene pubblicato crittografato e può essere letto solo da chi dispone e condivide il modello UbiquitousCommons. Lo stesso principio può valere anche per i dati provenienti da IoT o da wearable, che veicolano anche dati sensibili e dobbiamo essere nella condizione di decidere come possono essere condivisi e con chi.

Andrea Borruso di Open Data Sicilia ricorda che i dati aperti generano ricchezza e che c’è un problema di “data divide” che attiene alla possibilità di utilizzare i dati: “cediamo i dati facilmente – osserva – ma è difficilissimo avere un ritorno concreto, sia che si tratti di provider privati come social network sia che si tratti delle pubblica amministrazioni”. Tutto questo, – conclude Borruso – “solleva anche un problema di ecologia dei dati, di pulizia, di analisi rispetto a dati utili e necessari e dati non inutili, che rendono però più complesso l’accesso ai dati utili”.
Pina Civitella, Responsabile Sviluppo Sistemi Informativi, Comune di Bologna, ricorda che tutte le nostre azioni digitali consapevoli e inconsapevoli generano un profilo assai più completo rispetto a quello che decidiamo di comporre sui social network e questo pone un tema importantissimo di identità digitale legato ai dati e alle azioni associate ai dati che deve essere affrontato e tutelato.
E proprio a Bologna per la prima volta con il progetto HUB Human Ecosystem tutti gli open data tornano in “mano” ai cittadini e permettono di immaginare una smart city dove i cittadini assistono all’utilizzo dei dati e possono avere una visione più profonda e completa della loro città, dei flussi, delle esigenze e possono immaginare come potrebbe essere.

Christian Iaione, Professore di diritto pubblico UniMarconi e coordinatore del LABoratorio per la GOVernance dei beni comuni LUISS Guido Carli richiama il tema del rapporto tra beni comuni e dati. “I dati aperti – sottolinea – sono dei beni comuni, prima di tutto perché sono beni che abilitano le persone alla conoscenza”. Ma il tema dell’apertura dei dati va associato al tema della governance, delle regole di accesso e gestione dei dati stessi. Iaione afferma a questo riguardo che la governance non va vista come una dicotomia tra pubblico e privato, ma dovrebbe essere collaborativa. Concretamente con una collaborazione tra le tre entità che rappresentano la dimensione sociale: pubblico, privato e comunità civiche. Tutto questo genera una visione imparziale nella gestione dei dati e una maggiore e vera circolazione dai dati stessi in modo da generare nuove idee e nuova conoscenza.

Il ruolo di EXPO

Andrea Rizzello, GIS Unit del Comune di Milano, ricorda subito come l’Expo abbia imposto al capoluogo lombardo uno speciale lavoro di lettura del territorio e cita l’importanza di realizzare e dare vita a delle mappe del rischio che producono un enorme flusso di dati e di conoscenza del territorio. Una esperienza questa che si associa a quella dell’amministrazione che è passata da una raccolta di informazioni “da ufficio” a una raccolta “tramite sensori”, sparsi per la città, che possono essere sia consapevoli, ovvero agiscono specificatamente per la raccolta di dati, ma anche inconsapevoli, ovvero arrivano alla lettura di quei dati ad esempio attraverso i social network che parlano della città e dei suoi problemi. Questo ha permesso di avviare delle operazioni di “sentiment analysis” che consentono di capire meglio i bisogni dei cittadini e di sviluppare previsioni su eventi, azioni, problemi.

Ilaria Vitellio, Ceo di Mappina, sposta invece l’attenzione sull’ambivalenza tra tecnologie abilitanti e tecnologie disciplinari, osserva anche lei che “è facile cedere i dati, ma è difficilissimo riaverli indietro”. Tutti nostri dati sfuggono al nostro controllo e questo impedisce il riuso di patrimoni pubblici e non possiamo non porci il problema di dove vanno a finire i nostri dati. Vitellio ricorda poi l’esempio di Mappina che è basata su un uso collaborativo delle informazioni fornite dai cittadini, che restano proprietari dei dati che decidono di fornire e possono seguirli e gestirli fornendo una mappa “alternativa” e personale della città. E anche tramite questa esperienza Vitellio conclude che occorre incoraggiare i cittadini a trasfromarsi da personal informer (da produttore di informazioni o opinioni personali) a urban perfomer, ovvero in una persona che racconta come vive la città in tutte le sue componenti, ma anche con il senso di responsabilità di guardare ai beni della città e di farli parlare, per aumentare consapevolmente sia la conoscenza verso le componenti della città sia la il livello di conoscenza collettiva dei bisogni e delle esigenze che stanno alla base di qualsiasi prospettiva di Smart City.

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