Polimi, i budget ICT nel 2016 tornano a crescere in Italia

Nell’annuale incontro con i CIO italiani, Mariano Corso ha presentato i risultati della nuova Survey della Digital Innovation Academy: si prevede un incremento dello 0,7% trainato dagli investimenti delle imprese medio-grandi, che interesseranno in particolare tecnologie di Business Intelligence-Big Data Analytics, Digitalizzazione e dematerializzazione, Sistemi gestionali e ERP. «Ora è necessario coinvolgere startup, clienti e competitor»

Pubblicato il 03 Dic 2015

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Mariano Corso, Responsabile scientifico della Digital Innovation Academy

Il 2016 sarà un anno positivo per il budget ICT delle imprese italiane che tornerà a crescere: si prevede che segnerà un +0,7%, trainato in particolare dalle medio-grandi imprese. Il 2015 è stato l’anno di svolta per Big Data e Analytics, Cloud, Mobile e Internet of Things a conferma del fatto che l’innovazione digitale viene vissuta come un processo sempre più aperto da parte delle imprese. Imprese che risultano essere anche più consapevoli della necessità di trovare nuove fonti di innovazione e di una trasformazione organizzativa che faccia leva su ruoli e competenze spesso non presenti all’interno dei confini aziendali.

Sono queste alcune delle principali evidenze della ricerca della Digital Innovation Academy del Politecnico di Milano, presentata oggi al convegno “Open Digital Innovation: nuovi percorsi per la trasformazione digitale delle imprese italiane”, che ha coinvolto oltre 230 CIO delle principali imprese italiane.

«La crescita del Budget ICT è un segnale importante per il nostro Paese che, nel momento in cui deve sostenere la ripresa economica, sconta un pesante gap nella Digitalizzazione rispetto al resto d’Europa, con una spesa digitale del 3,6% contro il 5,9% dei Paesi EU27 e con circa quaranta miliardi di investimenti all’anno che mancano all’appello – ha sottolineato Mariano Corso, il Responsabile scientifico della Digital Innovation Academy -. E per le imprese italiane, seguire i trend della tecnologia digitale oggi non è più sufficiente: l’innovazione è un fattore culturale e imprenditoriale ancor prima che tecnologico. Digitalizzare i processi vuol dire investire sulla cultura di business. Fare innovazione, quindi, non è più qualcosa di confinabile nella direzione ICT e richiede una collaborazione dentro e fuori dall’impresa, affiancando alle risorse interne e ai fornitori tradizionali, un ecosistema nuovo di startup, clienti guida e persino competitor».

In tema di spesa in nuove tecnologie il trend è differente a seconda della dimensione aziendale: se da un lato, infatti, le imprese medio-grandi (tra 250 e 1000 dipendenti) prevedono una crescita degli investimenti dell’1,88% e quelle piccole (tra 50 e 250 dipendenti) dell’1,16%, dall’altro sono pressochè stabili nelle grandi imprese (tra 1000 e 10000 dipendenti) con un +0,14% e addirittura in lieve calo (-0,78%) nelle grandissime imprese (oltre 10.000 dipendenti).

Budget ict

Andando più nello specifico, l’ambito ICT di investimento ritenuto prioritario nel 2016 dal 44% dei CIO Italiani è quello della Business Intelligence e Big Data Analytics (in particolare per le grandi e grandissime imprese), seguito dalla digitalizzazione e dematerializzazione segnalato dal 40% (prima priorità per le medie imprese con il 50% delle preferenze) e dai sistemi gestionali e ERP (34%).

E l’esternazionalizzazione dei servizi ICT si conferma ancora una volta cruciale per le imprese italiane: nel 2016 si prevede una crescita dell’1,81% del budget dedicato all’acquisto in outsourcing, che interesserà soprattutto i contratti as a service (+38%).

Di pari passo cresce la necessità di sperimentare modelli organizzativi per la gestione dell’innovazione, con ricadute plausibilmente diverse in base alla dimensione aziendale. Nei prossimi 6 mesi il principale meccanismo per lo sviluppo di innovazione digitale in azienda sarà l’introduzione di team di progetto dedicati, scelto dal 39% delle imprese. Nel 35%, invece, sono previsti ruoli dedicati nelle Divisioni ICT. Seguono i meccanismi interfunzionali (24%), i tavoli congiunti con enti esterni (21%) e i comitati interni (16%). Nel 37% dei casi però le attività non saranno strutturate e ci si affiderà ancora ad una gestione occasionale in base alle singole richieste: solo per il 10% per le grandissime imprese contro il 57% per le medie imprese.

Alessandra Luksch, School of management Politecnico di Milano

Ma non finisce qui, perchè la trasformazione digitale impegna le aziende italiane anche nella ricerca di nuove professionalità e competenze in grado di interpretare al meglio le nuove opportunità. Tra i nuovi ruoli inseriti in azienda, quello del Chief Security Officer è il più diffuso (55%), seguito dal CRM & Profiling Manager (41%), il Social Media Manager (40%), il Digital Media Specialist (39%) e il Digital Marketing Manager (39%). In minor misura, vengono poi eCommerce Manager, Chief Digital Officer, Chief Innovation Officer, Digital Strategist, Data Scientist e Digital Workspace Manager. Il ruolo più difficile da reperire però è il Chief Digital Officer, introvabile per il 44% delle imprese italiane, seguito dal Chief Innovation Officer (32%), dal Data Scientist (32%) e dal Digital Strategist (24%).

«Sebbene con ritardo rispetto alle necessità, ci stiamo finalmente avvicinando alla Open Digital Innovation auspicata – ha concluso Alessandra Luksch, Direttore della Digital Innovation Academy -. i segnali di volontà non mancano. Lo scorso anno il tavolo di lavoro di 15 aziende che hanno intrapreso con il Politecnico un percorso di contaminazione con le startup hi tech, denominato Startup Intelligence, ha visto nascere la collaborazione tra aziende e startup in almeno la metà delle aziende e tutte hanno riscontrato una crescita nella comprensione degli scenari evolutivi dell’innovazione».

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