Replatforming: cos’è, perché è importante e come farlo bene

Spostare l’accento su infrastrutture in cloud, impone un cambio culturale in azienda, con l’entrata in scena di nuovi interlocutori, attenti a una maggiore flessibilità nella gestione, graduale, pesata e pensata, dei carichi di dati e di lavoro da migrare

Pubblicato il 09 Dic 2018

Cloud datacenter

La crescente digitalizzazione di tutte le attività core delle imprese, impone un ripensamento delle infrastrutture su cui appoggiare l’intero assetto aziendale, sia gestionale sia applicativo. Un’evoluzione che va di pari passo con un cambio culturale delle aziende stesse, oggi propense a guardare alle scelte tecnologiche in ottica strategica e di business, un cambiamento che comporta l’entrata in scena di nuove figure di riferimento, finora poco coinvolte nel processo d’acquisto delle tecnologie. Il ricorso al replatforming entra quindi a pieno diritto tra le scelte in capo al top management, quale nuovo paradigma su cui l’azienda stessa ha deciso di reimpostare il proprio business model.

Infrastrutture “succhia-budget”: urge flessibilità

La digital transformation non avviene in una notte. Non esiste un interruttore per attivare l’innovazione delle aziende, ma si tratta di un vero e proprio percorso, da affrontare per gradi e del quale difficilmente si può identificare un traguardo. E un budget definito. Un budget IT che è in mano ai CIO o, più in generale, agli influencer per gli investimenti IT, categoria questa in cui si stanno via via accreditando nuove figure, e che è cresciuto nell’ultimo anno. A dirlo sono il 47% di un panel di 404 IT influencer recentemente intervistati da Insight, i quali prevedono che gli investimenti IT destinati all’innovazione cresceranno di circa il 22% nel 2019 (19% per le enterprise). Una crescita interessante che è comunque inferiore rispetto al survey del 2017, che assegnava per le grandi aziende un +27% alla stessa voce. Il 43% del budget se ne andrà presumibilmente per la manutenzione dell’infrastruttura esistente, un dato che fa pensare solo al 20% degli intervistati che l’IT sia veramente considerato fonte di innovazione per l’azienda. Urge, quindi ripensare a un’infrastruttura più agile, e non per forza interna all’azienda stessa.

Cos’è il replatforming e a cosa serve

Si tratta, quindi, di ricorrere a nuove infrastrutture, svincolandosi dal concetto di on premise, dell’hardware da possedere, per andare verso una logica a servizio, appoggiandosi all’immateriale Cloud Computing, nelle sue varie declinazioni, con la possibilità di avvantaggiarsi delle sue caratteristiche principali, ossia estrema flessibilità di impiego e disimpegno da investimenti vincolanti e difficilmente programmabili in base a flussi di lavoro sempre meno prevedibili. Con il replatforming si intende, appunto, la riorganizzazione dell’infrastruttura aziendale spostando intere attività o parti di esse sul cloud. Una migrazione dall’on premise al cloud che non per forza deve essere totale o definitiva, potendo sfruttare la nuvola e la modalità as-a-service che offre per gradi, per periodi, per attività diverse e non vincolanti.

Da Capex a Opex: si va verso i servizi

Il replatforming verso il cloud sbilancia fortemente l’equilibrio Capex/Opex presente in azienda, spostando l’accento dal possesso delle infrastrutture tipiche del Capex – con tutto quanto comporta in termini di valorizzazione del patrimonio presente tra le mura aziendali, impattando direttamente sul flusso di cassa per acquisto e manutenzione dei beni – verso una logica di Opex, ossia di spesa operativa necessaria per la gestione di un prodotto, assegnabile alla semplice fruizione di un servizio, attivabile o dismissibile in ogni momento, a canone periodico. Argomento di estremo interesse per il CFO in azienda (ecco uno dei nuovi interlocutori “sensibili” cui accennavamo poco sopra – ndr), che può identificare nel cloud una valida alternativa all’appesantimento obbligato del cespite aziendale per investimenti tecnologici.

Le varie forme dell’as-a-service in cloud

La modalità as-a-service è così diventato il nuovo paradigma per la fruizione di tecnologie innovative in molti ambiti e per svariati utilizzi.

Il survey di Insight indica che nel 2017 l’82% delle aziende ha investito in servizi cloud, soprattutto le medio-grandi imprese (99%).

Dal punto di vista delle applicazioni software, significa abbandonare la tradizionale formula che prevedeva l’acquisto di licenze per optare verso una forma di utilizzo a consumo. Il Software-as-a-Service (SaaS) è ormai da tempo sdoganato, e già moltissimi vendor hanno creato o adattato la propria offerta al cloud, facendo pagare canoni a mese o annuali, per l’uso delle feature del software in maniera flessibile e senza vincoli di “possesso”. Insight indica che il 57% delle aziende intervistate vi hanno investito (il 76% se si parla di grandi aziende).

Da qui, le altre declinazioni a consumo anche per le piattaforme di sviluppo (Platform as-a-Service, o PaaS) dove ha investito il 32% del panel sentito, o di infrastruttura (IaaS, acronimo di Infrastructure-as-a-Service, dove si è orientato il 35% degli intervistati), per poi estendersi al DaaS (Desktop as a Service), al Security-as-a-Service (scelto nel 46% dei casi) e così via, fino al punto di arrivare all’estremo XaaS, ossia Everything-as-a-Service.

I vantaggi del replatforming

I vantaggi in ottica Opex di un approccio orientato ai servizi sono quindi intuibili, ma concentrandosi sull’aspetto infrastrutturale, si evidenziano le caratteristiche di estrema flessibilità che una IaaS porta con sé. Solitamente si migrano verso il cloud alcune delle attività ritenute non prettamente core dall’azienda, dalla posta elettronica ad ambienti di testing e di ricerca e sviluppo per i quali non si intende occupare capacità computazionali, di storage, di backup & recover, di piattaforma normalmente utilizzate per i consueti processi di business. Si ricorre, insomma, al cloud, per la gestione di picchi di impiego delle piattaforme, momentanei e difficilmente e rischiosamente programmabili con investimenti Capex. Con il tempo, la fiducia nell’affidabilità delle infrastrutture cloud è cresciuta tra le aziende, le quali hanno via via affidato all’infrastruttura “intangibile” asset più importanti del proprio business. Vantaggi che non sono solamente dal punto di vista economico, ma sempre più valutati sulle alte performance che cloud e virtualizzazione oggi riescono a garantire. E in sicurezza.

Tra Public e Private Cloud, stessa logica ma cambia il concetto di possesso

Le forme del replatforming su cloud computing sono, dicevamo, diverse in base alle esigenze delle aziende e su come queste intendono spostare di volta in volta l’attenzione su flessibilità, performance, ottimizzazione degli investimenti, sicurezza, ecc. Una scelta che non è per forza esclusiva, potendo essere per gradi dal punto di vista quantitativo, qualitativo e temporale. Tra gli estremi dell’on premises e il cloud esistono diversi gradi intermedi.

Il Private Cloud si compone di risorse computazionali o di storage di proprietà esclusiva dell’azienda che lo adotta, indipendentemente dal fatto che il data center su cui si appoggia sia interno o in hosting presso provider esterni. In ogni caso l’hardware e il software che lo compongono, sono a uso esclusivo del committente.

Nel Cloud Pubblico, invece, i server e lo spazio storage è di proprietà del provider esterno, che lo offre come servizio “a canone” all’azienda committente, fruibile via Internet. È facilmente intuibile che i costi di un Public Cloud siano nettamente inferiori di un Cloud dedicato come può essere quello Privato.

Hybrid Cloud, le tante sfumature che portano fino al Multicloud

L’Hybrid Cloud, lo dice il nome, è una combinazione più o meno sbilanciata, tra l’infrastruttura “fisica” on-premises, il Private Cloud e il Cloud Pubblico, spostando moli di dati o operazioni computazionali via via tra i tre componenti a seconda che si voglia privilegiare la disponibilità di spazio, le capacità computazionali o la garanzia di gestione di dati estremamente sensibili di un’azienda che richiedono il massimo della sicurezza.

Oggi siamo nell’era del Multicloud, ossia l’attivazione di più servizi di cloud, spesso pubblici, su cui gestire spostamenti dinamici dei carichi infrastrutturali. Una modalità, gestibile anche attraverso console, che ha di fatto sdoganato gli ambienti di public cloud anche in ambiti enterprise, frutto della fiducia con accordi di partnership di big brand infrastrutturali con i maggiori cloud provider pubblici, certificati per compatibilità, affidabilità, performance, all’integrazione a favore della flessibilità e scalabilità.

Più modi per migrare verso il cloud

Come tanti sono i cloud e tante sono le tipologie di servizio fruibili da cloud, altrettanto varie sono le modalità per arrivare al cloud. Una di queste è il Rehosting, che qualcuno chiama anche “Lift and Shift”, che consiste in un vero e proprio spostamento delle applicazioni così come sono, senza modificarne i codici. In un approccio di questo tipo, la macchina virtuale opera alla stregua di una “black box” e viene copiata pezzo per pezzo. Si tratta di un procedimento veloce che però non beneficia delle caratteristiche tipiche del cloud, come la flessibilità ed elasticità, penalizzato inoltre dai costi, che risulterebbero maggiori rispetto a un replatform dell’applicazione.

Il vero e proprio Replatform è, in effetti, una seconda opzione di migrazione in cloud, che però prevede una certa quota di modifica e di upgrade dell’applicazione che le garantirebbe di godere i benefici dell’infrastruttura cloud. Il Refactoring, infine, si spinge fino a una riarchitettura, se non addirittura la riscrittura di parti di codice, dell’applicazione per renderla “appetibile” pienamente al cloud, acquisendo benefici per compatibilità e flessibilità ma penalizzata dai lunghi tempi necessari.

Consigli da avere in mente prima di fare il replatforming

La scelta di migrare verso infrastrutture cloud based, e il grado del loro coinvolgimento nella strategia di riprogettazione infrastrutturale, va presa tenendo ben presenti alcune priorità, che possono essere differenti in base alle dimensioni aziendali o al mercato di riferimento. Bisogna innanzitutto valutare quanto l’applicazione che si vorrebbe spostare in cloud sia strategicamente fondamentale per il business aziendale e se valga la pena investirvi pesantemente oppure se si tratta di un’applicazione che serve al quotidiano funzionamento dell’azienda e pertanto convenga gestirla con i minori costi possibili. Una questione non da poco, visto che un’eventuale migrazione di un’applicazione comporta tempo e costi, ed è pertanto necessario fare una scelta su dove orientare un effort di questo tipo.

Le varie fasi della migrazione al Cloud: come pianificare il Journey to the Cloud

Una volta stabilito cosa sia meglio portare in cloud e su quale cloud appoggiarsi, bisogna affrontare il tanto decantato “journey to cloud”. Un viaggio, appunto, e non un semplice trasloco, che comporta una riorganizzazione anche culturale e strategica dell’intera organizzazione del business.

  • Test e analisi dell’assessment di cosa migrare – La prima fase comporta un’analisi di assessment, per definire la strategia da adottare e la roadmap da seguire in questo percorso, identificando le tappe da percorrere e le priorità.
  • Definizione di un team cloud – Importante è anche la definizione di una “task-force” all’interno dell’azienda (o da supporto esterno) che faccia da tramite ai diversi gruppi di lavoro che saranno coinvolti, per capire e aiutare nella migrazione tenendo presenti le particolari esigenze, priorità, diffidenze. Fondamentale è trasferire la cultura dei vantaggi cloud a tutta l’azienda, con formazione e coinvolgimento nei progetti con i giusti skill che renda tutti in gradi di parcepirne vantaggi ed eventuali difficoltà.
  • Analisi dell’assessment delle infrastrutture – Stesso discorso di assessment vale ovviamente anche per la parte infrastrutturale, sulla quale fare una scelta tra le varie forme sovracitate di Public, Private e Hybrid Cloud, in previsione anche di una propria evoluzione per impieghi PaaS e IaaS.
  • Inventario delle applicazioni cloud-native – Le applicazioni aziendali vanno inventariate per capire a quali è meglio dare precedenza, anche in base al grado di compatibilità cloud che le caratterizza. In pratica, se si tratta di soluzioni cloud native, generate in ottica DevOps che ne preveda la compatibilità cloud dal momento zero, ovviamente il loro spostamento sul cloud e da un cloud all’altro è più veloce e meno problematico rispetto ad altre.
  • Analisi delle applicazioni da modernizzare – Un altro discorso vale per le applicazioni “tradizionali”, da modernizzare in chiave cloud, per le quali è necessario capire il grado di intervento di replatforming o di refactoring, dal momento che tali operazioni comportano tempi e investimenti in ore-persona anche importanti.
  • Impostazione di uno sviluppo in PaaS – prevedere per l’evoluzione o arricchimento del proprio portfolio d’offerta, l’uso diretto del Platform as a Service come nuovo ambiente di sviluppo, coinvolgendo, a seconda delle necessità, in maniera flessibile, piattaforme su Public, Private o Hybrid Cloud.

L’approccio all’hybrid cloud di Insight

Andrea Marchitti, Insight
Andrea Marchitti, Insight

Il percorso verso il cloud consigliato da Insight, system integrator attivo nei vari aspetti della digital transformation delle aziende, si orienta verso l’Hybrid Cloud, appoggiandosi alla piattaforma Microsoft Azure per la parte di Public Cloud.
“L’approccio di Insight è in pimis un approccio metodologico – spiega Andrea Marchitti, specialista della practice in azienda – e prevede la creazione di un team virtuale con l’azienda cliente, per guidare l’azienda nel proprio Cloud Journey. Siamo gli  orchestratori e gestori di tutte le fasi della migrazione”.
Un percorso che prevede il coinvolgimento di figure decisionali sia tecnologiche sia del board aziendale, direttamente coinvolte nelle scelte strategiche del business, dal CFO, che nel nuovo modello Cloud vede impatti a livello Capex/Opex, al COO, sempre più coinvolto nelle imprese manifatturiere che stanno digitalizzando i processi, anche produttivi e, ovviamente al CIO, sempre più chiamato a fare scelte tecnologiche che siano profondamente intrecciate alle strategie di mercato. Una scelta corale, quella del replatforming verso l’Hybrid Cloud, che deve necessariamente tenere conto di più aspetti già dalla fase di progettazione: dalla fattibilità, ai costi previsti, ai risparmi ottenibili, al numero di persone da coinvolgere fino ai tempi necessari per i vari step. Step, appunto, perché il viaggio verso il cloud ha certamente un inizio, ma la sua continua evoluzione non ne prevede una fine, ma un percorso di cambiamento e di crescita costante in linea con le esigenze del cliente.
“Ai nostri clienti presentiamo scenari, rispondendo puntualmente alle loro domande: quanto costa, quanto è complesso, quante persone servono per il progetto. Il cloud è un treno che va preso ora e noi li supportiamo in questo percorso”.

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