La parola “sensore” deriva dal latino “sensus”, “sentire, percepire”: è un dispositivo che interagisce con la grandezza che deve misurare e con l’ambiente circostante e ne “sente” le variazioni. Per l’International Vocabulary of Metrology, il Vocabolario Internazionale di Metrologia, ovvero della scienza che si occupa della misurazione e delle sue corrette procedure, i sensori sono “elementi di un sistema di misura che è direttamente influenzato dal fenomeno, dal corpo o dalla sostanza che propongono la grandezza da sottoporre a misurazione”.
Il sensore interagisce con il fenomeno da misurare: la sua energia causa una variazione delle proprietà (per esempio, la resistenza elettrica) della grandezza stessa che la rende misurabile. Viene spesso usato come sinonimo di “rilevatore”, detector, che per lo stesso Vocabolario è invece un “dispositivo o sostanza che indica la presenza di un fenomeno quando viene superato il valore soglia di una grandezza”. Il sensore agisce anche sotto il “valore soglia”, e misura in ingresso la grandezza, quindi acquisisce l’informazione rilevante per lo strumento terminale (es. un display) a cui è collegato o per i sistemi di regolazione e controllo in cui è inserito.
A rigor di definizione, un sensore non dovrebbe convertire in uscita la natura della grandezza misurata, che è ciò che caratterizza un trasduttore (V. paragrafo sulle differenze). Nella pratica, i termini “sensore”, “trasduttore” e “rilevatore” vengono spesso usati come sinonimi.
Tipologie e classificazione dei sensori
I sensori possono essere classificati in base al tipo di grandezza che misurano, al principio di funzionamento, alla grandezza in uscita. Appartengono, tra gli altri, al primo o al terzo gruppo, i sensori meccanici, elettrici, termici, ottici; al secondo, i sensori di contatto e di prossimità.
I sensori si differenziano inoltre per: la sensibilità alla grandezza da rilevare, ovvero la capacità di risposta al minimo stimolo distinguibile dal rumore di fondo; la rapidità di risposta allo stimolo; le dimensioni, sempre piuttosto piccole per non perturbare la misura; la precisione, che tiene insieme l’insensibilità a grandezze diverse da quella rilevante e l’immunità dal rumore; il campo di misura.
Sensori meccanici
I sensori meccanici sono così classificati perché sia la grandezza di ingresso sia quella d’uscita sono perlopiù grandezze meccaniche. Si suddividono, in base al principio di funzionamento, in: sensori di contatto, elastici, a massa (o inerziali), termici e idropneumatici.
I sensori di contatto rilevano uno spostamento: ne sono esempi i leveraggi e gli ingranaggi.
I sensori elastici prendono il nome dalla deformazione dell’elemento elastico causato dalla grandezza di ingresso, sia essa una forza o una pressione, che provoca a sua volta uno spostamento: ne sono esempi le molle Bourbon usate nei manometri. Un classico sensore inerziale, o a massa, è il pendolo, su cui agisce l’accelerazione di gravità. I sensori termici, o di temperatura (v. paragrafo successivo) rilevano appunto una variazione di temperatura attraverso una dilatazione o un aumento di pressione: ne sono esempi, rispettivamente, i termometri bimetallici e i termometri a liquido. I sensori idropneumatici sfruttano il contatto tra i due fluidi, uno liquido e l’altro aeriforme: in particolare, misurano la variazione di sezione della corrente fluida quando incontra un ostacolo e viene deviata. Ne è un esempio il tubo di Pitot, usato nelle gallerie del vento per misurare la velocità della corrente d’aria.
Sensori di temperatura
I sensori di temperatura rilevano la temperatura dell’aria o la temperatura superficiale di liquidi e solidi. Sono spesso trasduttori, perché trasformano la grandezza temperatura in grandezza elettrica. Si differenziano in sensori di temperatura a contatto o senza contatto.
Tra i sensori di temperatura a contatto più noti, chiamati anche sonde, troviamo le termocoppie e i rilevatori di temperatura a resistenza (RTD).
Una termocoppia si basa sull’effetto Seebeck, un effetto termoelettrico per il quale, dato un circuito formato da materiali metallici conduttori o semiconduttori, una differenza di temperatura genera elettricità. Una termocoppia è formata da due conduttori metallici uniti in un punto (“giunto caldo”, dove viene effettuata la misura) e collegati agli altri due estremi ad un morsettiere elettrico (“giunto freddo”), legato a sua volta allo strumento di misurazione. Aprendo il circuito, se nel giunto freddo si manterrà temperatura costante, nel giunto caldo emergerà tensione elettrica. Le termocoppie rilevano temperature molto elevate, sono economiche e ampiamente utilizzate in campo industriale, anche se non prive di errori sistematici.
Un rilevatore di temperatura a resistenza (RTD, dall’inglese Resistance Temperature Detector) sfrutta invece la resistenza dei metalli: tipicamente un RTD contiene fili di platino avvolti in supporto isolante e in una guaina di protezione. Più aumenterà la temperatura, più aumenterà la resistenza elettrica del metallo all’interno del sensore, che acquisirà la variazione del dato. Anche gli RTD sono molto usati e si caratterizzano per la precisione della rilevazione e l’immunità al rumore.
I sensori di temperatura non a contatto sono invece a infrarossi, e misurano la temperatura attraverso la radiazione infrarossa emessa dal target. Un sensore di temperatura a infrarossi contiene una lente che direziona la radiazione su un ricevitore, che la converte a sua volta in segnale elettrico prima e in temperatura poi. Questi sensori si utilizzano per misurazioni in movimento o nelle condizioni in cui non è possibile il contatto con l’oggetto. Oltre i pirometri e i termometri a infrarossi, affidabili e precisi, utilizzati nel monitoraggio dei processi industriali, tra i sensori di temperatura più avanzati troviamo anche: le termocamere a infrarossi, che, aggiungendo l’elaborazione digitale delle immagini, riescono a rilevare la distribuzione termica di un’area elaborando una matrice di punti e il datalogger wireless, un raccoglitore autonomo di dati composto da uno o più ricevitori elettronici collegati a un elaboratore che memorizza le misure di temperatura in tempo reale e in precisi intervalli di tempo.
Sensori di prossimità
I sensori di prossimità sono sensori elettrici che rilevano oggetti (specie metallici) posti nelle loro vicinanze, sia che ne siano a contatto sia a distanza. La distanza entro cui riescono a rilevarli viene detta “portata vedente”. Si differenziano in induttivi, capacitivi, magnetici, a ultrasuoni, ottici.
I sensori di prossimità induttivi (v. paragrafo seguente) sfruttano l’induzione elettromagnetica, ovvero la corrente indotta che si genera quando varia il campo magnetico in un circuito chiuso.
I sensori di prossimità capacitivi, invece, prendono il nome dal condensatore (in inglese, capacitor), un componente elettrico composto da due armature, caricate con segno opposto, che immagazzina l’energia potenziale in un campo elettrico. Semplificando, le due armature generano un campo elettrico: se un’armatura è il sensore, l’eventuale oggetto nelle vicinanze diventa l’altra. La corrente che viene generata cambia la distanza tra le due, una distanza che può essere rilevata e misurata. La misura è più accurata se l’oggetto-target è piatto e parallelo al sensore.
I sensori di prossimità magnetici rilevano il campo generato da un magnete posizionato sull’oggetto da misurare. Sono molto usati come antifurto: si posiziona un magnete sul bordo di una finestra o di una porta, mentre sullo stipite il sensore, un contatto Reed, ovvero un interruttore formato da due lamine ferromagnetiche separate e in parte sovrapposte, custodite in un bulbo di vetro, che in presenza di un campo magnetico tendono ad attrarsi, quindi a chiudersi. Con il magnete e a porta chiusa, il circuito resta chiuso. Quando la porta si apre, il circuito si interrompe e scatta l’allarme. Altri sensori di prossimità magnetici, più propriamente trasduttori, funzionano con l’effetto Hall, ovvero con la differenza di tensione elettrica che genera un conduttore attraversato da corrente elettrica quando è sottoposto a un campo magnetico.
I sensori di prossimità ad ultrasuoni (v.paragrafo sensori di parcheggio) utilizzano le onde sonore con frequenza superiore ai 20.000 Hz, oltre l’intervallo udibile dall’orecchio umano, per misurare la distanza da un bersaglio specifico e rilevarne quindi la presenza o assenza. In pratica, il sensore emette un’onda di ultrasuoni ad una specifica frequenza verso il target e aspetta il tempo necessario per l’eco di ritorno: durante questo intervallo, misura la distanza.
I sensori di prossimità ottici, o fotoelettrici (v.paragrafo successivo) misurano il fascio di luce riflesso dall’oggetto da rilevare. Generalmente viene usato un fascio di luce a infrarossi per non confonderlo con altre fonti di luce ambientale.
Sensori induttivi
I sensori induttivi sfruttano l’induzione elettromagnetica, ovvero la corrente indotta che si genera quando varia il campo magnetico in un circuito chiuso. Il campo magnetico varia, ad esempio, in presenza di un materiale ferromagnetico: in questo caso, la riluttanza, ovvero l’opposizione al flusso di un elettromagnete, si abbassa. Questa variazione è misurabile dal sensore di prossimità, che può quindi calcolare presenza e/o distanza dall’oggetto-target. Un oggetto che però, per questo tipo di funzionamento, può essere solo ferromagnetico. Oltre che di prossimità, esistono anche sensori induttivi di spostamento: tra i più utilizzati, il LVDT, Linear Differential Variable Transformer.
Sensori ottici
I sensori ottici, più propriamente trasduttori, rilevano i raggi luminosi e li trasformano in segnali elettronici. Un sensore ottico è composto generalmente da una sorgente luminosa (es. Led) e da un ricevitore (es. fotodiodo): la misurazione avviene quando l’oggetto interrompe o riflette la quantità di luce emessa. Come abbiamo visto, nei sensori di prossimità ottici viene usato di solito un fascio di luce a infrarossi. Tra i più comuni sensori ottici troviamo le fotocellule, o fotorivelatori, che si differenziano a seconda della posizione dell’oggetto da rilevare rispetto a emettitore e ricevitore: in mezzo (sistema a barriera), di fronte (sistema a catarifrangente), orientata verso il ricevitore (sistema a riflessione diretta). In casi particolari, per trasportare la luce dall’emettitore al ricevitore, al posto dei componenti fotoelettrici classici si utilizza la fibra ottica. Esistono poi, tra gli altri sensori ottici: i fotodiodi, i fototransistor, gli array di fotodiodi, le fotoresistenze, i diodi sensibili alla posizione (PSD, Position Sensitive Diode). Sensori ottici sono anche i sensori di immagini, ovvero quei sensori in grado di convertire un’immagine in un segnale elettrico, focalizzandola su una griglia formata da tanti piccoli sensori puntiformi che uno a uno rilevano la luce e la convertono: le tecnologie più note sono i circuiti integrati CCD (Charged-Couple Device, dispositivo ad accoppiamento di carica) e CMOS (Complementary metal-oxide semiconductor). Sui sensori ottici si basa la fotopletismografia (PPG), che misura la variazione della dimensione dei vasi sanguigni per calcolare la frequenza cardiaca dallo smartwatch.
Sensori di movimento
I sensori di movimento vengono detti anche rilevatori volumetrici o radar. Rilevano la presenza delle persone negli ambienti in cui vengono installati. Si differenziano in sensore di movimento “classico” o “a tenda”, ovvero a barriera da attraversare per far scattare l’allarme. Questi ultimi, sono affini ai sensori di prossimità. I sensori di movimento più diffusi, oltre i radar, sono i PIR, Passive InfraRed, che rilevano gli oggetti tramite la misurazione dei loro raggi infrarossi. Più precisamente, il PIR funziona come un detector e rileva la variazione repentina di temperatura causata da una persona/cosa che entra nell’area monitorata rispetto a quella memorizzata come “standard”. Da più sensori installati all’interno dello stesso PIR è possibile dedurre la direzione del movimento minimizzando il rischio di falsi allarmi. Esistono anche sensori che associano alla ricezione delle radiazioni infrarosse anche la generazione delle microonde elettromagnetiche, con l’allarme che scatta solo se entrambi i sistemi rilevano una variazione.
Sensori di parcheggio
I sensori di parcheggio, installati sul paraurti anteriore o, più spesso, posteriore dell’automobile, possono essere di diverso tipo. I più comuni sono i sensori di prossimità ad ultrasuoni, che emettono quindi onde a frequenza specifica e aspettano il tempo necessario ad un eventuale eco di ritorno, misurando la distanza dal target durante questo intervallo. Se l’ostacolo è presente, “rifletterà” l’onda emessa tanto più velocemente quanto più sarà vicino. Una innovazione sono i sensori di parcheggio elettromagnetici, installati su una striscia adesiva all’interno del paraurti: inserendo la retromarcia, la centralina attiva la striscia che genera un campo elettromagnetico e si comporta quindi come un sensore di prossimità magnetico. I sensori di parcheggio wireless sono invece installati su un portatarga dedicato ed alimentati dalla luce della targa stessa: hanno un display interno che interagisce coi sensori via Wi-fi, dipendono quindi dalla connessione.
Qualunque sia la modalità di rilevamento, una volta “misurata” la distanza dall’ostacolo, il sensore invia il segnale alla centralina dell’automobile, che lo elabora e lo trasmette all’altoparlante: si genera così il segnale acustico intermittente tanto più intenso e ravvicinato quanto minore è la distanza dall’ostacolo. Un’alternativa di output è l’illuminazione del cruscotto con specifici led o una combinazione dei due sistemi, acustico e visivo.
Differenze tra sensori e trasduttori
Il sensore “sente” le variazioni della grandezza che deve misurare e con cui interagisce e, per la definizione presente sull’International Vocabulary of Metrology, non dovrebbe, in fase di output, cambiare la “natura” della grandezza misurata. Questa, più propriamente, è la funzione del trasduttore (dal latino “trasducere”, “condurre attraverso”, quindi trasformare). Il Vocabolario internazionale della scienza che si occupa di stabilire le corrette procedure di misurazione lo definisce come “trasduttore di misura”, ovvero un “dispositivo, impiegato in una misurazione, che fornisce una grandezza in uscita che ha una relazione specificata con la grandezza d’ingresso”. Grandezze equivalenti, proporzionali, ma anche informazioni. In realtà, nella pratica i due vocaboli vengono usati come sinonimi, così come “rilevatore”. Una differenza possibile è l’accento diverso sulla loro funzione: il sensore serve per misurare la variazione del valore della grandezza “in ingresso” nel sistema di controllo in cui è inserito, il trasduttore per convertire questa variazione in un nuovo segnale più facilmente elaborabile “in uscita”.
I vantaggi dei sensori
Utilizzare i sensori significa avere la possibilità di effettuare delle misurazioni accurate, tempestive, costanti, quindi avere a disposizione una grande quantità di dati che possono essere elaborati per ottimizzare processi, risorse, servizi. I sensori sono la porta dell’Internet of Things, gli oggetti interconnessi che scambiano dati tra loro e con l’ambiente circostante: IoT che per l’industria significa prevenire i guasti (manutenzione predittiva), aumentare la sicurezza, monitorare in tempo reale ambienti e processi, evitare sprechi di energia, eliminare i fermo-macchine non programmati e aumentare la produzione, riuscire a garantire standard elevati di qualità di prodotto e di processo. I sensori non consentono solo di automatizzare fasi della produzione ma di costruire database sullo storico delle misurazioni effettuate, database che possono essere “interrogati” e fornire uno strumento di supporto strategico alle decisioni.
Nei sistemi IoT i sensori possono essere connessi tramite fili o reti wireless. Una delle più utilizzate è quella che utilizza la tecnologia LoRaWAN. I sensori costituiscono i “dispositivi periferici” (chiamati anche “End Nodes”), i quali dialogano, in modalità bidirezionale, con dei concentratori (definiti gateway) posizionati nell’ambiente a costituire la rete IoT LoRaWAN.
I dati provenienti dai dispositivi periferici sono raccolti dalla rete IoT LoRaWAN e vengono quindi mandati in cloud al network server dell’operatore di rete, tramite un’infrastruttura di backhauling, ad esempio la fibra ottica. Il network server gestisce i dati e li fornisce all’application server per renderli così fruibili all’utente finale via app o web. La tecnologia LoRaWAN ha il vantaggio, rispetto ad altre pure utilizzabili per connettere i sensori a una rete, di impiegare componenti dal basso consumo energetico, per cui le batterie possono raggiungere una durata di oltre 10 anni.
Le applicazioni dei sensori nell’industria
I diversi tipi di sensori vengono applicati nel settore industriale per diverse finalità, di seguito gli utilizzi più frequenti.
I sensori di movimento e di presenza vengono utilizzati per ottimizzare gli impianti di illuminazione industriale, evitare sprechi di energia e ridurre i costi; i sensori di temperatura vengono utilizzati per rilevare microfughe di fluidi, per controlli di processo non invasivi e per assicurare sterilità e igienicità ai processi produttivi, anche in chiave di compliance normativa. I sensori di visione sono applicati nelle ispezioni “accettato-rifiutato” che identificano le anomalie di attrezzature, prodotto, imballaggio, spedizione e aiutano il controllo qualità. I sensori ottici vengono utilizzati nel monitoraggio di gasdotti, piattaforme offshore, linee elettriche e pozzi; i sensori a fibra ottica nel monitoraggio delle costruzioni civili. I sensori capacitivi si utilizzano nelle tarature e nella misurazione e nel monitoraggio del livello dei fluidi dall’esterno, senza contatto. I sensori a ultrasuoni vengono impiegati per il rilevamento di oggetti o la misurazione di livello in condizioni difficili, per il rilevamento di anomalie nelle vasche di alimentazione, nell’assemblaggio delle componenti automobilistiche, per il riconoscimento e conteggio delle etichette.
I sensori magnetici vengono utilizzati per la sicurezza degli impianti, inseriti in dispositivi anti-infrazione. I sensori fotoelettrici sono usati agli incroci delle linee dei filobus per controllare la direzione di marcia. I sensori induttivi vengono impiegati per rilevare a distanza la presenza di sigilli nel packaging o per misurare lo spessore di bobine (ad es. nell’industria tessile) in movimento.