Molte città hanno avviato progetti destinati allo sviluppo di realtà urbane sempre più smart, connesse e innovative, in grado di migliorare la vivibilità degli spazi e quindi la qualità della vita. Dai dati della ricerca promossa dall’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, però, sembra che l’Italia debba ancora lavorare molto. La promozione di progetti Smart City risulta essere l’obiettivo dell’anno a venire per molti comuni, ma per ora alcuni fattori, come la mancanza di risorse economiche e competenze, il problema della governance (per l’alternarsi di amministrazioni diverse) e la quantità di attori che posseggono asset sul territorio, hanno limitano l’esplosione del fenomeno.
Problemi forse facilmente risolvibili tenendo a mente i benefici (anche in termini economici) che la trasformazione smart può apportare: nel caso di Milano, per esempio, basterebbero alcuni anni per recuperare gli investimenti relativi a una serie di progetti Internet of Things (come, per esempio, soluzioni per la gestione dei parcheggi attraverso sensori, raccolta dei rifiuti smart, illuminazione intelligente e smart building in edifici pubblici). Moltissimi sarebbero i vantaggi in termini di risparmio di tempo e risorse (si pensi al tempo impiegato per cercare parcheggio) e i benefici per l’ambiente (riduzione delle emissioni di CO2).
Freni e stimoli per le Smart City
Dalla ricerca presentata in occasione dell’evento “Smart City in cerca d’autore: quali strategie per (ri)partire?”, insieme ai dati relativi alle barriere che frenano una completa e profonda trasformazione, nota Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things, si rilevano delle spinte di innovazione da parte di alcuni comuni: strategie più definite, collaborazioni tra pubblico e privato, nuove reti di comunicazione. Milano, Torino, Cremona e Firenze cercano di prendere esempio da città europee all’avanguardia come Barcellona, Amsterdam e Londra.
La direzione che si sta cercando di seguire è corretta, osserva Giulio Salvadori, ma ancora troppo limitata. L’Italia, in particolare, vive anche la difficoltà relativa alla ricerca dei possibili soggetti in grado di collaborare per lo sviluppo dei progetti Smart City. I comuni hanno bisogno di aiuto da parte delle PA per quanto riguarda fondi, formazione, linee guida, best practice e definizione di impegni e priorità, e potrebbero essere rafforzati da una collaborazione con il settore privato la quale, dai dati dell’Osservatorio Internet of Things, risulta ancora molto debole (tra le cause la mancanza di connessione con l’attività della PA). In questo contesto, il 66% delle amministrazioni cittadine desidera un ruolo da promotore, cioè immagina di poter svolgere un ruolo di guida per quanto riguarda l’individuazione delle applicazioni più importanti, delle strategie e il comando dei progetti; il 47% dei comuni ambisce a una posizione da abilitatore, cioè vuole dedicarsi alla creazione delle condizioni che permettono lo sviluppo dei progetti smart da parte dei privati.
Una minore percentuale (il 22%) si vede come utilizzatore, cioè vuole poter usufruire dei dati condivisi da attori terzi per erogare a sua volta servizi.
Buona e cattiva gestione dei dati
Un altro problema riguarda la cattiva gestione dei dati raccolti all’interno dei progetti Smart City, che vengono utilizzati dalle amministrazioni ma spesso non condivisi, oppure non sono utilizzati interamente e immediatamente dai comuni. Un ultimo dato è l’evoluzione delle reti di comunicazione per l’IoT, importanti per la riduzione dei costi e della complessità nello sviluppo di servizi digitali. Tra le nuove reti si possono citare SigFox, LoRa, Narrow-Band IoT e le prime sperimentazioni di reti 5G che coinvolgono città come Bari, L’Aquila, Matera, Milano e Prato.
Secondo Antonio Capone, responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things, le municipalità hanno l’occasione di rivestire «un nuovo ruolo nello sviluppo di applicazioni e servizi per i cittadini». Le nuove reti possono aprire la possibilità di collaborare con attori privati anche per quanto riguarda la condivisione dei dati, mentre l’abbassamento delle barriere d’ingresso può permette una maggiore sperimentazione di nuove applicazioni anche con startup.