“Sotto la superficie dello smart working così come oggi lo conosciamo c’è una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva. I benefici per imprese, lavoratori e società sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi volto ad accompagnare e incentivare un fenomeno in grado di dare nuovo slancio al sistema Paese”. Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working commenta così i risultati della nuova edizione sul lavoro agile del Politecnico di Milano.
Un rapporto che sottolinea l’avanzata dello smart working in Italia, che oggi riguarda conta 305mila dipendenti impiegati, quadri e dirigenti che lavorano in aziende pubbliche o private con più di 10 dipendenti, che si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori.
Cresce l’adozione dello smart working tra le grandi imprese. Anche tra le Pmi cresce l’interesse, mentre nella PA solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati e un altro 4% pratica lo smart working informalmente, ma a fronte di una limita applicazione c’è un notevole fermento. Il lavoro smart, sottolineano gli esperti del Polimi, è una realtà, ma quel che si vede è solo la punta dell’iceberg: sono ancora pochi i progetti di sistema che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro e estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione. Eppure, i benefici economico-sociali potenziali sono enormi.
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