La parola teleriscaldamento è formata dal prefisso tele, che significa a distanza, e riscaldamento. In Italia la prima città a essersi dotata di questo sistema è stata Brescia nel 1971, seguita da Torino, Milano e altri comuni soprattutto del nord. La crescita della rete negli ultimi anni ha reso necessario il ricorso a strumenti di monitoraggio dei parametri relativi a temperatura e pressione attraverso soluzioni IoT basate ad esempio su reti di comunicazione NB-IoT (Narrow Band-Internet of Things) con cui controllare sistematicamente i dati che si riferiscono all’intero sistema. Senza dimenticare che gli smart metering, i contatori “intelligenti” che consentono telelettura e telegestione sono entrati a far parte del teleriscaldamento come già avvenuto per tutti gli altri settori come energia elettrica e gas. La digitalizzazione e l’utilizzo di apparati IoT avrebbe dovuto contribuire non solo a ottimizzare la gestione del teleriscaldamento, ma anche ad abbattere i costi dei fruitori. Cosa che non è avvenuta, visto che le cronache di fine estate riportavano la situazione paradossale di tanti utenti che, nonostante lo avessero scelto come alternativa green e conveniente, si sono visti raddoppiare la bolletta. Per comprendere cosa è andato storto rispetto alle previsioni di quanti avevano deciso di optare per questo metodo, è utile partire da che cos’è esattamente il teleriscaldamento.
Che cos’è il teleriscaldamento?
Fra le tante definizioni presenti in rete, una delle più chiare è quella di Linea Green, società di A2A che gestisce gli impianti di teleriscaldamento di Cremona, Crema, Lodi e Rho: “Il teleriscaldamento è un sistema di produzione centralizzata di calore distribuito direttamente alle utenze mediante una rete di doppie tubazioni interrate”. In pratica, quindi, si tratta di un modello di riscaldamento in cui il calore viene generato da grandi centrali collocate lontano dalle aree urbane che vengono servite (e per questo si chiama “a distanza”). In questo modo le caldaie che solitamente si trovano nei condomini o nelle unità abitative vengono sostituite da scambiatori di calore che, a differenza delle prime, non sono interessate da alcuna combustione. L’eliminazione di caldaie e canne fumarie, quindi, è uno dei principali fattori a rendere più ecosostenibile il teleriscaldamento.
Teleriscaldamento: come funziona
Dalla centrale il calore viene distribuito attraverso le tubazioni interrate sotto forma di fluido termoconvettore (acqua calda, surriscaldata o vapore). Quando la rete di tubazioni primaria incrocia quella secondaria degli utenti, avviene lo scambio di calore grazie agli scambiatori installati negli edifici. Il calore, trasferito nell’acqua delle tubazioni secondarie, può essere così utilizzato sia per riscaldare gli ambienti sia per produrre acqua calda sanitaria. Una volta che il fluido termovettore, che nel caso dell’acqua si aggira attorno ai 90-100 °C, perde il proprio calore, ritorna verso la centrale a temperature tra i 30 e i 60 °C per essere nuovamente riscaldato e distribuito. L’eliminazione dei fumi emessi dove si trovano le utenze, così come il venir meno della manutenzione in loco, che viene demandata invece a chi gestisce le centrali e la rete, rappresentano degli indubbi vantaggi per l’ambiente, ma non garantiscono l’impatto positivo sulla bolletta auspicato dagli utilizzatori finali.
Fonti del teleriscaldamento
Generalmente le centrali di teleriscaldamento sono formate da impianti di cogenerazione, cioè che danno vita a elettricità e calore sfruttando la medesima fonte di energia. La produzione combinata, a paragone di quella separata delle medesime quantità di energia elettrica e calore, determina un risparmio economico che deriva dal consumo minore di combustibile e dalla riduzione dell’impatto ambientale per via delle emissioni inferiori. La fonte delle centrali di cogenerazione può essere costituita da gas naturale, combustibili fossili, biomasse, termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani, calore di scarto proveniente dai processi industriali o fonti rinnovabili come il solare termico. La centrale di Moncalieri in Piemonte, ad esempio, produce simultaneamente energia elettrica e termica, in quanto è costituita da due impianti di cogenerazione a ciclo combinato alimentati a gas naturale. Secondo Iren, la multiutility che la gestisce, i due cogeneratori raggiungono rendimenti elettrici superiori al 57% grazie alla valorizzazione del calore disperso, e non più utilizzabile, nell’ambiente esterno.
Produzione e distribuzione del teleriscaldamento: ecco come avviene
Da quanto detto finora, si ricava che con il termine teleriscaldamento non viene indicata una particolare fonte energetica, quanto il sistema che nel suo insieme produce e distribuisce calore, a prescindere dalla sua alimentazione. A completamento di quanto evidenziato in precedenza, va anche sottolineato che esistono due modalità di distribuzione del calore, una diretta e un’altra indiretta. Nella prima c’è un unico circuito idraulico che collega la centrale di produzione con il corpo scaldante, vale a dire il termosifone o la piastra dell’utente. Nella distribuzione indiretta, invece, vi sono due o più circuiti separati e connessi tramite scambiatori di calore. La distribuzione indiretta attualmente è quella più diffusa nel nostro Paese, anche se richiede spese più onerose nella progettazione degli impianti. Tuttavia, poiché consente di usare acqua calda e non surriscaldata, sottopone le tubazioni a pressioni e dilatazioni inferiori, semplificando così la manutenzione e l’identificazione di guasti e perdite lungo la rete.
Quali sono i vantaggi del teleriscaldamento?
Il teleriscaldamento porta anzitutto dei vantaggi negli impianti condominiali, che sono i principali beneficiari di questo sistema. Come accennato, infatti, elimina i costi associati all’acquisto e alla manutenzione delle caldaie tradizionali, nonché quelli che si riferiscono alla predisposizione di appositi vani tecnici e di canne fumarie. Con il conseguente azzeramento di rischi connessi a incendi, esplosioni o intossicazione da fumi. Inoltre, dovrebbe in teoria essere più conveniente dei metodi classici per via dell’utilizzo di fonti alternative rispetto a quelle fossili. In realtà, in molte città servite dal teleriscaldamento si è assistito a partire dall’inizio del 2021, quindi ben prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, a rincari in bolletta pari se non superiori a quelli di chi ha in casa la caldaia a gas. Ad esempio, dal primo trimestre 2021 all’agosto scorso a Torino le tariffe sono passate da 0,072 euro a kWh a 0,189 euro, con una crescita di 2,6 volte. A parziale compensazione dei rincari, è stato introdotto da Iren (che serve, oltre al comune di Torino, quelli di Beinasco, Collegno, Genova, Grugliasco, Moncalieri, Nichelino, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Rivoli) un bonus teleriscaldamento rivolto a una platea con ISEE non superiore a 12 mila euro o non superiore a 20 mila, qualora i beneficiari abbiano almeno 4 figli a carico. Per i primi l’importo riconosciuto una tantum è di 536 euro, per i secondi è uguale a un massimo di 747 euro.
Teleriscaldamento in Italia: qual è la situazione attuale?
Una panoramica aggiornata del teleriscaldamento e del teleraffrescamento (su cui torneremo più avanti) in Italia è offerta dalla nota di approfondimento curata da GSE, il Gestore dei servizi energetici partecipato interamente dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha il compito di promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. La nota, pubblicata a giugno di quest’anno, fa una fotografia della situazione al 2020, quando risultavano in esercizio complessivamente 337 reti di teleriscaldamento, con 284 comuni coinvolti, distribuiti in 13 tra regioni e province autonome del centro e nord Italia. “L’estensione di queste reti di teleriscaldamento – si legge nel documento – si attesta poco al di sopra di 5.000 km; di questi, il 50% circa si concentra nei 114 comuni teleriscaldati della Lombardia e del Piemonte. Le sottostazioni di utenza servite (ovvero i dispositivi di scambio tra la rete di teleriscaldamento e il circuito di distribuzione delle utenze) sono oltre 93 mila; anche in questo caso la quota maggiore si concentra in Lombardia (39% del totale), seguita dalla provincia di Bolzano (22%) e dal Piemonte (14%). La volumetria complessivamente riscaldata nel Paese è pari a 386 milioni di metri cubi”. Gli impianti alimentati da fonti fossili, soprattutto tramite gas naturale, coprono il 74% circa dell’energia immessa in consumo. Da qui la spiegazione sul perché dell’aumento della spesa anche per gli utenti allacciati al teleriscaldamento.
Teleraffredamento: funziona come il teleriscaldamento?
Il teleraffreddamento o teleraffrescamento è associato al teleriscaldamento, ma la sua diffusione in Italia è molto più limitata, sempre secondo i dati diffusi da GSE da cui si ricava che “a fine 2020, risultano in esercizio 30 reti di teleraffrescamento; i comuni in cui esiste almeno un sistema sono 27, distribuiti in 9 regioni e province autonome del centro e nord Italia. Complessivamente, l’estensione delle reti di teleriscaldamento è pari a 32,5 km, per una volumetria raffrescata di 8,9 milioni di metri cubi”. Il funzionamento del teleraffreddamento si basa sugli stessi principi del teleriscaldamento, in quanto fornisce acqua refrigerata per il raffrescamento di edifici industriali, commerciali e residenziali mediante una rete di tubazioni a circuito chiuso. Il servizio solitamente viene erogato con due soluzioni tecniche. Una prevede il raffrescamento nelle utenze dove è presente una rete di teleriscaldamento. In questo caso, gli impianti in loco, di solito gruppi frigoriferi ad assorbimento, vengono alimentati dall’energia termica distribuita dalla rete stessa. L’altra soluzione tecnica si basa sul raffrescamento centralizzato che, alla stessa stregua di quello del teleriscaldamento, distribuisce alle utenze l’acqua refrigerata attraverso una rete dedicata. Allo stato attuale, tutti i sistemi di teleraffrescamento in esercizio in Italia sono associati a sistemi di teleriscaldamento.
Sviluppo del teleriscaldamento: progetti in corso
Il quadriennio 2017-2020 ha registrato un incremento importante dei sistemi di teleriscaldamento in Italia, con 46 nuovi comuni teleriscaldati alla fine del 2020 rispetto al 2017, circa 481 km di estensione in più, un aumento di sottostazioni di utenza di oltre 6.750 unità e una crescita della volumetria di 40 milioni di metri cubi. Il tutto avvenuto soprattutto in Lombardia (21 nuove reti) e in Piemonte (10 reti). Nel futuro del teleriscaldamento ci sono sul piatto i fondi del PNRR che destina 200 milioni di euro a favore dello sviluppo di tali sistemi. In particolare, “le risorse saranno impiegate – si legge nel Piano – per finanziare progetti relativi alla costruzione di nuove reti o all’estensione di reti di teleriscaldamento esistenti, in termini di clienti riforniti, ivi compresi gli impianti per la loro alimentazione. A tal riguardo è data priorità allo sviluppo del teleriscaldamento efficiente, ovvero quello basato sulla distribuzione di calore generato da fonti rinnovabili, da calore di scarto o cogenerato in impianti ad alto rendimento”. Il che è auspicabile, visto che il ricorso preponderante delle fonti fossili per il teleriscaldamento causa danni all’ambiente e depauperamento del portafoglio dei cittadini. I fondi del PNRR serviranno a coprire lo sviluppo di 330 km di reti di teleriscaldamento, insieme alla costruzione di impianti o connessioni per il recupero di calore di scarto per 360 MW. L’avviso pubblico per partecipare ai progetti connessi alla misura del PNRR è stato pubblicato dal ministero della Transizione ecologica a fine luglio e le domande possono essere presentate, attraverso il portale messo a disposizione da GSE, entro il prossimo 6 ottobre. Sarà interessante scoprire se anche le regioni del centro-sud del Paese, nelle quali fino a oggi non ha preso piede il teleriscaldamento, parteciperanno alla gara. Potrebbe essere davvero il segno di una discontinuità con il passato e di un nuovo approccio al tema dell’energia che unisce l’intero paese.