Oggi, causa emergenza sanitaria dovuta al Covid 19, si parla molto di termoscanner. Un mercato, quello della termografia, da sempre concentrato sul controllo del territorio, sulla sicurezza fisica per le aziende o la prevenzione di incendi, ma mai riguardante la sicurezza sanitaria.
Sebbene la termografia sia usata anche in Italia nel settore medico, finora non era stata utilizzata per la sicurezza, intesa come safety: infatti i teletermografi sono già inseriti nel settore sanitario, anche se nel nuovo nomenclatore, istituito tramite DPCM del 12 gennaio 2017, non più come prestazioni specialistiche ambulatoriali.
Termografi, classificazione e struttura
Oggi i termografi sono inclusi nella Classificazione Nazionale Dispositivi Medici (CND) come modificata dal DM 13.03.2018 e sono individuati come: Z119013 (apparecchiature sanitarie e relativi componenti accessori e materiali – strumentazione per bioimmagini e radioterapia – strumentazione varia per bioimmagini e radioterapia – termografi).
Ma come sono costruiti i termoscanner? Nella maggior parte dei casi sono costituiti da una fotocamera sensibile alla radiazione infrarossa, dispositivi in cui il leader mondiale indiscusso è la Flir. Un dispositivo cioè dotato di sensori micobolometrici, prodotti per lo più in Francia, Stati Uniti e Giappone, sensibili all’intensità del calore emesso da una persona, sensibilità che viene interpretata da un’unità di calcolo che trasforma le informazioni in immagini.
Prima di fornire la temperatura ufficiale rilevata dal single board computer su cui gira il software proprietario, le informazioni vengono mediate da un black body costituito da celle Peltier, una sorta di refrigeratore elettronico. Il black body serve proprio per garantire ottime prestazioni tecniche, tra cui una rilevazione il più precisa possibile: la sua funzione è di compensare gli errori di misura comuni a tutti i termoscanner, dovuti spesso all’escursione termica tra il luogo interno in cui viene svolta la misurazione e l’ambiente esterno da cui proviene il soggetto.
Oltre a questo, per ottenere una rilevazione valida è necessario che la misurazione sia effettuata su una persona alla volta, con una termocamera con una accuratezza di 0,5 gradi centigradi. A quel punto si può ottenere una temperatura credibile, ma nel caso degli esseri umani è anche necessario rilevare la temperatura in una determinata area del viso, altrimenti anche il sistema più preciso difficilmente restituirà un valore veritiero: nel dettaglio il valore deve essere rilevato in un’area non inferiore a 3 millimetri per 3 nella regione perioculare.
La sicurezza dei termoscanner
Oggi la crisi sanitaria innescata dal Covid-19 ha aperto nuovi scenari dando più spazio al settore della sicurezza che è diventata, oltre che security, anche safety, si deve cioè occupare anche della salute delle persone. Un processo che si è molto accelerato in questi mesi dopo che il trend negli ultimi anni è stato quello di dare maggior rilevanza ai temi della cyber security a discapito della physical security.
Ora, gli operatori della sicurezza si trovano di fronte a un primo problema di natura etica: per produrre e vendere termoscanner è necessario ricordarsi che stiamo parlando della salute e dunque della vita delle persone. Un elemento da non sottovalutare soprattutto in una fase convulsa come questa, durante la quale si sono moltiplicate aziende di cui non si conosce il know-how o la consistenza. Molti dei prodotti attualmente sul mercato hanno mostrato di non rispettare a pieno le direttive dell’ISS, alcuni sono persino stati banditi negli USA. E per aspetto etico intendo anche quei prodotti venduti a prezzi molto bassi, ma che poi necessitano di un costo rilevante di gestione, o per meglio dire, di personale che li deve controllare. Una guardia giurata, ad esempio, costa a un’azienda circa 50mila euro all’anno, quindi il risparmio ottenuto dall’acquisto di un sistema poco costoso viene consumato dalla spesa fatta per reperire personale qualificato. Quindi il prezzo “reale” del prodotto è diverso da quello di acquisto iniziale.
Il mercato dei termoscanner
Oltre al tema etico non bisogna trascurare quello tecnico: ad oggi molte aziende stanno adattando per la safety strumenti tarati per rilevare le temperature di macchinari e capannoni industriali. Una necessità data dalla carenza di una forte industria italiana nel settore della termografia. Esistono infatti solo alcuni centri di eccellenza nel nostro Paese nel settore civile: come l’Università di Chieti e Pescara “G. D’Annunzio”, che utilizzano i prodotti qualitativamente più avanzati del mercato mondiale allo scopo di produrre materiale medico. Il rimanente mercato della termografia orbita intorno al mondo militare che ha prodotto e utilizzato dei termografi per controlli sanitari sul personale militare dislocato in Africa per l’epidemia di Ebola.
Lo stesso mercato globale non è variegato come si potrebbe pensare, al contrario vede primeggiare un’unica azienda: la Flir, diventata essa stessa sinonimo di telecamere a infrarossi. I clienti di Flir si suddividono in diverse categorie: in larghissima parte sono militari (85% del suo mercato) per una percentuale minore aziende (circa il 10%) e per una piccola nicchia anche privati cittadini, particolarmente sensibili alla sicurezza della propria abitazione. Oggi, nel contesto globale che si è creato a causa della pandemia del nuovo Coronavirus il mercato della termografia è destinato ad esplodere, grazie all’enorme domanda di moltissime aziende per questi dispositivi, trattati prima come un banale optional.
Infine c’è ancora un tema di prospettiva: l’Italia potrebbe approcciarsi a questa nuova fase nella sicurezza fisica e safety, come a una nuova opportunità per emergere in questo mercato. In Asia ad esempio c’è una produzione persino eccessiva di termoscanner, perché alla sicurezza safety, la Repubblica Cinese si è equipaggiata fin da subito, dopo le prime epidemie di Sars. E quando è arrivato il Covid-19 non hanno avuto particolari problemi a rifornirsi di dispositivi, mentre in Italia ci siamo trovati in una situazione in cui mancavano più i prodotti che le risorse.
Oggi l’Italia potrebbe apprendere la lezione impartita da questa crisi, decidendo di puntare su un altro settore del Made in Italy finora ignorato. Magari proprio dall’idea di sviluppare prodotti certificati e di qualità a partire da basi come quelle di Flir, un’impresa non impossibile per l’Italia che ha una tradizione manifatturiera molto sviluppata e consolidata nel tempo.