Mossa a sorpresa del Tar Lazio, che, con decisione
depositata il 26 novembre 2008, ha passato un colpo di spugna
sulle disabilitazioni di default decise dall’Agcom nei
mesi scorsi, per le telefonate ai numeri premium dalle utenze
private, una scelta che è stata al centro di fortissime
polemiche tra centri servizi, operatori della telefonia fissa e
associazioni dei consumatori (Si veda al
proposito anche l’articolo pubblicato su
Wireless4innovation n.4, giugno/luglio 2008). Dal blocco
automatico erano rimaste escluse talune numerazioni, per lo
più in uso a Telecom Italia, comprese in un paniere ad hoc,
approvato dall’Autorità, che invece di procedere ad una
normazione calibrata alla reale situazione sulla quale si va ad
intervenire, ha preferito approvare una nuova regola,
salvo consentire ampie deroghe. I centri servizi, le cui
numerazioni erano escluse dal paniere, sono insorti e, dopo
aver conseguito un primo successo nel mese di luglio, quando il
Tar Lazio ha sospeso l’efficacia della disabilitazione
automatica che, in un primo momento era stata fissata al 30
giugno 2008, hanno impugnato anche la deliberazione con cui
l’Autorità ne ha spostato la decorrenza al
1° ottobre 2008. Con questa decisione, che segue a quella
adottata in aprile, l’Agcom ha imposto a Telecom Italia
(ma non agli altri operatori) di effettuare una
campagna informativa più capillare ed efficace rispetto a
quella precedente, prevedendo un’informativa in bolletta
o altra comunicazione scritta indirizzata agli abbonati, con
apposito messaggio in fonia su tutte le utenze e comunicati
stampa su almeno tre quotidiani a tiratura nazionale.
Invece, di comunicati stampa ne è stato pubblicato solo uno
(sul Corriere della Sera del 16 luglio), non vi è stata alcuna
informativa diretta in fonia e le comunicazioni in bolletta
hanno interessato meno della metà degli utenti. Oltretutto,
Telecom Italia ha iniziato a “staccare” le linee
nelle regioni che presentano il maggiore traffico, quali
Piemonte, Lombardia e Veneto, addirittura dal 15
settembre.
Una beffa per i centri servizi
La nuova decisione dell’Agcom ha avuto il sapore
della beffa per i centri servizi, che avevano ottenuto solo
pochi giorni prima lo stop da parte del Tar e che attendevano,
fiduciosi, la sentenza di merito, prevista per il 13 novembre.
Immediata è stata la loro reazione, con una nuova richiesta ai
giudici amministrativi di sospendere le decisioni
dell’Agcom. Ma le loro aspettative andavano presto
deluse: il Tar confermava – questa volta – la
validità del blocco delle chiamate dal 1° ottobre.
Non restava che attendere la decisione del merito. E, il
13 novembre, il Tar ha sorpreso tutti, stabilendo che
il blocco permanente delle chiamate è illegittimo perché
l’Agcom ha adottato un intervento dal forte impatto sul
mercato di riferimento senza confrontarsi con gli operatori del
settore. A questo punto, l’Agcom ha affilato le
proprie armi per portare la questione davanti al Consiglio di
Stato e gli operatori della telefonia fissa, lamentando i costi
della recente disabilitazionee delle campagne di
informazione, si sono assisi alla finestra. Anche perché prima
di arrivare ad una sentenza definitiva, altra acqua scorrerà
sotto i ponti sul Tevere e prima di allora vi sarà
un’udienza di sospensiva: il rischio è quello di
assistere a nuovi e ravvicinati ribaltamenti della situazione
che imporrebbero di abilitare, per poi magari disabilitare
nuovamente, milioni di utenti. Meglio stare fermi. In
barba ai clienti dei servizi premium che continuano a essere
disabilitati, nonostante la sentenza del Tar, e che trovano
difficoltoso orientarsi nelle contrastanti indicazioni di
Telecom, Agcom, centri servizi, Tar e associazioni dei
consumatori, a taceredei vari PIN o numeri di fax
da utilizzare, che hanno aumentato la confusione
nell’utenza di livello culturale più modesto. In questo
bailamme, i centri servizi che operano correttamente, si sono
trovati – incolpevoli – con una considerevole riduzione
del proprio bacino di utenza e sommersi da valanghe di
telefonate di clienti alla ricerca di indicazioni univoche.
Resta il fatto che il blocco permamente delle chiamate è stato
dichiarato illegittimo, a conferma che si tratta
di misura abnorme ed errata, che non coglie nel segno, anche a
causa del mancato confronto con tutti i soggetti che operano
sul mercato che, se interpellati, avrebbero potuto far presente
come, a fronte di una accurata vigilanza, la normativa vigente
sia sufficiente ad arginare il fenomeno degli operatori senza
scrupoli, come ci conferma la stessa Autorità, nella sua
Relazione sulle attività del 2007, pubblicata il 15 luglio
scorso: secondo i dati forniti dalla Direzione Tutela dei
consumatori dell’Agcom, le segnalazioni di traffico
truffaldino o abnorme, dopo un picco a cavallo del 2006 e il
2007, a partire dalla seconda metà del 2007 sono andate
sensibilmentea diminuire, grazie alla
“intensa attività di vigilanza e sanzionatoria
dell’Autorità”.
Le misure in vigore e le tutele per gli
utenti
Pertanto, le misure già in vigore prima delle delibere,
hanno avuto un effetto positivo sul mercato, consentendo una
maggiore tutela dell’utente: possibilità di
disabilitazione a richiesta, possibilità di contestare il
traffico senza subire la sospensione del servizio, in aggiunta
alle misure previste dal cosiddetto Decreto Landolfi sul tetto
massimo di spesa per chiamata e su base mensile e, ancora, sul
consenso espresso per effettuare la chiamata a sovrapprezzo,
prima che venga addebitato alcun costo. Il quadro, ad oggi, è
completato dal nuovo Piano di numerazione nel settore delle
telecomunicazioni, che ha previsto limiti di tariffa – sia
minutari che flat – di gran lunga inferiori al Decreto
Landolfi. Le tariffe flat hanno ora un tetto massimo di
2 euro a chiamata, invece degli attuali 12,50 euro, mentre le
tariffe minutarie hanno un tetto di 1,50 euro al minuto e
massimo 30 cent di scatto alla risposta, contro le attuali
tariffe pari a circa 2,40 euro a minuto con 1 euro di scatto
alla risposta. Il blocco di default delle chiamate
verso i numeri premium, quindi, sembrerebbe veramente non avere
più alcuna ragione di essere: ma la partita non è ancora
conclusa e l’ultima parola spetta al Consiglio di Stato,
che si pronuncerà a febbraio. (Chi desidera
aggiornamenti al riguardo può contattare la
redazione)