In Europa solo la metà (51%) dei lavoratori ha libero accesso a internet in azienda, e in particolare il 40% si vede limitato o proibito l’uso di Facebook. Ma un terzo di loro – dato coerente in tutto il continente, compresa l’Italia (32%) – aggira o ignora le restrizioni aziendali, pur conoscendole, soprattutto per quanto riguarda social network, instant messaging e archiviazione su Cloud.
E’ il principale risultato emerso dall’indagine “People-Inspired Security” condotta tra maggio e giugno 2014 dalla società di ricerca indipendente OnePoll e commissionata da Samsung su 4.500 persone in 7 Paesi europei (oltre all’Italia Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna). Come accennato, più o meno la percentuale di lavoratori nei vari Paesi europei che non rispettano le policy su Facebook è simile a quello italiano – Germania (34%), Spagna (33%), Belgio e Olanda (31%) – con due eccezioni. Gli inglesi sono sorprendentemente i meno corretti d’Europa (41%), mentre i francesi sono i più ligi alle direttive aziendali (20%).
Tornando specificamente all’Italia, al di là di Facebook, il dato di un lavoratore scorretto su tre che ignora le policy corporate resta più o meno coerente anche per altre applicazioni critiche per la sicurezza dei dati aziendali: il 34% infatti usa dispositivi propri per accedere a soluzioni d’archiviazione su Cloud, il 38% a Mobile App, il 29% a servizi di video streaming, e il 26% a Twitter.
Restrizioni per la scarsa fiducia nei dipendenti
I risultati della ricerca suggeriscono che in Europa le restrizioni aziendali legate all’uso di Internet sono dovute alla scarsa fiducia di alcuni datori di lavoro verso i propri dipendenti. Solamente la metà dei lavoratori europei (51%), infatti, dichiara di essere libera di utilizzare la tecnologia come desidera e di venire trattata come competente in materia. Secondo un quinto degli intervistati (17%), il proprio superiore dà per scontata una scarsa conoscenza tecnologica da parte dei dipendenti, imponendo, dunque, severe restrizioni sull’uso dei dispositivi.
«Dal punto di vista della sicurezza, è comprensibile che i datori di lavoro vogliano controllare l’uso della tecnologia da parte dei propri dipendenti. Se, però, questo si traduce nell’ignorare le esigenze del professionista moderno, le aziende potrebbero sperimentare cali di produttività e coinvolgimento», dichiara Dimitrios Tsivrikos, Consumer and Business Psychologist allo University College London, in un comunicato di Samsung. “Come dimostra questo studio, vietare l’utilizzo della tecnologia e l’accesso ad alcuni siti web sul posto di lavoro spesso produce l’effetto opposto rispetto a quello desiderato. Una reale fiducia deve essere reciproca. Le aziende dovrebbero osservare il modo in cui i propri dipendenti lavorano e trovare il modo di incorporarlo positivamente all’interno dell’ambiente professionale».
I più giovani sono i più insofferenti alle policy
Lo studio rivela, inoltre, che in Italia la fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni è la più propensa a sfidare le restrizioni aziendali in materia di accesso a siti web e applicazioni. Praticamente la metà di loro infatti (49%) ammette di ignorare o aggirare abitualmente il divieto di accedere a Facebook, e più di un terzo (36%) quello per i siti di video streaming come YouTube (36%). «I giovani ci stanno rivelando come saranno i luoghi di lavoro tra qualche anno. Le aziende non possono permettersi che la violazione delle norme di sicurezza e sull’uso di Internet diventi la regola – commenta nel comunicato Rob Orr, Vice Presidente Business Enterprise di Samsung Europe -. Considerando che i lavoratori utilizzano sempre di più i propri dispositivi personali sul lavoro e, viceversa, quelli aziendali per motivi privati, è evidente la necessità di tracciare confini definiti tra le due sfere, che siano compresi e rispettati da tutti».