Tra i fenomeni di maggior interesse apparsi di recente
nel mondo internet (e relative declinazioni), il posto
d’onore spetta sicuramente agli User Generated Content
(UGC). Il fenomeno, di cui tutti percepiscono almeno in
parte l’importanza, ha fatto irruzione sul web attraverso
realtà quali My
Space o You Tube,
per poi allargarsi e moltiplicarsi in modo esponenziale in
realtà ancora più sofisticate ed economicamente
significative. La definizione di
fenomeno data agli UGC è quanto
mai calzante per i differenti aspetti che essa coinvolge:
sociali, sociologici, tecnologici, economici, legali. Si
potrebbe obbiettare che l’intero mondo internet coinvolge
tutti i fattori sopraindicati, e molti di più, ma a parere di
scrive, il vero discrimine è la partecipazione diretta
dell’utente quale “sorgente” del fenomeno
stesso. Sino a poco tempo fa (le ere nel
mondo web sono progressivamente sempre più brevi)
l’utente di internet fruiva di contenuti messi a
disposizione dalla rete stessa attraverso piattaforme e
portali. Sebbene il web sia l’archetipo
dell’interattività, prima dell’avvento degli UGC,
lo user medio si limita(va)
ad accedere a contenuti, visionandoli o al massimo scaricandoli
sul proprio pc e altri device. E’
stato sufficiente che gli stessi portali ai quali
l’utente accedeva “passivamente”
consentissero di postare (termine
orribile) qualcosa di più che un semplice messaggio o una
fotografia, e la strada degli UGC, public o
private networked come oramai si definiscono, si
è definitivamente spalancata. Le applicazioni del principio si
sono susseguite in modo inarrestabile: dal My
space (oppure Fotki) amatoriale dei
teen-ager al Realworld Remixed
di Peter Gabriel dove l’utente può scaricare
musica inedita dall’artista famoso per rielaborarla con
contributi originali. Nonostante le implicazioni giuridiche
siano differenti permane il denominatore comune:
l’intervento attivo dell’utente.
UGC = esserci = creare, condividere ed essere condivisi.
Il paradigma può apparire debole ed il fattore creatività
spesso latita, ma di certo la “voglia di
esserci” nel web è esplosa al di là di ogni ragionevole
previsione. Non è questa la sede per un’analisi
sociologica del fenomeno, ma se è abbastanza agevole
inquadrare le problematiche economico/legali del mondo UGC, non
lo è altrettanto l’individuazione delle possibile
soluzioni prescindendo da un approccio socio- economico.
Volendo dare una definizione che anticipa molte delle
problematiche racchiuse negli UGC, possiamo dire che essi
rappresentano uno spostamento del controllo dai titolari di
contenuti (content owners – providers)
agli utilizzatori (consumers).
Nell’approccio agli UGC, la voglia di creatività e
condivisione, così “naturalmente” germogliata
grazie allo sviluppo della tecnologia sul web, ha generato un
vero sconvolgimento dei concetti quali proprietà, esclusiva,
controllo, sfruttamento, percentuali. Gli strumenti
giuridici tradizionali, già messi a durissima prova dal web,
si stanno rivelando decisamente inadeguati per affrontare la
sfida agli UGC. Tale inadeguatezza si sta manifestando
con tale violenza da generare due visioni prospettiche del
tutto antitetiche tra loro: proibizionistica (un fenomeno da
fermare ad ogni costo), o opportunistica (una fiamma da
coltivare perché diventi nuova energia per la salvezza di
un’industria in declino). Pur senza
“schierarsi” non si può negare che mai
come per gli UGC il
gap giuridico sia
profondo e strutturale: mancano gli strumenti
contrattuali ed altrettanto “mostrano la corda” gli
schemi normativi che mal si adattano a fattispecie quali
mash-up o viral
distribution. Tutti i player
che compongono la catena del valore nel mondo internet
sono chiamati a dura prova per inventare nuovi modelli di
business adeguati alla sfida, e che racchiudano nel contempo
flessibilità e capacità di monetizzare agevolmente la nuova
realtà. Le problematiche che emergono da una prima,
superficiale analisi del fenomeno sono variegate e abbracciano
profili molto diversi tra loro: si pensi al tentativo di alcune
corti di inquadrare l’ISP quale editore, con conseguenti
responsabilità per l’attività di
hosting in ordine ai contenuti pubblicati;
oppure gli effetti (giuridici) della “commistione”
tra un’opera originale ed il contributo dello
user, e le eventuali conseguenze di una sua
successiva messa a disposizione al pubblico. Anche i differenti
ordinamenti giuridici contribuiscono alla
bagarre; un esempio per tutti: il diritto
morale. Tanto caro e pressoché inviolabile in alcuni paesi,
sostanzialmente sconosciuto (o ampiamente derogabile) in
altri.
Da qualsivoglia prospettiva si cerchi di inquadrare la
realtà degli UGC, ed indipendentemente dallo
“schieramento” (autore, consumatore o operatore),
le difficoltà sono molteplici e, almeno all’apparenza,
insormontabili.
Come anticipato, la comprensione del fenomeno richiede un
temporaneo distacco dal filtro professionale che condiziona,
inevitabilmente, ogni soggetto coinvolto nel processo. Per il
titolare dei diritti economici su un’opera protetta,
l’obbiettivo sarà sempre quello di monetizzare lo
sfruttamento garantendosi nel contempo il controllo.
L’autore dell’opera, per converso, potrebbe non
avere un interesse del tutto coincidente: la notorietà e la
diffusione di un’opera, ancorché modificata (o meglio:
contaminata) da terzi può soddisfare una necessità meno
materiale e più psicologica di affermazione, anche fine a sé
stessa, con minore implicazioni di natura economica. Per
ultimo, ma non per importanza, la prospettiva dello
user che privilegia concetti quasi utopistici
quale libertà, creatività, fantasia e, spesso, irrilevanza
del profitto. Su questa struttura, già di per sé articolata,
si innesta l’attività del ISP ed il suo modello
economico: ad abbonamento, o gratuito (per l’utente) in
quanto sostenuto dalla vendita di pubblicità.
Ogni anello della catena di formazione del valore, negli
UGC è portatore di istanze potenzialmente differenti e
divergenti. Nella seconda parte proveremo a sintetizzare alcune
di queste istanze e quali strumenti di tutela sono attivabili
allo stato attuale.