E ora sono due. A distanza di pochi giorni dall’annuncio del vaccino Pfizer-BioNTech, che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti virologi (e non solo), una biotech americana fino a ieri quasi sconosciuta, annuncia il proprio: come Pfizer lunedì scorso, anche Moderna oggi ha diffuso i suoi dati solo con un annuncio alla stampa.
Entrambi i candidati vaccini sono usciti dalle sperimentazioni sull’uomo con risultati molto migliori delle aspettative: la percentuale minima di efficacia richiesta era infatti del 50% ma Pfizer-BioNTech hanno dichiarato l’efficacia nel 90% dei casi, e Moderna addirittura nel 94,5%.
Va detto che entrambi i vaccini lasciano aperta la domanda sul tipo di immunità offerta: se sterilizzante (il vaccino impedisce di infettarsi e di contagiare gli altri) o solo dai sintomi (i vaccinati non si ammalano in modo grave ma possono trasmettere il virus agli altri). Altro punto in comune: i vaccini di Pfizer e Moderna usano entrambi il metodo dell’Rna messaggero: nell’organismo viene iniettato un gene sintetico che entra nelle nostre cellule e ordina loro di produrre la spike, la punta della corona del coronavirus che stimola il nostro sistema immunitario.
Ma mentre Pfizer dovrà trasportare le sue fiale a -80 gradi, pena la degradazione del gene sintetico, cosa che comporta una più che critica gestione della catena del freddo, Moderna ha annunciato di aver messo a punto una tecnica che consente al vaccino di mantenersi a temperatura di frigo (2-8 gradi) per 30 giorni e a -20 gradi per sei mesi. Una volta tolto dal frigo per essere somministrato, può restare a temperatura ambiente per 12 ore.
Vaccini: la catena del freddo è una variabile critica
Bene, missione compiuta, quindi? Neanche per sogno! Le buone notizie che paiono arrivare dai laboratori delle due società non ci devono far indulgere a facili ottimismi anzitempo.
Anzitutto, mancano ancora (ma arriveranno probabilmente a breve) le pubblicazioni scientifiche con ulteriori dettagli sul tipo di protezione offerta (se solo dai sintomi gravi della malattia o anche dal contagio) e sull’efficacia negli anziani, che in genere è più bassa rispetto ai giovani.
Dalla produzione alla distribuzione: entra in gioco la logistica del farmaco
Supponendo che anche queste notizie confermino gli eccellenti risultati della fase 3 della sperimentazione, a questo punto si passerà alla fase produttiva. Nessuno sa esattamente quante dosi le due aziende vorranno, potranno e sapranno produrre. Dipende da una quantità di fattori quali: i processi di produzione che verranno sviluppati (ad oggi nessuno li conosce, forse neppure i tecnici delle due aziende…); gli stabilimenti che verranno scelti per la produzione del vaccino e le loro capacità produttive; gli investimenti che verranno disposti per l’indispensabile scale-up di capacità produttiva; la disponibilità di materie prime; eventuali avarie o problematiche ai macchinari; etc.
Sia Pfizer, sia Moderna hanno dichiarato (presumibilmente in prima approssimazione) dati più o meno analoghi circa i volumi che saranno in grado di produrre: poche decine di milioni di dosi entro il 2020, che saranno in entrambi i casi presumibilmente assorbite per intero dal mercato domestico: gli Stati Uniti. (La prossima volta che state per votare un governo avverso alla ricerca scientifica e favorevole alle PMI come il nostro, per favore pensateci due volte!).
Successivamente, nel 2021 sono previste circa mezzo miliardo di dosi da parte di ciascuno dei due produttori, che saranno destinate presumibilmente al personale sanitario ed alle persone più a rischio, soprattutto anziani e portatori di altre patologie serie. Pertanto, anche se nel 2021 si dovessero aggiungere le altre Case che hanno in sperimentazione un vaccino, presumibilmente il volume produttivo complessivo non supererà i 2 miliardi d dosi. Questo significa che una piena copertura dell’intera popolazione mondiale potrà avvenire certamente non prima del 2022, e forse anche dopo.
Non ci dobbiamo infatti dimenticare che entrambi i vaccini richiedono un doppio trattamento dei pazienti, consistente in una prima vaccinazione ed in un successivo richiamo, da effettuarsi dopo 3-4 settimane.
Ma anche in questo caso, dimostriamoci degli inguaribili ottimisti, ed immaginiamo che anche la sfida, tutt’altro che banale, della produzione venga vinta, mettendo a disposizione le quantità previste, nei tempi ed ai costi previsti (per inciso il prezzo praticato da Moderna sarà di 25 dollari secondo indiscrezioni, ed includerà probabilmente anche una quota di profitto. Le altre aziende finora hanno annunciato che lo venderanno a prezzo di costo, almeno fino a quando permarrà la dichiarazione di pandemia).
Logistica del farmaco: ecco le sfide per i vaccini per COVID-19
A questo punto il vaccino dovrà essere distribuito dai siti di produzione ai punti di consumo. Questo è il lavoro della logistica del farmaco.
Potrebbe a priori sembrarci un compito relativamente facile, per lo meno se messo a confronto con l’impresa di ideare e testare il vaccino in tempi record: ma neppure questa è una sfida banale! Apprendiamo infatti che entrambi i farmaci richiedono la catena del freddo, imponendo la conservazione uno a -80 gradi celsius (quindi in condizioni molto più severe della normale catena alimentare dei surgelati e vicine alle temperature criogeniche) e l’altro a -20 (temperatura più o meno compatibile con la catena del surgelato, necessaria per lunghe durate) oppure per brevi durate a temperatura da frigorifero.
Inoltre, finché si tratta di ideare, sviluppare e produrre il vaccino, il controllo è pienamente nelle mani delle aziende che lo hanno sviluppato: presumibilmente organizzazioni efficaci ed efficienti, guidate da manager professionali. Ma la fase distributiva sarà nelle mani di molti operatori diversi, parte pubblici e parte privati, il cui coordinamento e la cui efficienza ed efficacia sono tutt’altro che garantite.
Una filiera lunga da coordinare e controllare
Il primo problema sarà quindi il trasporto dei prodotti dai siti di produzione verso i mercati di distribuzione: si tratterà di una distribuzione a lunga tratta quasi sicuramente realizzata per via aerea. Ma esistono aerei in grado di trasportare surgelati o addirittura beni a temperature criogeniche? Un calcolo conservativo mi porta a ritenere che ne possano servire almeno 80-100 a pieno servizio. Già di per sé una sfida non banale, ma forse affrontabile, trattandosi di un’emergenza planetaria.
Arriviamo quindi alla scala del singolo Paese: per noi quindi a questo punto diventa interessante ragionare a livello Europeo ed Italiano. Secondo l’accordo che la UE ha stipulato con Pfizer, l’Italia nel 2021 riceverà 27 milioni di dosi, utili quindi per trattare 13,5 milioni di soggetti, che come si diceva dovranno essere scelti tra il personale sanitario e gli anziani.
È noto che la UE ha già sviluppato trattative con altre Case che hanno in corso vaccini, mentre non ci sono noti, ad oggi, accordi di alcun tipo con Moderna. Che magari arriveranno in seguito, intendiamoci.
La UE ha richiesto ai singoli Paesi di istituire delle commissioni per sviluppare opportuni piani sottesi alla efficace ed efficiente distribuzione del vaccino, che considerino da un lato le priorità di somministrazione alle diverse categorie della popolazione (in ragione del livello di esposizione e di rischio dei soggetti) e dall’altro le ingenti problematiche tecnico-economiche connesse con la distribuzione di un prodotto che richiede la catena del freddo a -80 gradi Celsius.
La catena del freddo: non c’è capacità di gestire i volumi richiesti
Concentriamoci per il momento su questo secondo aspetto: il dato di fatto è che non esiste né in Italia, né in altri Paesi una catena del freddo capace di stoccare e distribuire i volumi dei quali stiamo parlando, garantendo il pieno rispetto del mantenimento di queste temperature. A livello governativo si è ripetutamente parlato, come in altre circostanze di emergenza, di impiegare l’Esercito. Bene. Ma per manipolare prodotti tanto delicati non servono solo persone, occorrono anche competenze a livello, e non è scontato che, al netto della consueta buona volontà, queste siano in possesso dei nostri militari. Perché l’effetto dell’interruzione della catena del freddo sarà la perdita dell’effetto del vaccino e quindi la vanificazione di questo immenso sforzo. Se vogliamo un riferimento, pensiamo alle difficoltà incontrate quest’anno nella distribuzione dei vaccini influenzali: in tutto 17 milioni di dosi, senza particolari requisiti di temperatura, che però fanno lo stesso fatica ad arrivare ai punti di consumo.
E poi, non si tratta solo di sviluppare un piano e di mettere in campo gli addetti per realizzarlo, prendendoli magari dalle Forze Armate: servono anche infrastrutture tecnologiche adeguate. In Italia esistono solo 2 aeroporti abilitati a ricevere farmaci: Fiumicino e Malpensa, e nessuno dei due è oggi dotato delle attrezzature tecniche per ospitare i volumi necessari di vaccino a -80 °C. E dagli aeroporti, occorre poi procedere alla distribuzione (credibilmente su gomma) prima verso i depositi distributivi, poi verso i singoli punti di consumo. Abbiamo sicuramente la disponibilità di un’adeguata quantità di mezzi di vario tipo e capienza con vano di carico surgelato, e qualora non ve ne fossero a sufficienza o della tipologia corretta c’è un numero adeguato di aziende capaci di fabbricarli in tempi rapidi. Potremmo quindi distribuire, almeno in linea di principio, il vaccino Moderna: ma il nostro accordo è con Pfizer. Temo invece che manchino completamente o quasi i mezzi capaci di mantenere il prodotto a -80, a parte i pochissimi mezzi speciali impiegati per applicazioni estreme di tipo medicale oppure geotecnico. E qui il problema è anche la mancanza di una capacità produttiva sufficiente per costruire in tempi brevi una flotta adeguata.
I limiti delle farmacie nella catena del freddo, la capienza del canale ospedaliero
Arriviamo ai punti di utilizzo: a mia conoscenza (quasi) tutte le farmacie dispongono di normali frigoriferi che potrebbero quindi essere utilizzati per la conservazione (per pochi giorni) del prodotto Moderna, anche se con volumi di stoccaggio decisamente insufficienti: ma tant’è, acquistare un frigorifero in più è possibile in tempi brevi e farà bene all’industria dell’apparecchio domestico, che di questi tempi soffre. Invece, (quasi) nessuna farmacia è dotata di congelatori capaci di temperature da -80 e non mi aspetto che tali apparecchiature, solitamente utilizzate nei laboratori scientifici o in altre applicazioni di nicchia siano facilmente acquistabili in grandi quantità, sia per limiti nei volumi di produzione, sia per prezzo non alla portata di una farmacia.
Il prodotto Pfizer dovrà quindi essere distribuito solo tramite il canale ospedaliero, certamente più attrezzato da questo punto di vista, anche se è lecito sollevare dubbi anche sulla disponibilità di ipercongelatori adeguati come caratteristiche tecniche e soprattutto come capienza in tutti gli ospedali, ed ovviamente anche qui occorrerà adeguare l’infrastruttura in tempi brevi per evitare di inceppare la distribuzione e somministrazione del vaccino.
Senza un piano completo di filiera, i rischi si moltiplicano per i Paesi più svantaggiati
In sintesi, ad oggi (quasi) nessuno ha ancora sviluppato un piano completo e coerente su come faremo non solo a produrre, ma soprattutto a distribuire prodotti con questi requisiti estremi e che dovranno arrivare capillarmente ai 4 angoli del pianeta. Non dimentichiamoci infatti che, se questo è un problema per l’Italia, che (nonostante le nostre continue lamentele) ha un sistema sanitario tra i migliori al mondo e si posiziona tra i 20-30 Paesi meglio strutturati ed organizzati, figuriamoci cosa potrà essere in India o in Nigeria.
Perché, diciamocelo chiaramente, se questo vaccino finisse per diventare una commodity per sistemare i soli paesi ricchi, allora sì che l’Umanità, nel suo complesso, avrebbe per davvero fatto fiasco. Avere sviluppato in tempi record dei vaccini efficaci per contrastare la pandemia e non riuscire a renderli disponibili a tutti sarebbe davvero un’immane figuraccia, degna del famoso aforisma: “operazione perfettamente riuscita, ma paziente morto”
Allora, avete già cominciato ad acquistare online le azioni dei produttori di ipercongelatori?
Marco Perona è professore ordinario di Logistica Industriale e Supply Chain Management – Università degli Studi di Brescia e Senior Partner “Smart Operations” IQ Consulting – Gruppo Digital 360